Oltre gli errori e le colpe di Berlusconi: un nuovo progetto di “rivoluzione liberale”

Sono d’accordo con Giacomo Barelli (Il leader naturale del fronte repubblicano è Carlo Calenda): oggi la necessità di una nuova fase è una necessità vitale. Contestualmente la rivoluzione liberale non è più una intuizione visionaria ma è una necessità altrettanto vitale. Per questo oggi va ripresa in mano l’ispirazione originaria di Forza Italia e questa volta la rivoluzione liberale non va solo annunciata ma, per il futuro del Paese, va realizzata. Definire il polo liberale un progetto elitario e di nicchia guardato con distacco dagli elettori, contraddice a mio parere la verità dei fatti.

È stata la gestione post elettorale a renderlo elitario e di nicchia che conseguentemente l’ha portato all’implosione tradendo le aspettative di tanti elettori che hanno creduto nella proposta e chi, in maniera guardinga, aspettava di vedere passi in avanti ulteriori. Le successive sconfitte elettorali sono dovute a questo schema che non fa altro che prefigurare uno scenario politico in cui tutto rimane imbrigliato nelle logiche di palazzo. Inoltre la rivoluzione liberale va oltre la costituzione di un polo liberale e anche di un polo repubblicano. Essa è legata alla prospettiva di costruire un partito nuovo che riscrive il vocabolario della politica ormai saturo di termini iperinflazionati, con una nuova organizzazione, con una nuova leadership, con un programma che ha nella riforma costituzionale tutta il primo passaggio per la realizzazione della rivoluzione liberale. Una riforma costituzionale che non si limita a ridefinire l’assetto istituzionale ma che deve riguardare anche la prima parte perché l’Italia ha necessità di un nuovo patto fondativo e chiudere definitivamente con il compromesso cattocomunista da cui la costituzione ha avuto origine.

Va costruita veramente la seconda Repubblica e di “poli” in quella che è stata la deriva oscena della prima Repubblica dopo l’89 ne abbiamo avuti abbastanza e tutti finalizzati più alla salvaguardia dell’autoreferenzialità di leadership nazionali e locali che quella di aprire una reale fase di trasformazione e di crescita del Paese. Non mi interessa e non dovrebbe interessare a nessuno sul perché nel lontano 94 questo progetto politico non è partito è le responsabilità di Berlusconi, ma quello non può che essere il vero punto di ripartenza. Piaccia o meno la fondazione di Forza Italia fu il più grande tentativo di rivoluzione liberale, con la redazione di un programma avanzato e che il fallimento realizzativo non fa venir meno il valore politico ideale di quel tentativo nell’ottica della realizzazione di un progetto di espansione del liberalismo e delle libertà affossate dallo statalismo imperante ancora vivo e vegeto e che, mi sia concessa una battuta “lotta ancora insieme a noi”.

Credo che il traguardo non possa che essere questo; il ricostruire, la chiamo così per dare l’idea, una “Forza Italia 2.0“,attraverso non la sommatoria di sigle esistenti cioè poli in cui i vari e piccoli “orticelli” continuano a mietere vittime, ma il necessario processo di scomposizione e ricomposizione delle forze in campo, dare concretezza e radicalità territoriale al nuovo partito del liberalismo italiano, rappresentante e interprete della società aperta che, è bene ricordarcelo, non è un etichetta, ma è ceto medio, imprenditori, partite IVA, generazione Erasmus tanto per fare pochi esempi.

Il liberalismo non è morto e lo dimostra lo scontro di civiltà in atto, c’è estremo bisogno però che da cultura politica si trasformi in politica organizzata, esca dal circolo vizioso delle celebrazioni, dell’autoreferenzialità, diventi progetto e ai cittadini elettori del partito dì maggioranza assoluta: quello dell’astensione, va offerta una alternativa credibile non solo come possibilità di voto ma anche come luogo dove tornare a partecipare, dove la militanza è prima di tutto servizio, dove far valere competenze e merito e forgiare così una nuova classe politica competente e meritevole. È in questo schema, forti del manifesto da cui abbiamo avuto origine, che dobbiamo sentirci di parte e schierarsi senza se e senza ma.