Matteo Renzi, in Sicilia per un partecipato evento di formazione politica, lancia la corsa all’europee del suo nuovo soggetto il Centro.
Parlare di centro in Sicilia è come parlare di grano. L’isola è stata, e lo è ancora, lo storico granaio del voto moderato, il famoso centro. Qui vi è la sua affinità elettiva, e trova il suo centro di gravità permanente, come diceva Battiato che di Sicilia respirava. E qui ancora abitano gli ultimi Mohicani della razza padrona democristiana. Cosa distinguerebbe quindi la proposta renziana da quella degli altri campioni centristi che razzolano le praterie del consenso siculo?
Renzi, guardando gli interlocutori con aria sagace, formula la risposta. Noi cerchiamo il voto di opinione. È facile? No, per niente. Ed allora perché lo facciamo? Perché saremo gli unici a farlo.
Parlare di centro in Sicilia evoca pasta con le sarde, un termine che fa immaginare uno scambio povero, al ribasso. Come quello pentastellato sul reddito di cittadinanza, che ha trovato miniere di consenso da queste parti. Un gigantesco voto di scambio pagato dai contribuenti.
Ma esiste un voto di opinione in Sicilia? Il suo essere la regione a più alto tasso di povertà certo non aiuta il formarsi di un’opinione libera. I poveri in Sicilia rappresentano circa il 25%della popolazione, oltre un milione di persone.
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Primum vivere, deinde filosofare. Poi c’è il blocco sociale, circa 500.000 elettori in mano al consenso dei partiti che hanno in mano gli strumenti regionali del lavoro, precario o meno. Il cosiddetto voto strutturato. Regionali, Sanità, forestali, partecipate, precari e loro addentellati, sempre meno, familiari. Anche qui c’è un velato voto di scambio, in alcuni casi anche senza veli. Poi c’è l’area del non voto per rassegnazione o indifferenza, due milioni di persone circa. Difficile senza un populismo eclatante convincerli con una proposta logica e di buon senso ad andare a votare. Di fatto l’area del voto di opinione è rappresentata da un milione di persone circa, in cui tutte le opinioni hanno la possibilità di pescare, i moderati di più per ragioni storiche e sociali. E su una percentuale di questa fetta di popolazione su cui punta Renzi. In particolare coloro che hanno un lavoro produttivo, reale, spesso trascurati dai politici di territorio clientelari. Artigiani, imprese commerciali a rischio estinzione, settore turistico in forte difficoltà a causa di assenza di strutture e servizi, aziende di produzione, in forma capitalistica e collettiva, abbandonate da un sistema finanziario ormai carente in Sicilia. La Sicilia che produce vs la Sicilia assistita da rendite di posizione più o meno congrue.
È la Sicilia del ceto medio, che si ricorda gli 80 euro ed il Jobs Act, che una sinistra miope vuole abolire. È la Sicilia che devi convincere a non lasciare la propria isola e ad impegnarsi investendo tempo e risparmi, sempre meno, nella propria terra. Ormai 50.000 siciliani l’anno se ne vanno, creando enormi buchi sul capitale umano, soprattutto quello a maggiore formazione.
Questa Sicilia è sottorappresentata, ci si ricorda di loro solo in campagna elettorale con programmi fasulli ed irrealizzabili, vedi l’effetto del See Sicily sulle aziende turistiche. Dare speranze a questa fetta di Sicilia innescherebbe un circolo virtuoso anche per il resto della popolazione, quella rassegnata a non farsi un’opinione, quella ricattata dal clientelismo, quella fragile, povera e disillusa dall’avere atavicamente la pancia vuota.