Banca Etruria, assolto papà Boschi, ma per l’ex ministra fu macchina del fango

Si chiude un altro capitolo del processo per il crac di Banca Etruria e in particolare quello relativo alle cosiddette consulenze d’oro che nel 2014 avevano accompagnato l’ipotesi di fusione (poi non concretizzata) tra la banca aretina e la Banca Popolare di Vicenza. E si chiude con l’ assoluzione piena “perché il fatto non sussiste” per tutti i 14 imputati, accusati di vari reati tra cui bancarotta semplice e colposa, fra cui Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena, già sottosegretario e ministro nei governi Renzi e Gentiloni. Il Pubblico Ministero Angela Masiello aveva richiesto condanne che andavano dagli 8 mesi all’anno di reclusione, ma il Giudice Ada Grignani ha respinto l’impianto accusatorio della procura con una camera di consiglio durata meno di un’ora. Questa sentenza, peraltro, segue quella dello scorso Ottobre, nell’ambito dell’inchiesta principale per il crac, e che aveva assolto altri 22 imputati.

Insomma, vedremo motivazioni e sviluppi ma, rebus sic stantibus, crolla un’altra “super-inchiesta” che coinvolgeva – seppur indirettamente – una personalità politica di primo piano. Rimane quel senso di vuoto e di silenzio sconcertato se si ripensa alla spettacolarizzazione di quella vicenda finalizzata a massacrare Maria Elena Boschi e che ha visto parte della stampa e parte della politica uniti come un sol uomo contro l’ex sottosegretaria ed ex ministra. Si ricorderà come dal 2015 , Maria Elena Boschi sia stata pesantemente attaccata a causa della vicenda Banca Etruria strumentalizzando il coinvolgimento del padre nell’inchiesta. Certa informazione molto sensibile alle tesi accusatorie ma del tutto indifferente di fronte alle assoluzioni, ha affondato il colpo senza vergogna e senza pietà, facendo sponda con il Movimento Cinque Stelle che ha cavalcato, non da solo, l’onda giustizialista scatenata contro i Boschi. Si ricorderanno gli articoli sul Fatto Quotidiano relativi a una “fortificazione” della casa di Pier Luigi Boschi di fronte alla furia dei risparmiatori, o gli attacchi quotidiani dei vari Travaglio o Scanzi, fino alle parole al vetriolo di esponenti del Movimento 5 Stelle e della Lega ( M5S: “la sottosegretaria è una bugiarda, dovrebbe dimettersi”; Salvini ; “Nell’affare banche c’è dentro fino al collo”). Sarebbe il caso di chieder conto a costoro di queste improvvide affermazioni oggi smentite dalla magistratura, ma già sappiamo che nessuno lo farà.

Ha, quindi, ragione Carlo Calenda che, alla luce dell’assoluzione giunta ieri, così commenta: “Maria Elena è stata vittima di un linciaggio mediatico e giudiziario che non ha paragoni. Ed è accaduto perché è una donna bella, tosta, preparata e intelligente. Fine”. Game, Set Match! Non c’è altro da aggiungere. In poche parole, il leader di Azione ha sintetizzato magistralmente sette anni di fango.
La diretta interessata ha confessato di aver pianto a seguito della sentenza e della fine di una vicenda durata sette anni. “Si chiude – dice Boschi – nell’unico modo possibile, con la certezza che mio padre era innocente”.

Il tema ovviamente non è il merito del processo – vedremo se ci saranno altri gradi di giudizio e vedremo come andrà alla fine – né lo è la giusta e legittima tutela dei risparmiatori che hanno visto letteralmente bruciati i propri risparmi in operazioni che andranno capite e indagate. Il tema è l’uso strumentale che viene fatto del processo a fini mediatici e politici. Il vero nodo è il porre fine a questa deriva di populismo giudiziario per il quale non sono importanti i fatti ma solo l’uso strumentale che se ne può fare. Insomma, a disarticolare quel famoso fattore M di cui parla Luigi De Gregorio nel libro “Demopatia” e che sta a indicare un cortocircuito pericoloso fra Magistratura e Media (e politica complice).

Un primo passo importante certamente è stato il Decreto sulla Presunzione di Innocenza, ma è evidente che non basta. Perché il problema non è solo un qualsiasi pubblico ministero eccessivamente sovrapposto dal punto di vista mediatico (e nel caso di specie, il comportamento della Dott.ssa Masiello è stato ineccepibile), ma è proprio l’assoluta incontinenza becera di pennivendoli e politicanti da strapazzo che si gettano come iene sul leone morente del tutto indifferenti alla verità. Questo è un problema che coinvolge certamente la magistratura requirente, ma soprattutto giornalisti e politici.

Oggi che è stata scritta una verità processuale, qualcuno dovrebbe chiedere scusa, ma già si sa che nessuno lo farà e il problema rimarrà invariato, fino alla prossima inchiesta.