La normalità polacca, la destra liberale si oppone a quella estrema. Capito Tajani?

La situazione politica in cui versa oggi la Polonia è lo specchio di una profonda spaccatura tra due visioni opposte del paese: una, che vuole preservare un legame solido con l’Europa e i suoi valori, e un’altra, che preferisce una via sovranista, autarchica e aggressiva. In altri termini, la Polonia risulta divisa tra due anime: una che si oppone strenuamente al governo conservatore del PiS (Diritto e Giustizia) e una che lo sostiene. Tale sfasatura è emersa prepotentemente in questi ultimi giorni, quando si sono verificati due eventi di capitale importanza, di cui forse i media non hanno parlato abbastanza: una grande manifestazione di protesta a Varsavia e una condanna della Corte di Giustizia europea alla riforma della giustizia polacca.

Domenica 4 giugno, mezzo milione di persone hanno riempito le strade della capitale polacca per esprimere il loro dissenso nei confronti della politica del governo di Jaroslaw Kaczynski, accusato di limitare i diritti civili e di essere una figura, come dire, “poco limpida”. Per la manifestazione – convocata dall’ex premier Donald Tusk, leader del principale partito di opposizione, la Piattaforma Civica (PO), nonché potenziale candidato alle prossime elezioni in programma per l’autunno – non è stata scelta una data a caso. Difatti il 4 giugno è l’anniversario delle prime elezioni semi-libere del 1989, che hanno decretato la fine del comunismo in Polonia. Nel suo discorso alla folla, Tusk ha promesso di guidare l’opposizione alla vittoria alle prossime elezioni; lo stesso si è detto pronto a difendere i valori democratici, tolleranti ed europei della Polonia, frenando le spinte autoritarie e isolazioniste del governo. Degna di nota alla marcia la presenza di Lech Walesa, lo storico leader del sindacato Solidarnosc e primo presidente democratico della Polonia dopo il comunismo.

Il giorno dopo la manifestazione, il 5 giugno, la Corte di Giustizia europea ha emesso una sentenza che condanna la Polonia per la riforma della giustizia. È stato, infatti, accolto il ricorso della Commissione europea secondo cui il provvedimento rappresentava una minaccia all’indipendenza dei giudici. Come chiarisce l’«Ansa» il 14 luglio 2021 il giudice europeo aveva ordinato la sospensione dell’applicazione delle norme relative in particolare alle competenze della camera disciplinare della Corte suprema. Ad ottobre 2021 la Corte ha comminato una multa da un milione di euro al giorno per non aver sospeso la camera disciplinare, multa dimezzata ad aprile scorso dopo il parziale adempimento da parte di Varsavia. Il governo polacco ha subito attaccato la Corte di giustizia dell’Ue dopo la bocciatura, definendo il verdetto “corrotto”. 

La sentenza della Corte può inasprire ulteriormente i rapporti fra Bruxelles e Varsavia, questo è chiaro. Il governo di destra a guida di Diritto e giustizia, il partito che esprime il premier Mateusz Morawiecki, appartiene al cosiddetto blocco Visegrad, il gruppo di Paesi dell’Est Europa, che vede in testa Polonia e Ungheria, giudicato un nemico dell’establishment comunitario. Tra gli ultimi fatti anche l’istituzione di una commissione per valutare le ingerenze russe in un lasso di tempo compreso fra il 2007 e il 2022, periodo che coincide con gli otto anni al potere dell’ex premier e numero uno del Consiglio europeo Donald Tusk. L’esecutivo si è giustificato dicendo che tale provvedimento nasce per tutelare il voto, ma dall’opposizione assicurano che non sia nient’altro che tentativo di sbarazzarsi di Tusk in vista del voto. 

Con Donald Tusk, ex premier polacco e ex presidente del consiglio europeo, il Paese potrebbe cambiare volto. Si tratta, come dicevamo, di un raffinato sostenitore della politica di integrazione europea, un paladino di quegli stessi valori che noi difendiamo. Nel 1990, ha fondato il Kongres Liberalno-Demokratyczny, un partito che si basava su principi di liberismo in economia e integrazione nell’Ue. In tempi recenti Tusk, emblema della destra liberale, ha combattuto contro il rischio di “Polexit”, ossia l’uscita della Polonia dall’Ue. È chiaro, dunque, perché la visione politica di quest’ultimo sia invisa al governo sovranista polacco, guidato dal partito ultraconservatore PiS (Diritto e Giustizia). Capito, ministro Tajani?