Prove di difesa comune europea in Libia: l’Italia resterà al palo?

di Andrea Molle 

In questi giorni circolano insistentemente voci di una richiesta avanzata dalle cancellerie europee, in particolare da Berlino, di piani per un possibile intervento militare, boots on the ground, dell’Unione in Libia. Da un punto di vista strettamente operativo non si tratta di una notizia sorprendente. Tutte le principali Forze Armate del mondo pianificano da sempre ogni scenario possibile, inclusi i più improbabili. Negli Stati Uniti, ad esempio, non è certo una novità prepararsi per invadere la Russia, occupare l’Antartide, o operare militarmente nello spazio suborbitale. In Europa, a partire dalla Guerra Fredda, sono stati molti i piani preparati per far fronte ad un’invasione sovietica del continente. Esistono però ragioni oggettive che rendono un tale intervento altamente improbabile e dunque, sostanzialmente, un esercizio di comunicazione politica.

Passare dalla pianificazione come mero esercizio strategico ai fatti implica l’esistenza di una volontà politica che legittimi il potenziale intervento. Una premessa, in questo caso, completamente irrealistica, non esistendo i presupposti politici né per una richiesta di intervento da parte del governo libico, che ormai vede nella Turchia un alleato in grado di proteggerne gli interessi, né per un intervento unilaterare, magari sotto mandato ONU, giustificato da ragioni umanitarie. Da quando la Turchia si è insediata saldamente a Tripoli ogni opzione militare europea è di fatto preclusa. Vi sono poi quei leader politici, per fortuna una minoranza, che ancora pensano che negoziare con Ankara possa servire ad arginare i flussi migratori, sul modello di quanto successo in seguito alla crisi siriana, e sia dunque meglio temporeggiare.

Oltre alla posizione del Governo di Tripoli, è chiaro inoltre che nemmeno il Generale Haftar accetterebbe mai un intervento europeo, sia perché è un convinto nazionalista, sia perché il suo consenso interno si basa su una postura antioccidentale più o meno di facciata. Le uniche opzioni per un intervento militare sarebbero, a questo punto, il provvidenziale ritrovamento di depositi di “armi di distruzione di massa” o la ricerca di una escalation in mare nella ZEE dichiarata dai libici. Tutte opzioni palesemente irrealistiche e, soprattutto, non auspicabili.
Sul piano politico, tuttavia, la manifestata volontà di non escludere l’opzione militare è un segnale importante che mette in luce l’esistenza di una precisa volontà di arrivare ad una maggior integrazione dello strumento di difesa europea, già avanzata enormemente con la creazione dell’Agenzia Europea di Difesa e dai programmi PESCO (Permanent Structured Cooperation) e che soprattutto implica il superamente dell’attuale principio del “NATO First” e cioè la subordinazione di ogni intervento europeo al placet dell’Alleanza Atlantica.

La natura squisitamente politica della richiesa tedesca è un’occasione che non dovrebbe essere sprecata, soprattutto dall’Italia che, in funzione delle sue attuali capacità e della localizzazione geografica, potrebbe avere un ruolo di primo piano nelle future Forze Armate Europee. Purtroppo però l’Italia da anni temporeggia sul processo di convergenza, quando non lo ostacola direttamente per convenienza politica. Nel primo governo Conte, ad esempio, il Ministro Trenta dimostrò sempre scarso entusiasmo per le proposte da Bruxelles e di fatto creò le condizioni per l’escusione dell’Italia dai ruoli chiavi della Difesa Europea. Il risultato di questa azione politica miope fu di vedere assegnato al nostro paese una posizione marginale per le iniziative finanziate dal Fondo europeo di difesa (Edf), per cui l’allora Commissione uscente aveva previsto un impegno da 13 miliardi di euro per l’esercizio finanziario 2021-2027.

La situazione non è sicuramente migliorata con il cambio di maggioranza e l’insediarsi di un nuovo Ministro della Difesa. Non fa ben sperare la persistenza nel Movimento 5 Stelle di una retorica elettorare fatta di improbabili tagli alla spesa per il comparto militare, che andrebbe invece a nostro avviso finanziato maggiormente. Lo stesso vale per la posizione di Lega e FdI che si oppongono per principio ad ogni iniziativa promossa dal presunto asse Franco-Tedesco, soprattutto quando può essere presentata come un attacco alla sovranità del nostro paese. Il rischio è dunque che l’Europa, sempre più a geometria variabile, vada avanti senza l’Italia e che il nostro paese finisca per occupare una posizione sempre più debole e marginale nel sistema delle relazioni internazionali. “