marcello pera

Quella Costituente invocata da Pera per una vera riforma della Giustizia

Dopo varie bocciature da parte di magistrati e politici riguardo la riforma della Giustizia, che, per inciso, ha fatto segnare un primo successo in Aula con l’approvazione delle modifiche relative al CSM, arriva, netta, anche la stroncatura dell’ex Presidente del Senato Marcello Pera. Pera si accoda a coloro i quali ritengono la Riforma Cartabia un pannicello caldo che qualcosa fa, ma nulla di realmente concreto sul piano della riforma dell’ordinamento giudiziario, la cui attuale concezione blocca sul nascere ogni tentativo di arginare le problematiche della magistratura italiana.

Infatti, coerentemente, con il proprio pensiero, l’ex FI, invoca una costituente che metta mano al testo fondamentale della Repubblica e ridisegni radicalmente l’aspetto del potere giudiziario in Italia. In mancanza di ciò, ogni intervento è destinato a essere parziale, contingente, e quindi, sostanzialmente inutile. Mancava da tempo un pensiero così radicale in fatto di Giustizia ed è perciò benvenuto un punto di vista completamente alternativo alle posizioni oggi in campo. Da una parte i difensori a spada tratta del testo Cartabia ritenuto o panacea di tutti i mali o al massimo il miglior compromesso possibile viste le forze in campo; dall’altra quelli – in politica e fra le toghe – per cui ogni riforma è lesa maestà al sacro e divino potere di juris-dicere.

Posizione intermedia tra le due le hanno espresse – all’interno della magistratura – Armando Spataro ed Edmondo Bruti Liberati i quali pur contestando l’impianto generale del testo Cartabia ne salvano alcuni spunti e prendono le distanze dall’annunciato – e per ora rimandato – sciopero di categoria. Per Marcello Pera, la riforma qualche elemento di maggior efficienza di sistema lo introduce, ma non c’è da aspettarsi miracoli, nemmeno per quel che riguarda cosiddetto fascicolo di valutazione del magistrato che tanto ha fatto infuriare le toghe. Né, a maggior ragione, sugli altri punti.

Gli aspetti di maggior interesse su cui si concentra il Pera-pensiero sono due. La separazione delle carriere e il CSM. Sul primo punto, non può essere sufficiente la soglia stabilita dal testo per il quale solo una volta in carriera si può verificare il passaggio fra funzione requirente (PM) e funzione giudicante (giudice). O si ha il coraggio di spingersi verso una netta separazione fra pubblica accusa e funzione giudicante, la prima con specifici “avvocati” alle dipendenze dello Stato che hanno il compito di promuovere la perseguibilità penale e la seconda con totale garanzia di terzietà e imparzialità, oppure non se ne faccia niente. Ogni via intermedia è destinata a fallire o quantomeno a non essere utile a nessuno. In altre parole, fino a che unico sarà il concorso, unico l’organo di autogoverno, unica la formazione ecc., le distinzioni di funzione saranno di forma e non di sostanza.

Pare quasi che Pera immagini il diritto angolasassone dove le funzioni nel processo penale sono radicalmente distinte per ruoli e carriere di accesso. Purtroppo, nonostante ogni suggestione che nel tempo ha catturato più di un giurista nostrano, tale sistema in Italia non ha mai attecchito, malgrado la riforma del processo in senso accusatorio con il codice di rito del 1989, potesse dare il via a un organico avvicinamento al common law.

Anche sul Consiglio Superiore della Magistratura Pera è secco. Il problema non è il sistema elettorale ma proprio la legge istitutiva che pone l’organo di autogoverno al di fuori della Costituzione. Infatti, mentre quest’ultima indica precise e limitate funzioni dell’organo, la relativa legge istitutiva ha consentito che il CSM assumesse poteri – non vincolanti s’intende – di proporre pareri, promuovere studi e intraprendere vere e proprie azioni sindacali in favore dei magistrati.
Insomma, nel tempo si sarebbe sviluppato un vero e proprio contropotere che in cambio della concessione (da parte della politica) di numerose facoltà ad esso non spettanti per Costituzione ha ricambiato la stessa classe politica con qualche “favore”.  Da lì, il correntismo e la militanza giudiziaria di qualcuno hanno iniziato a intensificarsi così tanto che dopo Tangentopoli, anche quel patto tacito è completamente saltato proiettandoci verso l’attuale catastrofe.

Qualche novità potrebbero riservarla i referendum se dovessero andare in porto con voto positivo, ma il problema del quorum esiste e il rischio flop è altissimo. E, comunque, secondo l’ex Presidente del Senato, anche lo strumento referendario è talmente grossolano che paradossalmente potrebbe creare dei problemi al nuovo testo (quello emerso a seguito dalle abrogazioni) se confrontato con quello oggetto di riforma parlamentare.  Insomma, per Pera, meglio il referendum che nulla, ma la via maestra rimane quella di una costituente che tra le altre cose si occupi in maniera sistematica del pianeta costituzionale Giustizia riformandolo dalla A alla Z.