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Perché Avvenire non capisce le contraddizioni del pacifismo duro e puro

Scrive Avvenire che  le sanzioni economiche contro la Russia “sono come i bombardamenti”, “non fanno meno male dei bombardamenti. “Lo dice tutta la storia del Novecento dove le abbiamo applicate: dall’Iraq alla Siria a Cuba… in tutte le situazioni in cui ho visto applicare sanzioni ho visto strage di umanità e di pace”, scrive  il direttore Tarquinio. Che però aggiunge “stiamo facendo il pieno ai carri armati di Putin ogni volta che teniamo accesi i nostri riscaldamenti più del necessario”.

“Deve partire un movimento dal basso: ognuno di noi cominci a fare la propria parte abbassando il riscaldamento, rinunciando a una parte dei consumi. Solo la mobilitazione civile può dare una spinta alla politica”.  E’ evidente che la posizione di Avvenire  sia  più articolata, e realistica, del pacifismo “senza se e senza ma” che tende a prevalere in Italia.  Come pure è  importante che il mondo cattolico esprima fino in fondo le proprie posizioni perché, di per sé, questo contribuisce ad alimentare un dibattito pubblico serio nel nostro Paese. Non quello televisivo che ormai ha raggiunto livelli insopportabili di retorica e menzogne spacciate per posizioni alternative.

Il richiamo di Tarquinio all’embargo del gas russo, 800 milioni di euro al giorno che l’Europa paga a Putin per continuare la sua guerra, dimostra la serietà di queste posizioni. Ma  anche quelle su gas e petrolio sono sanzioni, o no? Così come non è colpa degli americani o degli europei se c’è il rischio di una crisi alimentare  nel mondo, in Asia o in Africa, bensì sempre di Putin. La Russia ha bloccato l’export di grano e chiude i i porti alle esportazioni ucraine, sempre di grano, in tanti paesi del mondo.   Insomma,  forse occorre una ulteriore dose di realismo politico per evidenziare le contraddizioni del pacifismo duro e puro. Quello che in Occidente  tende a capovolgere le cause e le responsabilità della guerra. Quello che non fa differenze tra regimi dittatoriali e le democrazie.

Perché il rischio, in fin dei conti, è di indebolire la posizione europea in politica estera, una posizione che appare finalmente autorevole e credibile. Il rischio è che  l’opinione pubblica sia condizionata, insieme alle scelte politiche delle classi dirigenti, da visioni e slogan irriducibili che minano la credibilità e la autorevolezza di chi ha scelto di combattere Putin.