Israele divisa, Gaza senza exit strategy. Una guerra che non può essere vinta

L’idea di Netanyahu di occupare Gaza, non solo in senso militare ma territoriale rappresenta il cul de sac dove sta finendo Israele. Perfino Biden ha capito che è un binario morto, ma soprattutto lo dichiara Ehud Olmert, ex premier israeliano. L’oppositore del governo attuale dice delle cose impopolari, per una parte retriva di Israele, ma chiare. Bisogna tornare ai confini del 1967, trasferire oltre 200.000 coloni, praticamente il 3% della popolazione, e dare Gerusalemme Est ai Palestinesi come loro Capitale.

Mai erano state pronunciate parole così nette e sorprendenti da un leader israeliano, capo del Likud, non certo un progressista, soprattutto in un momento di falsa unità nazionale. In Israele non c’è unità, né sociale né politica, c’è una quasi unitaria commozione per i morti del 7 ottobre, ed una maggioranza di israeliani che preme per la liberazione degli ostaggi, a qualunque prezzo politico. Netanyahu lo sa, e sta giocando a poker, non con il suo destino, quello è pressoché segnato, ma con la sopravvivenza civile ed internazionale dell’idea dello Stato d’Israele, due cose interdipendenti, ma che lui ignora. Può una minoranza, seppur compatta, distruggere una Nazione? Israele lo sta facendo, e questo dovrebbe fare riflettere molto l’Occidente, il suo modello di pensiero prima, e di società poi.

Leggi anche: C’è una sinistra da bispensiero orwelliano che giustifica Hamas

Occupare una delle zone a più alta densità del mondo, oggi raddoppiata in minori spazi a causa dei bombardamenti, in cui ogni famiglia ha avuto almeno un morto, se non di più, per mano israeliana è un suicidio militare e politico. Gaza è il Vietnam, con cui si è dimostrato che gli Usa erano deboli. Un giorno puoi essere sorpreso, come è successo il 7 ottobre, ma se occupi Gaza ogni giorno sarai sorpreso, e avrai rinunciato per sempre alla Comunità internazionale, perché ogni alba, che il Dio di tutti manda in terra, sarai o odiato, o detestato. Quella terra non è solo il confine, ma è il fallimento di due mondi, quello occidentale e quello orientale, e di due visioni dello stesso. Di fatto non c’è un Israele, perché è profondamente diviso, come erano divise le antiche dodici tribù, e se si mettessero in fila i gruppi in cui sono divisi i palestinesi si arriverebbe a Doha. Non può esserci uno Stato Palestinese perché non c’è uno Stato d’Israele oggi. È questo che dice Olmert di fatto nella sua intervista.

C’è una guerra tribale come in Ruanda, oggi la terra della fallimentare, che noi italiani vogliamo copiare, deportazione inglese. Guarda caso proprio gli inglesi sono stati nel 1948 gli ignavi, o meno, complici dell’inizio della Guerra Eterna, quella dell’odio. Agli Inglesi, a fine ciclo imperiale, si sono sostituiti gli USA, con poca esperienza e pochissime idee alla Camp David. L’unica cosa che possa fare star bene quelle popolazioni è terra certa, sviluppo e benessere. Si potevano fare lì i mondiali di Calcio invece che a Doha, con i dollari qatarini e con l’influenza europea, invece di prendersi quattro spiccioli di tangenti. Serve un investimento di responsabilità e sviluppo in quella Terra, Promessa oggi solo ad essere un Inferno.