Studiare Santanchè e capire la destra meloniana del vorrei ma non posso

Dopo le polemiche in seguito all’ultimo servizio di «Report» sulle aziende della ministra Daniela Santanchè, arriva l’ok del governo all’odg del Pd, che cita il caso della società Visibilia. Le accuse, del resto, sono gravi, sono oggetto di inchieste da parte della Consob e della Procura di Milano. Si va dal falso in bilancio al mancato pagamento dei dipendenti, fino allo scorretto utilizzo dei fondi erogati alle imprese durante il Covid mai restituiti. Un’inchiesta che secondo Santanchè risulterebbe «priva di corrispondenza con la verità storica (…) con la finalità di screditare la mia immagine e reputazione». 

Un caso quello della ministra che, diciamolo chiaramente, mette in difficoltà Fratelli di Italia, che ha costruito la sua fortuna sul principio della coerenza. Mai contraddirsi, per carità. Mai creare un precedente da dare in pasto agli avversari (questo almeno negli intenti). Loro son quelli de “la pacchia è finita”, della ‘sobrietà’ al primo posto. Il 5 luglio la ministra per il Turismo sarà in Aula al Senato per una informativa e per molti di destra sarà un sacrificio non da poco. Lo spiega bene Flavia Perina su «La Stampa»: “Se alzare gli scudi per Giovanni Donzelli o Andrea Del Mastro o Carlo Fidanza risultò istintivo nella logica del ‘sono dei nostri e dobbiamo comunque sostenerli’, Daniela Santanché non si sa con esattezza di chi sia, o meglio è evidente che è solo sua, dei suoi affari, della sua carriera, della sua vita da Pitonessa, che si credeva archiviata dall’incarico ministeriale e invece torna a galla e fa inciampare la destra in una storia assai poco in linea con la filosofia degli underdog”.

La Santanché “è piuttosto la regina degli overdog (si dice?), dell’overblown, dell’overdressed, personaggio favoloso a cui si deve dare atto di aver scalato il mondo di FdI senza nulla cedere agli stilemi fondativi della destra italiana: la Cinquecento di Giorgio Almirante, Teodoro Buontempo che dorme in macchina a Villa Borghese, le befane tricolori di Amalia Baccelli e tutto il dignitosissimo pauperismo che fu la cifra dell’antico mondo del MsI e di An”, ha evidenziato Perina, che ha vergato un ritratto della ministra del turismo finita nella bufera. Poi sul finale una conclusione che ci sentiamo di condividere: “Sembra difficile incastrare questa rutilante biografia nel perimetro definito dagli slogan della destra meloniana e soprattutto dal principio di coerenza che è stato, sempre, l’asso nella manica della premier insieme alla rivendicazione di un professionismo politico sobrio, dritto e indisponibile a cercare scorciatoie anche nei momenti più difficili”.

È solo apparenza: “In quella storia Daniela Santanché ci sta a pieno titolo, fin da quando nel 2005 conquistò la guida del Dipartimento Pari Opportunità di Alleanza nazionale ed esordì nella sua prima convention nazionale distribuendo una courtesy bag rosa al posto del solito documento programmatico. Funzionò. E fin da allora risultò chiaro che l’onorevole aveva intuito molto bene il punto debole della destra italiana, cioè il complesso di Eliza Doolittle, la voglia di indossare un bel vestito ed entrare in società dalla porta principale per farsi My Fair Lady alla festa che aveva visto solo nei film o sulle riviste”, evidenzia Perina. Come a voler far capire che per Santanchè la politica è sempre venuta dopo.