Draghi

Uomini, ominicchi e quaquaraquà. La politica italiana troppo “piccola” per Draghi

La questione dell’inceneritore è soltanto un pretesto. Dietro c’è molto di più: è una partita politica.  Ed è una situazione surreale quella che si è venuta a creare, perché Giuseppe Conte con il suo gesto rischia sul serio di finire inghiottito nella sua stessa spirale. Le dichiarazioni dell’ex premier dai toni allarmistici – da “Il Paese è sull’orlo del baratro” a “Il M5S è l’unica forza che incalza il governo su questa emergenza” – hanno sì aperto la crisi dell’esecutivo, ma l’impressione è che sarà ancora una volta Mario Draghi a dettare le condizioni. Qualcuno obietterà, dicendo che resta l’incognita della mossa di Salvini, che è consapevole che l’avvocato del popolo è all’angolo. È vero, ma è poca cosa. Che Conte invece sia prigioniero del suo ego di dimensioni smisurate è fuori dubbio: l’avvocato del popolo non si è rassegnato, è alla costante ricerca di qualcuno che gli tenga su lo specchio magico senza stancarsi ogni giorno di ripetergli quanto è buono e bello. Ahinoi, il leader dei 5stelle non ha ancora elaborato la perdita delle conferenze stampa h24. I giochi però non sono fatti e quella stessa vanità potrebbe rivelarsi la stessa rovina del Movimento. Proprio perché Conte ha puntato tutto su uno scenario che di fatto non esiste ancora, vale a dire Draghi che si fa convincere da Mattarella a non mollare con tanto di happy end dei Cinque Stelle che passano all’opposizione, dimostrando al proprio elettorato di aver agito nel solo interesse degli Italiani. È invece ormai chiaro che Conte si sia lasciato guidare non dal bene del Paese, preda delle conseguenze disastrose della guerra in Ucraina, ma perché sopraffatto dalle richieste dei suoi, che si son convinti che stare dentro all’esecutivo non giovi. E lo proverebbero le indiscrezioni che circolano sulla telefonata che ha avuto luogo ieri tra Conte e Draghi.

L’idea che ci si è fatti è che l’avvocato del popolo non volesse proprio le elezioni anticipate, ma semplicemente uscire dal governo, confidando che l’ex numero uno della Bce andasse avanti con la stessa maggioranza, ma senza il M5s. Una lusinga che però fa capire il divario, la distanza tra Giuseppe Conte e Mario Draghi, il quale non ha alcuna intenzione di concedere un bis. Il premier l’ha fatto capire in conferenza stampa e l’ha ribadito anche durante la telefonata fatta quando la decisione in seno al M5s non era stata ancora presa: «Se non votate la fiducia non sono disponibile ad andare avanti». Ed è comprensibile la sua posizione, come pensate che Draghi abbia consolidato negli anni la sua credibilità? E «mantenerla è una sfida perenne», parola sua. E per come le cose si sono messe, Conte, che voleva dettare le condizioni, ora è costretto a subire. Difatti il voto è visto come una soluzione anche per Palazzo Chigi: «Torniamo serenamente alla nostre vite precedenti», avrebbe detto il premier ai suoi collaboratori. Senza far drammi, proprio perché la teatralità non appartiene a Draghi, che tuttavia sa quanto i prossimi mesi per l’Italia saranno difficili.

Più volte, in questi giorni, il premier ha spiegato a Sergio Mattarella che senza il M5s al governo viene meno il presupposto per cui è nato, ossia la “grande coalizione”. Per Draghi l’esecutivo perderebbe di efficacia anche per via della composizione. Lega e Pd sarebbero schiacciati da fuori da FdI e dal M5s, che picchierebbero ancora più duro. Per l’economista sarebbe «impraticabile fare le cose che vanno fatte». Dunque? Forse meglio le elezioni. Non ci resta che attendere le prossime ore: Draghi ha già annunciato che senza il voto M5s sul decreto Aiuti oggi al Senato salirà al Quirinale. Resta l’amarezza, anche perché da parte del governo la buona volontà non è mancata: persino un sindacato scolastico come l’Anief, uno dei più vicini al M5s, ha riconosciuto a Draghi il merito di aver parlato del rinnovo dei contratti. Pare poi che lo stesso premier abbia anche invitato Conte a riflettere sino all’ultimo, senza entrare nel merito delle questioni di partito: «Se davvero credi in quei nove punti che hai sottoposto, e che il governo, come vedi, ha intenzione di affrontare, vale la pena chiedersi se il M5s può ottenerli fuori dal governo o restando al governo», il senso del ragionamento del premier. Allo stesso avvocato del popolo l’economista avrebbe detto pure: «Come la risolvi non è un problema mio». 

A Palazzo Chigi intanto, come riferisce «Il Foglio», hanno ripreso tutte le dichiarazioni dei partiti pronunciate nei giorni della corsa al Quirinale. Un “salto” quello al Colle che all’ex numero uno della Bce non è riuscito: “Si diceva che Draghi non si dovesse spostare perché si sarebbe rotto ‘un meccanismo e provocato il rimpasto’ Sono le stesse ragioni che non permettono a Draghi di andare avanti con una maggioranza diversa”. Siamo arrivati a questo per qualche punto in più sui sondaggi, per salvare qualche seggio. Che altro aggiungere? Ancora una volta confidiamo in Mattarella. Una delle cose più giuste l’ha scritta stamattina Fulvio Giuliani su «La Ragione»: «Quando non si ha più alcun riferimento che non sia una vuota disperata nostalgia dei bei tempi delle castronerie a costo zero, questo è il risultato: si condanna l’Italia a una campagna elettorale nelle peggiori condizioni possibili, con la peggiore legge elettorale possibile, facendo un regalo gigantesco a quelli che ci vogliono male».