Populisti in stato confusionale, la Meloni balla da sola e qualcosa in centro si muove

Dopo convulse ore, tra maratone Mentana e soporifere Porte a Porta, resta solo una gran confusione sul tappeto della politica italiana. Sotto il tappeto la polvere si sta accumulando, con decisioni rinviate, leadership frustrate, populismi sull’orlo di una crisi di nervi.

Alcuni dati sono comunque chiari. Il PD tiene per la forza della sua struttura e per il cannibalismo tattico nei confronti dei 5 Stelle. Ma ormai si sono mangiati il filetto, gli rimangono ossa e nervi, sempre più infiammati. FdI cresce soprattutto al nord, dove punta la Meloni, la parte ricca e pensante del Paese. Però pur crescendo non sfonda al Sud, dove la galassia centrista e glocalista resiste. In questo quadro c’è l’evanescenza di Forza Italia nelle regioni del Nord e Palermo, che diventa la capitale dell’ex impero berlusconiano. Giorgia, madre e patriota, punta ad essere sempre più differente dai suoi compagni di coalizione, a meno di loro dichiarate sudditanze di leadership e linea politica.

Il centro comincia a dare segni di esistenza e in alcuni casi di protagonismo, in particolare con Calenda sia a Palermo che a L’Aquila. Palermo in particolare diventa laboratorio politico con Ferrandelli che prende il 14%, con Faraone che conquista tre consiglieri nella lista di Lagalla, con altri ex renziani che innervano Forza Italia, e con tante liste minori.

Salvini sembra ormai un Cristo che attraversa il deserto prima del Golgota. Soltanto che in politica dopo il calvario raramente c’è la resurrezione. I conti arriveranno, a meno di fatti nuovi eclatanti, tipo nuove avventure all’estero, dopo le nazionali. E saranno conti salati. Certamente tutto farà Salvini tranne che andare con la Meloni a cui oggi può solo reggere la borsetta.

Conte ha capito che finché c’è Draghi per lui non c’è speranza, soprattutto in alleanza con un PD governista e cannibale. Dovrà fare di tutto per liberarsi da questo abbraccio mortale per il suo movimento.

Questo quadro fa intravedere un flop di sistema frazionato per le prossime nazionali. Il maggioritario, al di là delle dichiarazioni stantie, è arrivato al capolinea, non serve più nemmeno per spartirsi il potere, altrimenti non ci sarebbe Draghi. In un quadro del genere, con innalzamento di tassi e spread, e con una recessione che corre verso la stagflazione, rischiamo l’osso del collo, rimarremo al buio e senza benzina, con un potere d’acquisto depressivo.

Ci sono le condizioni per rompere lo schema dell’attuale sistema politico, abbandonare il divisivo maggioritario, che allontana elettori, e tornare al proporzionale che sommava partiti e comunità intermedie. Ci vorrebbe qualcuno capace di rompere la finta alleanza di facciata sul maggioritario, ridando libertà ai partiti ed alla costruzione della politica. Quel qualcuno sembra abbia l’identikit di Matteo Renzi, l’unico e solo rottamatore.

In Sicilia ci sono a novembre elezioni regionali che sono sempre le preview di quelle nazionali, in un sistema a turno unico in cui vince, come in una roulette russa, chi prende un voto in più. Saranno probabilmente, ai sensi delle tensioni e delle divisioni di campo, il laboratorio di ciò che avverrà a livello nazionale. In Sicilia, rispetto ad altre regioni d’Italia, il centro moderato esiste e resiste, e vuole contarsi.