giorgia meloni

Macché energie da liberare, Meloni resta prigioniera del sovranismo identitario

Un paio di giorni fa si è conclusa la tre giorni di convention programmatica di Fratelli di Italia e il discorso conclusivo tenuto da Giorgia Meloni avrebbe dovuto tracciare la rotta (per rimanere fedeli al simbolismo marinaro molto in voga in quell’occasione) verso una destra liberale finalmente sdoganata dal post fascismo. La presidente del partito ce la sta mettendo tutta, bisogna dargliene atto, e l’invito di personalità come l’ex socialista e poi ministro berlusconiano Giulio Tremonti, l’ex presidente del Senato Marcello Pera, lo studioso Ricolfi e l’ex magistrato Nordio avrebbero dovuto rappresentare questa faccia nuova (sic!) di Fratelli d’Italia, accreditando il partito come destra conservatrice di governo.

Belle le intenzioni, indubbiamente, ma altrettanto disastrosi i risultati. La destra della Meloni – a dispetto di ogni sforzo – è quanto di più lontano ci possa essere da una destra liberale e di governo, essendo Fratelli di Italia pienamente immerso in quella deriva che in generale sta colpendo il conservatorismo europeo e mondiale da qualche anno a questa parte. Se è vero, come è vero, che il liberalismo di destra trova i suoi recenti punti di riferimento negli anni d’oro del reaganismo americano e del thatcherismo inglese, con le loro comuni visioni circa la libertà dell’individuo come valore principale da difendere a tutti i costi sia in economia, che nella società e nel rapporto con lo Stato, non vi è dubbio che la Meloni sia distante anni luce da tutto ciò.

Se, in politica estera il punto di riferimento della destra liberale era la difesa assoluta dell’Occidente democratico che passava attraverso il consolidarsi dell’asse Usa-Europa (che certo la Thatcher voleva diversa, ma di cui non voleva disfarsi), anche in questo caso, siamo assai lontani. Per non parlare della laicità dello stato, baluardo della destra liberale in tutto il mondo dall’800 e prontamente contraddetta dal partito della Meloni che ha sposato una visione quantomeno simil-reazionaria del cattolicesimo (non a caso, uno dei punti di riferimento, è Joseph Ratzinger).

Sulla base di questi principi fondamentali la destra liberale ha generato le premesse da cui hanno preso avvio quei grandi processi di globalizzazione di fine secolo scorso che, al netto degli eccessi, costituiscono ancora oggi il frame inevitabile dell’odierna contemporaneità.

Insomma, con tutto questo Giorgia Meloni è sideralmente lontana, avendo abbracciato una visione “no global” da destra estrema. Un arroccamento miope verso una male interpretata concezione di tradizione e di interesse nazionale che nega i diritti alle persone e sta consegnando alla storia di questo paese una destra paurosa, rabbiosa a tratti complottista, incapace di affrontare il mondo contemporaneo e le sue sfide. Proprio le grandi conquiste del conservatorismo classico sono gli attuali nemici del partito della Meloni che, sotto l’illusorio concetto di interesse nazionale, li sta negando uno ad uno.

Vero che quei risultati andavano governati meglio limitando gli effetti distorsivi, ma se ciò non è avvenuto lo si deve integralmente a una politica incapace di saperne interpretare risorse e nuove sfide. Una politica, a sinistra come a destra, che non ha saputo andare oltre il secolo scorso e le sue categorie desuete e che ha aperto fatalmente la strada all’antipolitica e al populismo.

Se ciò è vero, non è riproponendo quelle categorie vecchie e inutili che si possono affrontare le attuali circostanze, per quanto difficili, e le personalità sopra indicate, ospiti alla convention, lungi dall’accreditare Fratelli d’Italia come nuova destra liberale di governo, ne sanciscono l’incolmabile abisso intellettuale e politico. Pera, Tremonti e Ricolfi in realtà consolidano e danno forza alla visone identitario-tradizionalista di questa nuova destra così lontana dal conservatorismo classico che rinnega per assumere tratti marcatamente reazionari, in un mix di sovranismo identitario a matrice catto-ideologica.

Prova ne sia, qualora ve ne fosse bisogno, le alleanze che Fratelli d’Italia ha intessuto in Europa in questi anni e mai sinceramente rinnegate. Dalla Le Pen (scaricata solo il giorno prima del ballottaggio alle ultime presidenziali francesi) a Orban, da Trump e Bolosonaro a Duda.

Certo, la guerra russo-ucraina ha sparigliato un po’ le carte, ma l’asse reazionario cui Fratelli d’Italia fa riferimento sostanzialmente regge. Insomma, dalla convention di Fratelli di Italia è emerso un dato inequivocabile: il problema della Meloni non è uscire dal ghetto post fascista ma, molto più seriamente, l’impossibilità genetica di Fratelli d’Italia di accreditarsi come destra di governo seria e credibile in Italia.