Rocco Chinnici e i suoi mille fratelli: spunti critici sulla commemorazione

Il 29 luglio c’è stata la commemorazione di Rocco Chinnici nel quarantesimo anniversario della strage che uccise lui, due uomini di scorta e il compianto Stefano Li Sacchi. Sul web si avventurano immaginifiche considerazioni su cosa avrebbe pensato il giudice dei presenti alla sua commemorazione. Sembra che tutti lo conoscessero bene per scrivere tanti commenti, sembra pieno di fratelli benpensanti oggi Rocco Chinnici. Cosa avrebbe pensato di Lagalla e di coloro che lo hanno votato, di Schifani e di coloro che in alcuni ambienti ne parlavano bene, perfino dei passaggi politici di sua figlia, anch’essa come il padre magistrato, Caterina. Io ho conosciuto Rocco Chinnici, era un amico di famiglia, abitavamo nello stesso palazzo, lui al terzo io al sesto. Avevo stima della sua imponente figura quando ero ragazzino, con suo figlio Giovanni abbiamo la stessa età, e mi preoccupavo di incontrarlo in portineria, non per paura di attentati, ma perché mi interrogava sui miei studi. Per quanto avesse una faccia mite mi incuteva soggezione, e se non mi ricordavo il perfetto di erkomai? Uscivamo insieme di mattina perché lui spesso accompagnava a scuola suo figlio.

Ma le scuole erano finite in quel luglio di quarant’anni fa. E noi eravamo con la famiglia al mare. Era rimasta solo mia nonna in via Federico Pipitone quel giorno tremendo. La scena che vedemmo tornando in via Pipitone sembrava Beirut. Non so io cosa pensi di quello che succede oggi intorno a lui il giudice Chinnici, penso che nessuno lo possa sapere con precisione. Forse però penso cosa penserebbe Stefano Li Sacchi, il portiere dello stabile. Era una persona buona e laboriosa Stefano. Ci aiutava a fare la salsa in campagna, diceva che i pomodori che compravamo erano troppo acquosi, la salsa che faceva lui non riusciva quasi ad uscire dalle bottiglie per quanto era densa. Veniva da Geraci, era un uomo di montagna. Avrebbe riscontrato molto ipocrisia forse, era rispettoso ma le manfrine non penso che gli piacessero, forse da lassù è dispiaciuto di non aver potuto vedere i progressi della sua adorata nipote Lucia, non aveva avuto figli. Lui non c’entrava niente, la cosiddetta vittima innocente, un’accidentale conseguenza gli ha tolto la vita. Se fosse stato per un’incombenza dall’altro lato dello stabile sarebbe ancora vivo. Invece lui era lì, a salutare il giudice che usciva per andare al lavoro, forse presentendo qualcosa, anche se non così eclatante. Eravamo entrati nel mondo delle stragi, che proseguirono a colpi di esplosivo per dieci anni.

Furono anni di piombo e tritolo, Non solo nel mio palazzo, alla fine della strada fu ucciso Mattarella, ed Insalaco, l’ex sindaco, dietro l’angolo. Il quartiere fu denso di sangue, come in alcuni isolati di Belfast. Io non penso che oggi Rocco Chinnici perda tempo a pensare delle persone presenti alla sua cerimonia funebre. Penso che invece sono costoro a dover riflettere bene, ad interrogarsi negli abiti blu. La loro coscienza oggi pesa del sacrificio di tanti.