Perché la politica non può più farsi dettare l’agenda dai social

La nostra Italia dal 2 giugno 1946 è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e secondo l’articolo 1 della Costituzione la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e dei limiti previsti dalla stessa Carta Costituzionale. Viene in mente la canzone di Giorgio Gaber “Libertà è partecipazione” dove l’artista milanese evidenzia che la libertà è certamente ideologia (pensiamo alla strofa “è convinto che la forza del pensiero sia la propria libertà”) ma non è fine a se stessa perché va condivisa nella collettività capace di richiamare l’impegno sociale e politico.

Sono passati tanti anni da quando Giorgio Gaber scrisse questa canzone e la partecipazione alla vita politica ha cambiato totalmente forma con l’avanzare del progresso e nello stesso tempo sono cambiati i soggetti che dettano l’agenda politica. Qualche settimana fa ho finito di leggere il saggio “Politica Netflix”, scritto da Lorenzo Pregliasco, Giovanni Diamanti e altri giornalisti di “Will Media”, dove si spiega chiaramente come la partecipazione politica è diventata on demand. Il primo capitolo, a cura do Lorenzo Pregliasco, è molto interessante perché spiega bene cosa è la “Politica Netflix”.Negli ultimi anni non facciamo altro che vedere social influencer, artisti e sportivi, interessarsi a temi sociali e attivare campagne di sensibilizzazione su determinati temi.

Al giorno d’oggi questo avviene senza aderire a partiti perché si tratta di una adesione on demand su specifiche questioni a prescindere dall’appartenenza ideologica e di classe. Si parla di ‘Politica Netflix’ perché la gente si interessa alla cosa pubblica solo dando attenzione ad un singolo post su Facebook e Instagram, non abbiamo più una visione del mondo ampia e protagonisti di questo modo di fare politica sono gli influencer e non più politici, giornalisti, sindacati e associazioni.

Si è arrivati a questa forma di partecipazione alla vita pubblica perché c’è una forte sfiducia verso la politica, nessuno si interessa di quest’ultima attraverso i giornali e quei pochi che si interessano lo fanno tramite internet ed i social network. L’opinione pubblica di oggi è talmente fluida, cioè non ha alcuna appartenenza ideologica e non sente di appartenere ad alcun partito.

Gli autori del saggio si chiedono perché cantanti, artisti, sportivi e personalità della tv si trasformano in attori politici e non c’è una risposta unica per questa domanda. Certamente i VIP con un post sui social riguardo ad un determinato tema cercano di aumentare più followers possibili ma la gente si aspetta sempre che la risposta giusta su un determinato tema da attori non politici scartando totalmente i leader dei partiti. La politica già da decenni è staccata totalmente dalla società civile ma da qui ad arrivare al fatto che la gente voglia risposte sui temi sociali da parte degli influencer ci fa comprendere bene come la politica abbia toccato il fondo in tutti i sensi.

I social network certamente non vanno demonizzati anche perché non c’è nulla di male nel vedere un post di un VIP con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica su un certo argomento. Ben venga, soprattutto quando molte persone oggi non leggono più i giornali. Oggi la politica è resa fruibile e accessibile a tutti grazie all’attivismo sui social da parte delle celebrità, non c’è nulla di sbagliato in tutto questo ma questo nuovo attivismo può portare alla ipersemplificazione e alla polarizzazione del dibattitto pubblico.

Semplificare in maniera estrema un argomento caldo significa trattare le cose in modo superficiale e non considerare passaggi importanti. La complessità è uno degli ingredienti della politica, quest’ultima non può trattare una questione in maniera del tutto separata dalle altre: per esempio la parità di genere incide sul mondo del lavoro e politiche sociali e quindi questi tre temi non sono separati l’uno dall’altro.

La polarizzazione del dibattito non è certo una novità nel panorama italiano basti pensare come i media tradizionali e i partiti ne approfittino per acquistare notorietà causando un forte abbassamento della qualità del confronto pubblico. L’agenda politica, se vogliamo chiamarla così, degli influencer è caratterizzata soprattutto dall’identità di quest’ultimi e dalla facilità delle loro battaglie (questioni di genere, razzismo, ambiente, diritti individuali come eutanasia e cannabis) nei loro punti principali interessanti per il mondo dei giovani digitali.

Ciò che conta è la facilità concessa ai giovani utenti dei social di appoggiare o meno determinate battaglie. Non sono oggetto di discussione da parte degli influencer argomenti come reddito di cittadinanza, precarietà del lavoro e giustizia sociale perché non sono battaglie sull’identità ma sulla appartenenza di classe.

Un argomento che in questi ultimi tempi ha polarizzato il dibattito è stata la discussione del DDL Zan, il disegno di legge che prevedeva l’aumento delle pene per i crimini e discriminazioni contro omosessuali, transessuali e disabili e non sono certamente mancate le battaglie sui social. La polarizzazione del dibattito sul DDL Zan ha avuto un effetto positivo perché ha obbligato i leader politici ad aprire una discussione al proposito, un effetto negativo perché non sempre il consenso sui social porta in automatico un accordo tra le forze politiche.

La politica è compromesso, significa fare arrivare ad un punto di incontro diversi interessi, anche se purtroppo i politici al giorno d’oggi si comportano come degli influencer acchiappalike per avere notorietà. La nostra classe dirigente non si riunisce più per studiare, analizzare situazioni per poi arrivare ad una soluzione ma cerca il consenso solo nei social network. Ben venga che le celebrità attraverso i social spingano alla discussione su determinati temi ma vedere i politici che non hanno neanche voglia di discuterne come si è già sperimentato con il DDL Zan si va poco lontano visto che alla fine le leggi vengono approvate in Parlamento e non su Facebook, Instagram e Tik Tok.