Politica estera, la sconcertante superficialità di governo e opposizione

Governo ed opposizione condividono una preoccupante indifferenza verso il ruolo internazionale dell’Italia abbinata ad una sconcertante superficialità in materia di politica estera e relazioni internazionali.

L’opposizione, oggi guidata da Meloni e Salvini, è palesemente fuori dal tempo. Essa è infatti succube di una banale retorica ottocentesca fatta di sfiducia a priori per la comunità internazionale e arroganza diplomatica da operetta, infarcita di complottismo, improbabili blocchi navali, dazi e chiusura dei confini. Per questo motivo l’attuale destra non riesce nè riuscirà in tempi brevi a dotarsi di un’agenda di politica estera che sia credibile e non si limiti all’isolazionismo, all’infantilismo delle piccole patrie, o peggio ancora all’improbabile idea di un’allenza internazionale tra sovranisti (cosa che è un vero e proprio ossimoro).

Il Governo d’altra parte, e in particolare il ministro Di Maio che e’ titolare della Farnesina, sembra invece preda di un inscusabile dilettantismo. Un misto di improvvisazione e indolenza che si concretizza, ad esempio, nella completa rinuncia alle aspirazioni di centralita’ dell’Italia nel Mediterraneo. Un vuoto che viene ovviamente occupato da altri paesi. A ben vedere, la stessa nomina di Di Maio era di per sè  indicativa di un completo disinteresse per la politica estera e le relazioni internazionali, e si poteva solo sperare che l’esponente 5 stelle smentisse le piu’ meste aspettative che sembra invece oggi confermare. Gradita eccezione all’attuale politica estera, o assenza della stessa, va detto essere la costante attivita’ di supporto alla cooperazione internazionale promossa dall’ottimo Vice Ministro Emanuela Del Re. Una goccia nel mare che pero’ fa riflettere su come l’On. Del Re avrebbe probabilmente costituito una scelta migliore rispetto all’attuale titolare.

Al di là del giudizio sulle capacità del Ministro Di Maio, l’impressione condivisa da molti osservatori e’ che la Farnesina si sia volutamente smarcata dagli interessi geopolitici tradizionali del nostro Paese, ad esempio nel settore dell’energia o dell’immigrazione, cosi’ come e’ palese che abbia abdicato alle sue responsabilità, politiche e militari, in quello che per secoli abbiamo considerato come il Mare Nostrum. Al contrario, con un cambio di fronte assolutamente immotivato, tutte le attenzioni sono oggi sbilanciate sul fronte della Cina. Con il paese asiatico, che e’ diventato una vera e propria ossessione del Governo, si sono recentemente conclusi accordi commerciali presentati a parole come estremamente importanti. Sui contenuti di questi accordi, che sembrerebbero includere anche la tecnologia G5 sulla quale la comunita’ internazionale e lo stesso COPASIR hanno espresso dubbi relativi alla sicurezza nazionale, non possiamo pero’ esprimerci data la completa mancanza di informazioni che ha caratterizzato le trattative, nonostante la tanto decantata trasparenza del Movimento 5 Stelle.

E’ bene notare, qualora Di Maio gia’ non lo sapesse, quali sono i rischi di una tale operazione. La Cina ha da sempre sfruttato gli accordi commerciali come Cavalli di Troia politici, finendo per imporre ai partner il proprio interesse nazionale e non esitando nemmeno, qualora lo ritenga utile, a frapporsi tra essi e i loro alleati. Valga tra tutti l’esempio della recente politica neocoloniale cinese nell’Africa Subsahariana dove, applicando egregiamente la strategia del divide et impera, la Cina è riuscita ad indebolire la cooperazione tra Stati africani e la stessa Unione Africana, finendo per diventare l’unico riferimento commerciale, ed in futuro diplomatico, di importanti paesi come il Kenya ormai ridotti a stati satellite.

E’ palese peraltro che la Cina veda nell’Italia, unico paese dei G7 disposto anche ad aderire al progetto della Belt and Road Initiative, l’anello debole dell’Occidente. D’altra parte e’ chiaro che l’Italia ha entusiasticamente raccolto l’invito cinese con un misto di arroganza e ingenuita’, nell’illusione di diventarne il partner europeo privilegiato al fine, forse, di fare l’ennesimo dispettuccio alla Germania, alla Francia, o un’Unione Europea sempre piu’ frustrata dal comportamente infantile della sua terza potenza. Certo anche i nostri partner non sono esenti dalla colpa di privilegiare l’interesse nazionale a quello europeo, ma sembra alquanto improbabile sostenere, ad esempio, che la Francia agisca contro l’interesse dell’Italia dal momento che dopotutto non si capisce bene quale sia realmente questo interesse. C’e’ poi da chiedersi fino a che punto la UE sara’ disposta a tollerare la nostra totale inazione, che si traduce inevitabilmente in una sequela di azioni senza strategia alcuna e per di piu’ in palese contrasto con gli interessi del continente.

Se a prima vista si puo’ dunque concordare sull’opportunita’ di impostare buone relazioni commerciali e tecnologiche con il gigante asiatico, e’ necessario ricordare che l’agenda politica di un paese che ambisce a mantenere la propria posizione di 5° potenza mondiale non possa essere a senso unico o focalizzata unicamente su un paese o area geografica. Ben venga quindi la Cina, se proprio non vogliamo agire di concerto con i nostri tradizionali partner occidentali, a patto che gli accordi non si traducano poi in una situazione di vassallaggio o si contrappongano al progetto e agli interessi dell’integrazione europea. Ma l’amicizia con la Cina non basta a fare dell’Italia una potenza internazionale. Bisogna fare di piu’, e meglio, in altre aree, cominciando da quelle piu’ vicine geograficamente.

Qui pero’ purtroppo i segnali sono tutto fuorche’ incoraggianti. Il completo abbandono del dossier libico, culminato con la concessione per 99 anni del porto di Misurata alla Turchia e l’estromissione di fatto dell’Italia da qualunque futura trattativa per la stabilita’ del paese, l’ignorare sistematicamente l’emergere del gigante turco come futuro attore egemonico nell’area mediorientale e nordafricana, la mancata assunzione di una posizione nell’attuale disputa con la Grecia, il silenzio assordante sulla repressione cinese di Hong Kong, l’assenza di una chiara presa di posizione sulle recenti elezioni bielorusse, le gaffes sul Libano, sono la punta di un imbarazzante iceberg di marginalita’ diplomatica che in futuro sara’ forse impossibile correggere, anche avendone la volonta’. E che dire della completa assenza dell’Italia nell’ambito delle relazioni atlantiche, salvo fatto (forse) il ridicolo supporto dimostrato negli anni dai sovranisti nostrani per figure discutibili come Donald Trump o la vicinanza a corrente alternata con la Russia di Putin? Un’ambiguita’, quest’ultima, che rischia di metterci in seria difficolta’ nelle future relazioni con l’America qualunque sia il risultato delle prossime elezioni presidenziali. Siamo sempre di piu’ visti come un paese inaffidabile, imprevedibile piuttosto che ininfluente, che non vale la pena di coinvolgere in nessuna vertenza internazionale, dall’Iran, alla Libia, alla Corea del Nord, alla crisi tra Turchia e Grecia.

Certamente l’Italia dimostrava debolezza e ristrettezza di vedute anche prima dell’avvento dell’attuale maggioranza. Si tratta di una condizione in parte dovuta alla perdita di ruolo strategico negli equilibri mondiali alla fine della Guerra Fredda quando l’Italia, per mancanza di volonta’ politica, risorse economiche e eccesso di corruzione, non ha saputo reinventarsi come potenza europea al pari di Germania e Francia. Il nostro ruolo in Africa, ad esempio, non e’ mai stato ne’ incisivo ne’ forse troppo convinto laddove, come da tradizione, non riusciamo a decidere da quale parte stare ed esitiamo anche ad usare lo strumento militare (che ricordiamo essere tra i migliori del continente per capacita’ operative) al pari degli altri paesi occidentali. Inoltre la nostra rete diplomatica e’ sotto finanziata e ormai scarsamente centrale nelle dispute internazionali.

Per correggere la rotta intrapresa e’ necessario definire una strategia complessiva che miri a sfruttare pienamente le potenzialita’ dell’Italia con decisioni chiare e investimenti mirati. E’ in primo luogo necessario un riallineamento con le posizioni dei partner europei e nordamericani nell’ambito delle relazioni con le potenze Cinesi, Russe e Turche. Inoltre e’ fondamentale proiettarsi nuovamente, questa volta con convizione e non solo per fare dispetto ad altri, verso il Mediterraneo, l’Europa orientale e il medio-oriente. Terzo va ridata all’Italia una visibilita’ nelle relazioni internazionali tramite, per esempio, il coinvolgimento delle nostre comunita’ all’estero, creando una rete di civil diplomacy che supporti l’attivita’, potenziata, delle rappresentanze diplomatiche ufficiali. Queste ultime potrebbero poi impegnarsi a creare le condizioni per supportare l’attività economica italiana ed europea all’estero, intendendola come lo strumento principale nella costruzione di relazioni stabili di amicizia e supporto tra paesi nel mercato globale, invece che limitarsi a fornire servizi anagrafici e qualche sparuta iniziativa culturale. Sarebbe inoltre necessario, finalmente, sottrarre dalla logica partitica le nomine dei rappresentanti italiani nelle organizzazioni internazionali, per resituire loro il ruolo di rappresentanti superpartes di interessi nazionali ed europei. Infine, impegnarsi per ricomporre la frattura fra esteri e difesa, integrando lo strumento militare nel quadro dell’attivita’ diplomatica e dell’azione di convergenza dello strumento di difesa della UE.

Si tratta di piccoli primi passi nella giusta direzione, ma pare che sia la maggioranza che l’opposizione si muovano nella direzione opposta, ovvero quella di contribuire deliberatamente all’isolamento del nostro paese al fine di consolidare i loro rispettivi serbatoi elettorali.

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