Anche Intesa non paga: il fallimento del governo Meloni con l’imposta sugli extraprofitti li

Dopo Unicredit, ora anche Intesa Sanpaolo ha scelto di non pagare allo stato l’imposta sugli extra profitti e di rafforzare il patrimonio della banca destinando una notevole somma a una “riserva non distribuibile.” Questa decisione è stata presa dopo un’assemblea dei soci, che ha deliberato la destinazione di oltre 2 miliardi di euro a questa riserva.

La motivazione dietro questa scelta è interessante. Unicredit prima, e ora Intesa Sanpaolo, hanno optato per questa soluzione al fine di prediligere la solidità del proprio patrimonio anziché distribuire dividendi ai propri azionisti. In un periodo in cui il settore bancario sta affrontando numerose sfide, tra cui bassi tassi di interesse e crescente regolamentazione, la decisione di consolidare la propria posizione finanziaria è significativa.

Questa tendenza sembra possa estendersi a diverse banche quotate in Borsa in Italia, come Banco BPM, BPER, MPS, e Popolare di Sondrio. Non è sorprendente che queste istituzioni finanziarie seguano l’esempio di Unicredit e Intesa Sanpaolo, considerando il clima economico e normativo attuale.

Il problema è il contesto in cui è nata la tassa sugli extra profitti. La misura, proposta dal governo italiano, ha generato una significativa controversia e ha attirato l’attenzione internazionale. Come ammesso dal sottosegretario al Ministero dell’Economia, Federico Freni, la comunicazione della tassa è stata deficitaria e ha alimentato la sfiducia degli investitori.

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Ciò che inizialmente doveva essere una tassa sui profitti eccezionali delle banche si è trasformata in una leva per il rafforzamento del sistema bancario. Questo ha portato ad una perdita di credibilità per il governo italiano sui mercati finanziari internazionali. Al di là delle questioni economiche, questa tassa è diventata una tassa sulla fiducia nel paese.

Un passo diverso e più efficace avrebbe potuto essere intrapreso. La concertazione tra il governo e le banche avrebbe potuto portare a un risultato diverso, evitando figuracce internazionali e scossoni sui titoli in Borsa. Una cooperazione più stretta avrebbe potuto produrre una soluzione che soddisfacesse le esigenze finanziarie dello Stato e le necessità delle banche.

Invece la misura governativa, comunicata male e controversa, ha trasformato una tassa sui profitti eccezionali delle banche in un danno alla fiducia internazionale nel paese. Mentre le banche italiane cercano di rafforzare la propria posizione finanziaria, è fondamentale che il governo e il settore finanziario lavorino insieme per raggiungere un equilibrio che promuova la stabilità economica e la fiducia nei mercati internazionali.