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Autore: Claudio Desirò

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La tre giorni dell’irrazionalità

La tre giorni dell’irrazionalità

Marzo 18, 2021 by Claudio Desirò in News Uncategorized

di Claudio Desirò

Finalmente, queste 72 ore di follia istituzionale, che ha coinvolto Governi ed Istituti di Farmacovigilanza nazionale, si sono concluse e lo hanno fatto nell’unico modo razionalmente possibile, cioè con la dichiarazione di EMA, circa la sicurezza terapeutica del tanto chiacchierato vaccino AstraZeneca. Non che ci volessero grandi consultazioni di esperti per comprendere come, anche se fossero stati correlati al vaccino stesso, 25 casi di coagulazione intravascolare avvenuti in una popolazione di 20 milioni di vaccinati, fossero statisticamente trascurabili nel bilancio rischio-beneficio del vaccino stesso. Certo, con un po’ di razionalità, tutto questo clamore si sarebbe potuto gestire diversamente, in attesa dei risultati delle autopsie che hanno, tra l’altro, escluso qualsiasi correlazione con la somministrazione del vaccino, sottolineando anche come si tratti di un numero di episodi normalmente riscontrabili nella popolazione generale. Infine, sarebbe stato utile spiegare alla popolazione che anche i vaccini, come qualsiasi altra sostanza farmacologica, possono causare effetti collaterali, all’ordine del giorno in tutti quei farmaci che tutti noi utilizziamo quotidianamente, spesso con leggerezza.

Ma la razionalità e l’approccio scientifico sono stati surclassati dall’irrazionalità delle decisioni del momento, lasciando spazio a decisioni emozionali dettate dal clamore suscitato dai media, alla spasmodica ricerca della visualizzazione in più che, a sua volta, ha innescato un’onda social di preoccupazione in tutti coloro che, giustamente, non hanno i mezzi per gestire emotivamente la situazione che si è andata a creare.

Purtroppo, i danni di questa 3 giorni dell’irrazionalità istituzionale, le cui colpe sono da ricercare nella classe dirigente a più livelli, sono evidenti e le conseguenze le pagheremo tutti noi.

Il primo danno, il più immediato, è il ritardo che si aggiunge allo sviluppo della campagna vaccinale. Tre giorni in cui i vaccini AstraZeneca non sono stati inoculati e che causeranno, ben che vada, almeno tre giorni di ritardo nella campagna vaccinale, tre giorni in più di pandemia, tre giorni in più di restrizioni e di conseguenze alla nostra economia e, purtroppo, ulteriori tre giorni di conta di vittime altrimenti evitabili.

Ma il danno ancor più evidente, se si ascoltano le sensazioni della popolazione media, ricade nel senso di sfiducia, preoccupazione e sospetto con cui ora sono guardati tutti i vaccini, nessuno escluso. In un mondo in cui i manovratori da social ed i diffusori di fake news scientifiche, la fanno da padroni su tutti i social, questa gestione irrazionale ed emotiva ha offerto il fianco a nuove speculazioni sul tema. Oggi, anche coloro che non sono da considerarsi no-vax, rischiano ora di non volersi più sottoporre alla vaccinazione, facendo diventare utopico il sogno dell’immunità di gregge. Molte delle persone che in questi giorni chiedevano indagini scientifiche per sentirsi tutelati, ora non si accontentano e non si fidano delle motivazioni EMA, dichiarando di non volersi comunque sottoporre al vaccino.

Questi danni, evidenti ed evitabili, se la politica contemporanea non fosse divenuta, ovunque, intrisa di populismo, ricadranno sulle spalle di tutti noi, sull’economia dei paesi coinvolti e sulle modalità di socialità cui dovremo sottostare per ancora diversi mesi.

Evidenti errori politici, dettati dal panico, irricevibili dalle classi dirigenti che dovrebbero farsi carico, razionalmente, della responsabilità della guida delle rispettive comunità.

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Le lezioni urlate su una Costituzione non conosciuta: le urla sovraniste

Le lezioni urlate su una Costituzione non conosciuta: le urla sovraniste

Gennaio 19, 2021 by Claudio Desirò in News

di Claudio Desirò e Kishore Bombaci

Sentire l’On. Meloni citare, in modo urlato, la Costituzione in Parlamento, farebbe abbastanza sorridere se non fosse grave, sia nei toni che nei contenuti.

Se non si attaccasse ad una interpretazione del tutto personale e strumentale della carta fondamentale, sarebbe interessante seguire le lezioni della “Professoressa”, ma giusto qualche precisazione, per essere pignoli, bisogna farla.

Art. 1: “ La sovranità appartiene al popolo che la esercita votando” è una riforma costituzionale che era sfuggita ai più, rimasti fedeli alla vecchia, ma sempre attuale,  formulazione, cioè “… che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Probabilmente ci siamo distratti e non ci siamo accorti delle modifiche personali apportate alla Carta Costituzionale. Le differenze di forma e sostanza, tra ciò che viene espresso dall’Art. 1 e ciò che sostiene la leader sovranista, sono talmente grossolane che solo a causa di un tentativo maldestro di strumentalizzazione propagandistica possono essere giustificate.

Le FORME ed i LIMITI della Costituzione impongono tutta una serie di passaggi formali e sostanziali che consentono al popolo di esercitare la propria sovranità mediante la delega ai propri rappresentanti. La sovranità è delega, non è plebiscito. Che differenza c’è? La delega è a tempo, segna i confini di un patto tra rappresentanti e rappresentati. Consente ai primi di godere del necessario periodo di tempo per dar corpo alla propria proposta politica in relativa tranquillità senza essere sotto il perenne ricatto del voto, e ai secondi di giudicare, alla fine di questo periodo di tempo, se gli impegni sono stati mantenuti oppure no. Il plebiscito invece è un moto di pancia che si esercita in una dimensione immanente del tempo. Dove l’elemento emotivo prevale su quello razionale. Come sui social, sui quali, attraverso slogan privi di contenuto, l’On Meloni, ed il suo sodale Salvini, sono soliti raccattare un consenso non basato sulla sostanza.

Non è ciò di cui parla la Costituzione all’art.1 e solo a queste condizioni, quindi la Meloni potrebbe aver ragione nel dire che la sovranità si esercita mediante il voto. Però quel che l’Onorevole tace, volutamente ed in modo razionale, è che a fine legislatura – nel 2018 – il popolo ha regolarmente esercitato la sua funzione costituzionale. L’attuale Parlamento è frutto proprio di quelle scelte elettorali, regolarmente effettuate dal corpo elettorale nell’esercizio della propria sovranità.

A tale proposito, bisogna ricordare ancora una volta, che in una forma di governo parlamentare il popolo elegge il Parlamento, ed il Parlamento stesso dura in carica 5 anni, conferendo fiducia al Governo, anche sulla base di maggioranze che possono variare. E salvo eventi costituzionalmente patologici, quella durata dovrebbe essere mantenuta. Tutto questo, attenendosi ai limiti imposti costituzionalmente, volutamente e in contrapposizione a eventi politicamente patologici. In quei casi, il saggio costituente ha previsto meccanismi di autotutela costituzionale per evitare il ricatto di cui si parlava sopra.

Le certezze del diritto, sopratutto del diritto costituzionale, vengono ben prima, fortunatamente, delle certezze politiche basate sulla variabilità del sondaggio, dell’umore della pancia, del numero dei like ricevuti sotto ad un post su Twitter, Facebook o qualunque altra tribuna social su cui, i rappresentanti politici odierni, sono soliti andare a produrre la propria proposta politica, i propri slogan.

Avviene così in tutto il mondo. I Paesi che, in questo periodo di crisi sanitaria ed economica, hanno votato, lo hanno fatto perché la legislatura era terminata (USA) o lo faranno al termine della stessa (Olanda), al netto di ciò che taluni politici o politicanti ci vogliono far credere. Di certo, non lo hanno fatto perché, come vorrebbe la Professoressa, i sondaggi mostravano un presunto cambio di sensibilità politica nel Paese. Peraltro, stando alle ultime elezioni regionali, non pare nemmeno ricorrere questo mutamento radicale di sensibilità, presupposto per il quale il Presidente della Repubblica potrebbe sciogliere le Camere.

Spesso i sovranisti si appellano al (residuale) potere del Capo dello Stato di indire nuove elezioni allorchè il tessuto politico del paese sia radicalmente mutato rispetto a quanto rappresentato in Parlamento. Ma ciò non sembra avvenire nel caso italiano. A dir la verità, nemmeno seguendo alcuni istituti sondaggistici, per i quali l’attuale centrodestra non è detto riuscirebbe ad avere la maggioranza. Quindi, per qual motivo si dovrebbe andare a votare? I presupposti costituzionali non ricorrono in nessun modo e da nessun punto di vista. Probabilmente nemmeno i presupposti politici contingenti. E sicuramente, come dimostrato dall’innalzamento dello Spread nei giorni scorsi, mancano anche i presupposti relativi ad un possibile beneficio per il Paese, a differenza di quello che gli urlanti sovranisti raccontano.

Quindi che cosa è la richiesta di elezioni anticipate? Solo mera propaganda. Apparentemente colta certo, ma sempre propaganda che, in realtà nasconde una profonda ignoranza sui meccanisimi fondamentali dello Stato. Ignoranza che se scusabile nel cittadino, lo è molto meno per chi siede sullo scranno parlamentare da svariati decenni, a dispetto del presentarsi sempre come “Il nuovo che avanza”. Un “nuovo” che siede in più Istituzioni da troppo tempo per non conoscere appieno i limiti imposti dalla Costituzione.

Quindi, e torniamo all’articolo 1 Cost, i limiti costituzionali alla sovranità popolare, non sono di natura politica, tantomeno sondaggistica – se ne facciano una ragione i pasdaran del voto a tutti i costi- ma da una serie di procedure specifiche nelle quali gli organi costituzionali coinvolti debbono esercitare ogni funzione prevista dalla Costituzione repubblicana. Ma che cosa è questa sovranità? Non si tratta del potere assoluto e arbitrario che non può essere conferito né a uno (re, dittatore e quant’altro), né a organi costituzionali collettivi (il corpo elettorale). La sovranità è una condizione di diritto e non di fatto, che si esercita in certe forme, e, dal punto di vista sostanziale, con doverosa consapevolezza.

Questo, invero, dovrebbe essere il compito della politica. Rendere consapevole il popolo, educarlo e accompagnarlo alla partecipazione politica. Cioè, metterlo in condizione di liberamente formarsi il proprio giudizio che troverà espressa manifestazione ogni cinque anni, alle urne. Non prima e non certo a ogni mutamento di pancia. Ecco perché l’analfabetismo costituzionale non è accettabile. A maggior ragione se proviene dalla classe dirigente. E’ il segno del fallimento culturale di una classe politica che usa la Carta fondamentale come una clava propagandistica contro il nemico politico. Questo non si può accettare davvero. La storia di questo paese insegna che la Costituzione è un testo vivente, nato dal sangue di tanti che si sono battuti per la libertà e per la patria, libera e democratica. Merita il rispetto che si tributa a un antenato illustre. A qualcuno, senza il quale non saremmo ciò che siamo. E allora non la si può strumentalizzare, né tantomeno farlo con tale superficialità e becera propaganda.

E se non lo si fosse mai fatto prima, sarebbe buona norma leggere e comprendere la nostra Costituzione prima di proporsi ad occupare uno scranno parlamentare. Per opportunità, per cultura personale o, anche solo, per evitare citazioni errate, proprie interpretazioni e pessime figure.

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I ritardi del Ministero e i blocchi del traffico al tempo del lockdown

I ritardi del Ministero e i blocchi del traffico al tempo del lockdown

Novembre 17, 2020 by Claudio Desirò in News

Nonostante il Piemonte sia Zona Rossa da ormai molti giorni, da oggi scattano nuove limitazioni di movimento per gli abitanti dell’area metropolitana di Torino e di molti comuni della Regione. Infatti, nonostante a causa del lockdown il traffico sia drasticamente diminuito, arrivando anche ad essere del 40% inferiore rispetto alle medie del periodo, i livelli delle polveri sottili PM10 hanno sfondato, per 4 giorni consecutivi, i limiti previsti dall’accordo per il miglioramento dell’aria nella Pianura Padana, sottoscritto nell’Ottobre del 2017.

A partire dalla giornata di oggi e per i prossimi 4 giorni, in attesa di nuove rilevazioni, è di fatto vietato l’utilizzo di mezzi privati spinti da motori Euro 5 e dei veicoli commerciali fino ad Euro 4, da cui sono esentati i mezzi impegnati a scopo sanitario.

Essendo il traffico notevolmente inferiore a causa del lockdown, l’innalzamento delle polveri inquinanti è evidentemente da riferire a cause diverse dal trasporto veicolare.  Le condizioni meteorologiche, ad esempio, che da più di un mese sono contraddistinte da una persistenza di alta pressione e dalla totale assenza di precipitazioni. Oppure il funzionamento delle caldaie per il riscaldamento degli ambienti, spesso vetuste e di vecchia generazione e perciò altamente inquinanti.

Aspetti su cui non si può agire, preferendo delle misure facilmente attuabili, anche se non funzionali o che appesantiscono ulteriormente i disagi degli abitanti di queste zone.

Restrizioni che si sarebbero potute evitare se dagli ambienti dell’Esecutivo si fosse prestata una minima attenzione a questi aspetti, ascoltando i territori coinvolti a tempo debito.

Infatti, l’Assessore Regionale all’Ambiente, insieme ai colleghi delle altre Regioni del Bacino Padano, da settimane è in attesa di avere un confronto con il Ministero dell’Ambiente, per proporre delle deroghe eccezionali utili ad evitare questo ulteriore disagio agli abitanti di zone già oggetto di numerose restrizioni.

Il Ministro Costa ed il suo staff, però, ancora non hanno fissato una data per un incontro e questo temporeggiare ha portato ad una situazione che incide ulteriormente sulle spalle delle persone e che sono fuori contesto rispetto al periodo che stiamo vivendo.

Restrizioni che vanno in senso inverso anche alle esigenze ed alle linee guida del periodo. Infatti, con la capienza dei mezzi di trasporto pubblico ridotta al 50%, impedire l’utilizzo di molti mezzi privati porterà, coloro che hanno esigenza di muoversi, ad un utilizzo superiore dei mezzi pubblici, causando ulteriori occasioni di sovraffollamento in un momento in cui questo sarebbe da evitare con ogni misura possibile.

In un periodo difficile e di grande emergenza, ulteriori misure che creano un ulteriore disagio ad oggi non necessario e senza essere utili utile per lo scopo per le quali vengono imposte.

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Minimalisti e sistema sanitario

Minimalisti e sistema sanitario

Ottobre 28, 2020 by Claudio Desirò in News

Capita ancora, girovangando sui social, di leggere post di persone che sono al confine, tra minimalizzazione e negazionismo della pandemia in atto. Oltre ai classici no-mask, no-vax e no-tutto, infatti, si incontrano post di utenti che, probabilmente, vivono in un mondo virtuale tra pagine facebook e canali YouTube di “cazzari” senza pietà. Si parla di ospedali vuoti ed addirittura di attori che recitano la parte di malati in terapia intensiva, magari intubati, arrivando a spacciare teorie strampalate, che parlano di migliaia di asintomatici ricoverati, al solo scopo di riempire i posti letto disponibili negli ospedali. Il senso per cui qualcuno, qualche forza oscura superiore, avrebbe progettato tutto ciò, non è dato sapersi, ma quando si vive sempre con l’ansia di un complotto immaginario, quando si cerca sempre un “cattivo” di turno che manovra tutto dall’alto, è difficile che si sia lucidi per poter ragionare a dovere.

Chi, come me, gli ospedali li frequenta per lavoro o, ancora di più, chi lavora direttamente all’interno dei raparti, invece, la situazione non solo la conosce bene, ma la tocca con mano, quotidianamente. Spesso, vivendone i risvolti sulla propria pelle.

Come la Primavera scorsa, i reparti CoVid, di molte strutture ospedaliere, iniziano ad essere saturi di pazienti malati e, per questo motivo, altri reparti vengono quotidianamente riconvertiti per poter assicurare le cure ai pazienti positivi con sintomi. Già, perché non un solo asintomatico è ricoverato. Gli asintomatici, infatti, rimangono in isolamento fiduciario a casa mentre, in ospedale i posti letto sono occupati da pazienti in Terapia Intensiva e Sub-Intensiva, in quanto richiedono cure mediche adeguate, supporto respiratorio e personale specializzato.

Questo, purtroppo, genera l’esigenza di reperire sempre nuovi spazi, sopratutto quando, come in queste settimane, la pandemia non riesce più ad essere contenuta, portando ad un drastico aumento dei pazienti che necessitano di cure. E questo, di conseguenza, porta a dover chiudere altri reparti per riconvertirli alle esigenze CoVid, non assicurando più le necessarie strutture per la cura di altre patologie.

Quando le persone che pensano che la pandemia non esista, parlano di aumento di mortalità causato da altre patologie o di assenza di assistenza per queste, purtroppo, non vanno molto lontano dalla realtà, ma è la motivazione a sfuggire, in quanto manipolata ad arte dai creatori di bufale e dai sobillatori sociali.

Fin dall’inizio di questa pandemia, infatti, si è sempre sottolineato che, oltre alla mortalità diretta ed alle complicanze associate al virus, l’aspetto più preoccupante sarebbe stato il riflesso sul Sistema Sanitario, a causa dell’alta virulenza dell’agente patogeno. E questo, così come in primavera, sta avvenendo proprio in questi giorni, portando alla sospensione dell’erogazione di molti servizi da parte di numerose strutture ospedaliere delle zone maggiormente colpite.

Questo è uno dei motivi principali per cui si cerca di combattere il più possibile la diffusione della pandemia, anche prendendo misure limitative della libertà personale di tutti noi. Non ci si può permettere, infatti, di far saltare del tutto l’assistenza sanitaria del paese ed il diritto alla salute dei cittadini, a prescindere se positivi o meno a questo nuovo virus.

La situazione attuale, quindi, porta a due considerazioni riguardo il Sistema Sanitario Nazionale, una che parte da lontano, circa il suo indebolimento nel corso degli anni, l’altra, più recente, circa il mancato rafforzamento di questo nei recenti mesi estivi. Già, perché nei mesi che hanno preceduto la prevedibile, ed ampiamente prevista, seconda ondata, nulla è stato fatto per rafforzare il nostro SSN. I partiti di governo ed opposizione, si sono scontrati su posizioni ideologiche e di bandiera riguardo il MES, i cui fondi sarebbero stati fondamentali per assicurare spazi, personale e dotazioni adeguate ad affrontare la situazione che oggi ci vede in difficoltà.

Le carenze strutturali sono rimaste tali ed i posti in Terapia Intensiva, teoricamente da raddoppiare in quanto tagliati negli ultimi quindici anni, sono rimasti in fase progettuale e, dei 4000 posti previsti in più, solamente un migliaio sono stati portati a termine. Senza contare gli spazi CoVid sub intensivi che in diverse regioni stanno venendo approntati solamente in questi giorni, affrontando una disperata corsa contro il tempo. Inoltre, quando alcune cariche istituzionali e della Protezione Civile dicono “abbiamo acquistato i ventilatori polmonari, quindi i posti letto si sarebbero potuti fare”, si scordano, volutamente, di dire che un posto letto di TI non è un ventilatore polmonare. Per creare un effettivo posto letto di TI, infatti, al ventilatore bisogna aggiungere lo spazio necessario (spesso carente), il personale qualificato (non assunto) e tutta una serie di altre attrezzature da acquistare in parallelo (spesa complessiva economicamente più ingente del solo ventilatore polmonare). Aspetti che non vengono mai considerati e che ricadono in un confine nebuloso tra le competenze nazionali, incaricate delle spese sanitarie legate all’emergenza, e le istituzioni regionali, a cui è affidata la gestione del Sistema Sanitario Nazionale.

Al netto delle evidenti carenze gestionali, sopratutto in visione precauzionale, assoggettabili alle istituzioni centrali, un’ulteriore sottovalutazione è invece assoggettabile agli amministratori locali, Governatori ed Assessori alla Sanità regionali in primis. Tra Giunte Regionali che hanno prefissato protocolli differenti e misure cautelative diverse, Assessorati che hanno preventivamente acquistato notevoli quantità di materiale necessario, tra tamponi e mascherine, passando dai guanti fino ai disinfettanti, ed altri che, colpevolmente, non lo hanno fatto, i diversi livelli di assistenza sanitaria garantita nelle 20 regioni italiane, oggi è più evidente che mai.

La crisi pandemica in atto, quindi, una volta superata, dovrà portare ad un completo ripensamento riguardo il nostro Sistema Sanitari Nazionale, sia dal punto di vista del potenziamento, tramite lo stanziamento di fondi adeguati sempre più scarsi negli ultimi anni, sia attraverso una de-regionalizzazione che ha portato gli abitanti delle diverse regioni italiane, ad avere livelli di assistenza sanitaria totalmente diversa tra loro. Non si dovranno più vedere situazioni in cui, anche senza emergenze sanitarie in atto, un cittadino di una Regione abbia diritto ed accesso a cure ed esami a cui, un abitante di una regione diversa, non ha diritto. Il livello dell’assistenza sanitaria e le prestazioni erogate dovranno essere, nuovamente, uguali per tutti, e questo potrà essere possibile solamente ripensando la gestione del SSN a livello centrale. La regionalizzazione, in questi anni, ha portato una diffusa sperequazione territoriale a fronte di tagli economici più o meno sostanziosi a seconda del territorio considerato, con conseguenti livelli assistenziali diversi.

Siamo una Nazione, il diritto alla salute e, di conseguenza alla tutela di questa, deve essere assicurata ed identica per tutti.

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Il nuovo Dpcm e lo sport

Il nuovo Dpcm e lo sport

Ottobre 27, 2020 by Claudio Desirò in News

Il nuovo DPCM in vigore dal 26 ottobre contiene nuove misure restrittive che andranno a colpire duramente diversi settori economici e sociali del nostro paese.

Tra questi, il settore dello sport di base, subirà un nuovo stop che potrebbe mettere a repentaglio la tenuta futura dell’intero comparto. Le società sportive, siano esse ASD o SSD, avevano subito pesanti perdite nei mesi del lockdown e avevano grossi problemi economici e strutturali ben prima dello scatenarsi di questa pandemia. Nei mesi estivi si sono ritrovate ad affrontare onerosi investimenti economici per adeguare le loro procedure e le strutture che le ospitano alle nuove normative. Tutti questi sforzi, però, non basteranno a garantirne l’attività nelle prossime settimane, con il pericolo che l’intero settore non abbia la possibilità di risollevarsi dopo l’attuale crisi sanitaria in atto.

Sebbene si sia ancora in attesa di chiarimenti e di circolari esplicative, serpeggia nell’ambiente una grande preoccupazione circa il futuro di un settore da considerare fondamentale per lo sviluppo della nostra società, con ripercussioni economiche sull’intero paese.

Infatti, lo sport che viene considerato in Italia equivalente ad un’attività di svago, ha invece numerose ripercussioni sociali e sanitarie sulla società. Tutti gli studi di settore, ad esempio, riportano come ogni euro che la pubblica amministrazione investe nel settore, nell’arco di cinque anni, garantisca un risparmio di quattro euro per il Sistema Sanitario. Questo grazie alla capacità dell’attività sportiva, di ridurre tutte quelle patologie endemiche tipiche del nostro tempo: dai problemi cardiovascolari all’obesità, passando per diabete ed ipertensione, che sono anche tra le principali concause delle complicanze e della mortalità da CoVid-19.

Anche alla luce di questo effetto preventivo, unito al rafforzamento del sistema immunitario della persona, le nuove limitazioni, che di fatto impediscono l’attività sportiva, stridono con l’attuale situazione sanitaria in atto. Garantire la possibilità di fare sport, permetterebbe infatti una migliore salute generale dell’individuo che scaricherebbe, così, anche l’enorme stress psicofisico che grava su tutti noi.

Purtroppo, nonostante tutti gli attori coinvolti nel settore abbiamo rispettato scrupolosamente le norme vigenti, cosa riconosciuta dal Ministero dello Sport e che si evince dal fatto che non vi siano cluster di contagio riconducibili all’attività sportiva di base, le restrizioni minacciate all’atto della presentazione del precedente documento, sono state messe in opera col nuovo decreto.

Questo, affosserà di fatto l’intero comparto dello sport di base, creando anche notevoli ripercussioni sul nostro sport di vertice, che potrebbe avere difficoltà a continuare a conseguire quei risultati, nazionali ed internazionali, faticosamente raggiunti negli anni. Proprio lo sport di base, a partire dai giovanissimi, è in grado di formare gli atleti fornendo alle squadre di vertice i campioni di domani.

La crisi in atto sta costringendo, infine, molte società sportive alla chiusura, e questo porterà alla conseguente enorme perdita di posti di lavoro tra addetti, istruttori e tecnici e, le nuove limitazioni, andranno a peggiorare anche questa situazione. Lo sport è salute, benessere psicofisico e crescita valoriale e caratteriale per le giovani generazioni. Come qualsiasi settore culturale della nostra società, va tutelato ed aiutato a vivere in queste settimane e nel futuro.

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Lo sport di base: tra pandemia ed incertezze future

Lo sport di base: tra pandemia ed incertezze future

Ottobre 20, 2020 by Claudio Desirò in News

Fin dal secondo dopoguerra, il nostro paese ha interamente demandato l’organizzazione della pratica sportiva agli enti privati, organizzati in una capillare rete di associazioni sportive, che ha tenuto in piedi l’intero movimento nel tempo. Il mondo dello sport di base, in questo contesto, si è dovuto barcamenare tra gli enormi problemi contingenti, che si è ritrovato a dover affrontare per poter continuare ad esistere. Primo fra tutti, la carenza di investimenti, rappresentato unicamente dal mecenatismo di piccoli o medi imprenditori, e dalle quote associative versate delle famiglie, utilizzate come investimento sul futuro sportivo dei propri figli. Altro problema, assolutamente non secondario, è dovuto alla carenza degli impianti ed alla non adeguatezza di molti di essi, il più delle volte rappresentato da palestre date in uso dagli istituti scolastici.

Problemi affrontati con la voglia e la passione che contraddistingue un mondo spesso basato sul volontariato, dei familiari o dei dirigenti, che si trasformano all’occorrenza in autisti, tecnici, massaggiatori, addetti stampa, pur di poter continuare a portare avanti la propria attività.
In un sistema così debole, oppresso da tante problematiche, la pandemia con le sue conseguenti norme restrittive, si è abbattuta come un ordigno su tutti gli attori coinvolti, sconvolgendo quei capisaldi faticosamente eretti nei decenni passati. La piccola e media impresa, ad esempio, ha ridotto i finanziamenti vedendo incerto il futuro della propria attività. Le famiglie, colpite nelle finanze, si sono ritrovate a dover ridurre la voce spese del proprio bilancio economico, spesso tagliando ciò che viene ritenuto superfluo, come lo sport, purtroppo, è visto nel nostro paese. Su questo, gli indici riguardanti il calo degli iscritti sono impietosi e si parla di decine di migliaia di atleti, dalle giovanili ai campionati seniores, che non hanno rinnovato il tesseramento abbandonando, di fatto, la pratica sportiva. Infine, le strutture che a causa delle normative stringenti, sono divenute ancor più carenti, essendo necessarie in molti casi per poter portare avanti l’attività didattica alla ricerca di spazi congrui.

A complicare ulteriormente la situazione, sono intervenute le maggiori spese che le ASD hanno dovuto affrontare in questi mesi, per adeguare le proprie procedure alle normative in atto, finalizzate a garantire lo svolgimento della pratica sportiva in sicurezza.
Spese affrontate con puro spirito di sacrificio, dettato dalla voglia di riprendere l’attività, pur con tutte le incertezze relative al poter effettivamente proseguire e terminare la stagione sportiva. Stagione iniziata e che, a differenza dello sport di vertice professionistico, non ha causato focolai di infezione, ma che viene messa a forte rischio con l’emanazione dell’ultimo DPCM.
Decreto da interpretare in ogni sua parte perché scritto in modo equivocabile e poco professionale, indice della scarsa importanza con cui si affrontano i problemi legati al mondo dello sport di base. Ancora oggi, a distanza di 2 giorni dall’emanazione di queste regole, infatti, molte federazioni non hanno emesso circolari interpretative, necessarie affinché le ASD possano attivarsi per capire se, ed in che modo, le proprie attività possano proseguire in questa fase.

Ad aggiungere benzina sul fuoco, anche le parole del Premier che in Conferenza Stampa, parla di “notizie giunte riguardo piscine e palestre che sembrerebbero non rispettare le regole”, fissando in una settimana il tempo limite affinché tutti si adeguino. Ci sarebbe da chiedersi, però, se non sarebbe il caso di punire coloro che le regole non le rispettano, piuttosto che punire trasversalmente interi settori, compresi coloro che a fronte di sforzi personali ed economici importanti, hanno la possibilità di proseguire la propria attività, con un grado di sicurezza congruo e simile a tutti quei settori non toccati dai più recenti provvedimenti.
La situazione globale attuale non è per nulla facile, ma il settore sportivo ne è consapevole e si è attivato affinché la salute di tutti sia tutelata, assicurando il diritto allo sport, attuale e futuro.

Anche in questo momento storico difficile, la pratica sportiva dovrebbe tornare ad essere vista come un bene pubblico da tutelare. Un bene pubblico che contribuisce a crescere, caratterialmente e culturalmente, le generazioni future e che apporta benefici economici anche al nostro SSN. Tutti gli studi internazionali, infatti, indicano come ogni Euro investito dalla PA nello sport generi, nell’arco di 5 anni, un risparmio di 4 Euro per il Sistema Sanitario, andando ad abbattere l’incidenza di numerose patologie tipiche della società moderna, come le malattie cardiovascolari.

Un concetto ancora in là dall’essere considerato importante nel nostro paese, dove l’investimento nello sport viene ancora visto come un investimento nel “divertimento e nello svago” e non come un investimento in cultura e salute, e quest’ultimo DPCM, che ne mette a rischio la sopravvivenza, non è che l’ultimo esempio di ciò.
Nonostante gli immensi sforzi messi in atto nei mesi scorsi, nel mondo delle ASD serpeggia il forte timore di non riuscire a superare questo momento difficile. La scarsa attenzione che il mondo politico e sociale ha verso questo settore, così come le scarsissime tutele che sono state date in questi mesi ai lavoratori ed alle associazioni stesse, pongono seri dubbi sulla possibilità che il sistema, già afflitto da diverse problematiche, possa sopravvivere alla pandemia in corso.

Un settore, questo, che necessita di una profonda revisione futura e che oggi, in piena emergenza sanitaria, ha il bisogno di essere tutelato e sostenuto per poter sopravvivere. In un’estate ricca di bonus, dalle vacanze ai monopattini, non è stato studiato nessun incentivo a sostegno del mondo dello sport, come ad esempio un bonus per permettere alle famiglie in difficoltà di poter continuare ad iscrivere i propri figli alla pratica della propria disciplina sportiva preferita.

Il nostro paese non si può permettere di perdere un settore fondamentale per la crescita culturale, personale e sociale delle nuove generazioni, e che, anche in periodo di restrizioni dovute alle norme CoVid, può risultare una valvola di sfogo psicofisico fondamentale per tutti noi e, in particolar modo, per i più giovani.
Il mondo dello sport di base deve essere tutelato e, per questo motivo, le associazioni che si occupano del mantenimento e della diffusione della pratica sportiva, devono essere supportate in questo difficile momento.

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