Zaia lo dimostra, anche da destra si può parlare di diritti civili

In materia di diritti civili, i conservatori nostrani si sono dimostrati molto vicini alle posizioni di paesi come Ungheria e Polonia. Rischiamo una “orbanizzazione” dell’Italia? Beh, di recente non pochi si sono detti preoccupati per alcune posizioni che il nostro Paese sta assumendo in merito ai diritti LGBTQ. Il governo guidato da Fratelli d’Italia, tra le tante cose, è arrivato a proporre di fare della maternità surrogata un reato universale. È evidente poi che l’esecutivo abbia alzato gli scudi sul fronte del diritto all’aborto, per dire. Gli esempi di passi “indietro” però potrebbero moltiplicarsi. Ma la destra non è tutta uguale, ha tante sfumature. E lo spazio politico per un movimento liberal-popolare, c’è. Una «buona destra» progressista, lontana dai valori della «destra estrema».

Per demolire questa destra asfissiante, che vede pericoli ovunque, serve coraggio. Serve il coraggio della libertà di scelta. La vera sfida oggi è dare rappresentanza a un’Italia non di sinistra, ma moderna, non di sinistra ma non razzista. Non stiamo parlando di una prerogativa del centro, abbiamo necessità di una destra diversa da Lega e Fratelli d’Italia. Una destra laica, progressista, europeista, convinta che le diversità siano un valore aggiunto in una società. Una «buona destra» che investa sé stessa nella promozione di diritti e opportunità di libertà per tutti e per ciascuno. Sì, perché è possibile a destra parlare di diritti civili e l’intervista al governatore del Veneto Luca Zaia su «La Ragione» di oggi lo dimostra. Non esiste che l’aborto sia un tema di destra o di sinistra, che il fine vita sia un tema di destra o di sinistra, o che altri temi etici siano di destra o di sinistra. Sono argomenti delicati, urgenti, che vanno affrontati. Punto. Basta mettere la testa sotto la sabbia!

È chiaro, occorre una «buona destra» che si rimbocchi le maniche per rendere il nostro Paese più equo, forte, veloce. La nascita del Governo Draghi era stato un tentativo in questa direzione, ma l’ex numero uno della Bce era un tecnico, non un politico. Le ragioni che ci hanno portato a lui sono note a tutti, inutile ripeterle. Abbiamo sentito l’urgenza di delegare le decisioni più importanti per il futuro del Paese ad un tecnico perché l’Italia ancora una volta si era mostrata paralizzata dalla propaganda (e lo è ancora oggi, lo stiamo vedendo con il recente caso del reddito di cittadinanza) e dall’incapacità di chi diceva di essere pronto. L’ex presidente del consiglio Mario Draghi ci ha lasciato però una preziosa eredità: l’asse della politica si deve spostare sulla decisione. Non la politica che pianta bandierine, ma quella del fare. L’Italia deve guardare avanti, tornare ad investire nel futuro, facendo leva sulla sua grande storia. 

Come deve essere questa «buona destra», ricapitolando? Qualche tempo fa in un’intervista a «Linkiesta» Filippo Rossi l’ha descritta con chiarezza: «I principi sono quelli della crescita economica, dello sviluppo, del liberare l’Italia da una stagnazione opprimente, la laicità sicuramente, assieme all’umanesimo e ad altri valori che l’estrema destra non accettano come tali. Questo è lo spazio. L’elettorato c’è, c’è da sempre, e oggi magari vota Fratelli d’Italia o la Lega per mancanza di alternative. La verità vera è che c’è un vuoto nell’offerta e non nella domanda. Manca l’offerta che possa intercettare questo elettorato». 

L’estrema destra italiana, in particolare Fratelli d’Italia, è ancora legata al passato, alle destre polacche, ungheresi e dell’est, quelle più radicali, che stanno erigendo, pietra su pietra, un muro sui diritti civili. I mattoni a cui la «buona destra» invece vuol far ricorso servirebbero invece per la costruzione di una casa ideale in cui nessuno si senta discriminato per la propria religione, colore della pelle o identità di genere. Capite bene la differenza?