La strategia dell’erosione di Matteo Salvini

Non si parla di cambiamenti climatici né di rischio idrogeologico, se ne dovrebbe parlare ma per ora siamo in trend politico negazionista. La strategia dell’erosione è quella che in vista delle europee ha in testa Matteo Salvini. Se controllate le ultime settimane, approfittando dei guai della spensierata combriccola di Fratelli d’Italia, che ha una sorella maggiore che forse non si merita, sta cercando di eroderne il consenso. Sostanzialmente tutti, o quasi, i decimali che FdI perde nei sondaggi vengono recuperati dalla Lega, che prende senza clamore ma con persistenza le distanze dal mantra meloniano. È una strategia della goccia, il tempo c’è, mancano poco più di 10 mesi alle elezioni Europee, e dopo ci sarà un cambio di passo interno alla maggioranza. Salvini sembra che non abbia la responsabilità del governare, e si mantiene distinto e un po’ distante, non troppo per non incattivire l’alleata. Ma perché questa strategia?

Le destre europee, così Salvini scopre il bluff di Giorgia

Salvini ha ben presente come ha perso in un anno di tempo oltre 12 punti stando al governo, mentre la Meloni lucrava all’opposizione. Oggi sono al governo insieme, ma non sembra. Lei, la Premier, dopo aver superato la soglia del trenta per cento è cominciata, passetto dopo passetto, a calare, con lenta ma precisa costanza. È la fatica del governare a cui sono associate le incongruenze di una dirigenza politica non ancora pronta alla difesa di un risultato, e la barca fa acqua, nonostante l’incessante lavoro della Meloni alla pompa di sentina. Ma sono proprio le sentine più nere, che fanno intravedere orizzonti complicati, fra complotti ed oscure trame. Nel frattempo il tenace Salvini, senza un orizzonte chiaro, né europeo né italiano, come un paziente castoro erige la sua diga per ricercare piccole sacche di consenso. Infatti la Meloni, che ha sgamato l’alleato concorrente, intravedendo una possibile fuga in avanti stoppa Durigon e soci sul salario minimo, avocando a se la questione. Ma la tecnicalità dei dieci post al giorno, nulla rispetto alla produttività della Bestia di Morisi, piccoli, ma fastidiosi, è lenta ma costante. Non cerca incidenti diplomatici,  grandi temi come l’Autonomia differenziata, quelle cose le lascia a Zaia e Fedriga, ma 5.000 voti al giorno, 500 qui, 300 là, come i democristiani di provincia, che in 300 giorni sono un bottino. Sono quei voti che gli consentirebbero di ridurre le distanze, se non azzerarle, soprattutto se tolti alla diretta concorrente. È il solito gioco di rimessa all’italiana, dopo il Papeete Matteo deve aver imparato la lezione, probabilmente a casa Verdini.