Lavoro povero, salari poveri: la necessità della meritocrazia nella retribuzione

Poveri. In una società giusta e libera ci si pone il problema dei poveri. Se prendiamo come riferimento gli ultimi dieci anni prima del Covid ci accorgiamo che parallelamente all’aumento di spesa per assistenza (circa 42 miliardi), quindi per contrastare e ridurre la povertà, questa è aumentata, siamo all’assurdo che più spendi e più i poveri aumentano.

Poi a conti fatti ci siamo resi conto che chi fa la fila alla Caritas per un piatto di pasta pochissimi prendono il reddito di cittadinanza alla faccia della povertà abolita per decreto dai balconi romani.
Tutto questo dimostra in modo allucinante che non abbiamo dato i soldi ai poveri, agli italiani abbiamo detto un’ altra cosa: se vuoi i soldi devi essere povero in un certo modo e in questo modo abbiamo realizzato la fabbrica dei poveri. Noi i poveri li fabbrichiamo e li fabbrichiamo proprio con l’idea che devono essere aiutati in quel modo dissennato. Però i poveri ci sono, eccome se ci sono, perché per convenienza nessuno si mette in fila per un piatto di minestra.

E cosa si fa per i poveri oltre a sperperare capitali? L’incubo per i genitori poveri è che i loro figli sono poveri per colpa loro ma allora se questo è il problema devi dare loro una scuola meritocratica e selettiva, tant’è che la loro capacità diventi ricchezza e in questo modo scalzi la posizione di chi è ricco di famiglia.
Ai sindacati va detto a chiare lettere (spiegare no perché già sanno e in maniera intellettualmente disonestà fanno finta di niente) che se ad ogni rinnovo contrattuale, i soldi vengono dati in parti uguali a tutti a prescindere dal merito, in questo modo state fottendo poveri, di cui vi riempite la bocca ad ogni possibile occasione.

Quello che serve è che da un lavoro povero si possa passare ad un lavoro migliore ma allora c’è bisogno di meritocrazia nel mondo del lavoro e nella retribuzione. Se non ho meritocrazia, non ho produttività e conseguentemente avrò salari più poveri. Quindi se vogliamo combattere la povertà dobbiamo mettere in moto la meritocrazia e con essa l’ascensore sociale bloccato dall’egualitarismo e dal corporativismo. A questo punto una domanda è d’obbligo: il salario minimo per legge uguale per tutti ha veramente un senso? O è un altro modo per fottere i poveri?

La politica per essere vera è un insieme di ideali e interessi. Se è solo ideali è una cosa nobile ma superficiale, se è solo interessi è corporativismo. Quindi ideali e interessi, ed è sacrosanto che la politica abbia l’interesse di combattere la povertà ma allora se come strumento uso il salario minimo e so che questo funziona in Paesi con economie avanzate ad alta produttività, ecco che questo assume un altro dimensione rispetto al ragionamento puramente teorico che lo supporta. Piaccia o meno assume una dimensione identitaria e non più strumento giusto o sbagliato che sia.

Una dimensione identitaria che ha a che fare con l’egualitarismo di sinistra memoria, responsabile dello stato di fatto oggi presente in Italia e oltretutto è il comune denominatore con il quale si va a compattare le opposizioni che, guarda caso, rappresentano la sinistra nel suo complesso e che è saldamente ancorata al populismo di cui il grillismo ne è solo una parte. Il più o meno tatticismo di Renzi conta poco per non dire nulla. A questo fa da contraltare quel fronte repubblicano che ha come collante quella costituzione che si vuole mantenere inalterata nella prima parte, senza riscrivere il nuovo patto fondativo di una società fondata sul merito, sulle opportunità, sul desiderio di realizzazione di sé. Di PD ce ne è uno, e questo basta e avanza senza che Azione cerchi di diventare il PD 2.0. Abbiamo già dato.