Le responsabilità sì, i responsabili no: dopo trent’anni nessuna verità su via D’Amelio

La verità sui depistaggio riguardo l’attentato un cui il 19 luglio di trenta anni fa trovarono la morte per mano della mafia il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, in via D’Amelio a Palermo, muore uccisa dalla prescrizione.

“Il tribunale dichiara non doversi procedere nei confronti di Mario Bò e Fabrizio Mattei per i reati loro ascritti essendo gli stessi estinti per prescrizione. Il tribunale assolve poi Michele Ribaudo dal reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato”. Con queste parole il presidente del tribunale di Caltanissetta Francesco D’Arrigo ha messo fine alle speranze di arrivare alla verità sulla morte di Borsellino. Una sentenza, ascoltata in aula dai figli del giudice antimafia Manfredi e Lucia, che non rompe il muro di omertà sull’attentato di via D’Amelio e salva i due “uomini dello Stato” che avrebbero dovuto svolgere le indagini e invece contribuirono a creare la figura del falso pentito Vincenzo Scarantino, che depistò le indagini e accusò falsamente sette innocenti.

Il più grande depistaggio investigativo della storia d’Italia (in cui protagonista fu anche l’ex capo della mobile Armando La Barbera, mancato nel 2002, dieci anni dopo Borsellino) resta dunque senza colpevoli. Caduta l’aggravante mafiosa, nessuno pagherà per aver tenuto lontana la verità, proprio mentre lo Stato sì appresta a celebrare il trentennale dalla strage di via D’Amelio. Uno Stato che ricorda le vittime ma non cerca la verità per i loro carnefici.

“Quanta amarezza, quanta amarezza – commenta l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, che ha lasciato il tribunale col fratello Manfredi dopo la lettura del dispositivo -. Questa sentenza dice che il dottor Bò e l’ispettore Mattei hanno comunque commesso il depistaggio. Per noi l’aggravante di mafia c’era. Continueremo a cercarla la verità”.

Finisce così un processo che ha accertato le responsabilità ma non ha previsto una pena per i responsabili. Un processo che, trent’anni dopo, aggiunge dolore al dolore dei familiari del giudice ucciso e degli agenti della sua scorta. Un processo di silenzi, omissioni, verità celate. Che difficilmente verranno mai svelate.