L’attivista candidata al Nobel: “Noi russi siamo tutti colpevoli”

“Putin non è la Russia. La Russia è cultura, una cultura che ha influenzato il mondo intero. La nostra filosofia, la nostra attitudine alla vita, si manifesta nella musica, nella letteratura, nell’architettura, nelle icone”. Svetlana Gannushkina ha ottant’anni, è una ex insegnante di matematica e una delle più note attiviste russe per i diritti umani – e per questo perseguitata dal regime del Cremlino -, ha ottenuto il Right Livelihood e decine di altri riconoscimenti per il suo impegno per i rifugiati di tutte le guerre ed è candidata al Nobel per la Pace. Ed è soprattutto una delle più fiere oppositrici dell’autocrate di Mosca, che su di lei ha scatenato la fatwa riservata ai “nemici dello stato”.

“Sono stata incriminata e multata ingiustamente in base ad accuse inventate – ricorda Gannushkina, arrestata il 6 marzo, nel giorno del suo ottantesimo compleanno -. Ma la cosa peggiore è che allo stesso modo vengano montati i processi contro chi rischia il carcere”. Per questo con altri dieci attivisti e storici dissidenti, tra cui Lev Ponomariov e Oleg Orlov, giorni fa Gannushkina, ha creato il “Consiglio dei difensori dei diritti umani” e siglato un “manifesto” per “proteggere le vite, i diritti e le libertà di ucraini e russi”.

“L’offensiva in Ucraina è la tragedia peggiore che sia capitata a me e al mio Paese – dice in un’intervista a Repubblica -. E noi russi siamo tutti colpevoli. Non esistono innocenti. Putin è un triste esempio di come un complessato sia diventato un leader monocratico. Diventa sempre più autoritario, caccia via tutti coloro che dissentono da lui. Adotta uno stile sempre più mafioso. Da Cosa Nostra. Uno stile che descrive anche Fjodor Dostoevskij nel libro ‘Demoni’ dove, per diventare complici, tutti devono commettere qualche delitto. Sono assolutamente sicura che attorno a Putin ci sia tanta gente che capisce che lanciare una guerra contro l’Ucraina senza dichiararlo, come ha fatto la Russia, sia stata una follia completa. Ma questa gente, pur capendo che cosa non va, è complice di Putin e non può obiettare. Come società civile non abbiamo altra scelta che far capire al potere che quello che sta facendo in Ucraina non è giusto. Non possiamo abdicare. Non possiamo sottrarci.

“Qui al Comitato vedo tanta compassione per la gente che muore in Ucraina – aggiunge -. Molti vogliono iutare. Portano vestiti e cibo per i profughi, donano soldi, benché siamo stati dichiarati dalle autorità ‘agenti stranieri’. Le autorità hanno soppresso l’ong Memorial. Noi continuiamo a lavorare finché non ci sopprimeranno fisicamente, ma mi rattrista che molti giovani siano partiti perché impotenti. Purtroppo è comprensibile. Le nuove leggi approvate possono facilmente mandarti in galera. Prevale la banale paura e autoconservazione. D’altro canto, c’è il peso della responsabilità che ricade su ciascun cittadino russo per quello che sta facendo il nostro Paese e questo peso oramai è diventato insopportabile. Viene voglia di dire ‘rompo tutti i legami e mi libero di questa responsabilità’. La sensazione di non potere realizzare a pieno i propri diritti da cittadino era opprimente già nei tempi sovietici. Ma non credo che ci siano russi innocenti. Io non credo nell’esistenza della ‘gente semplice’, senza colpe. Per me i cittadini russi sono tutti responsabili di quello che le autorità fanno in loro nome. Una volta il dissidente polacco Adam Michnik disse: ‘Il patriottismo è definito dal grado di vergogna che l’uomo prova per i reati commessi in nome del suo popolo”. Sono parole che condivido. Attorno a me molti provano questo sentimento di vergogna patriottica”

“Dopo tanti anni, e persino secoli, il popolo russo è stato abituato a provare nei confronti del potere un atteggiamento distaccato: vede il potere come qualcosa da cui dipende, ma che non può influenzare in nessun modo – conclude -. Se milioni di noi russi fossero scesi in piazza, avremmo potuto ottenere qualcosa. Ma temo sia una prospettiva oramai irreale, a causa delle leggi repressive e della propaganda. La gente ci è cascata. Le autorità hanno sfruttato il cardine del nostro orgoglio nazionale: la vittoria sul nazismo. Ora molti credono davvero che in Ucraina stiamo combattendo il nazismo come fecero i nostri avi durante la Grande Guerra Patriottica. La colpa è anche nostra, della mia generazione. Saremmo potuti diventare leader agli occhi del popolo, ma non ne siamo stati capaci. Anche perché le autorità hanno fatto di tutto per accusarci di essere agenti stranieri”.