E’ come se una macchina del tempo avesse riportato indietro negli anni: quelli in cui i figli denunciano i padri. O, come nel caso che vi stiamo per raccontare, gli studenti denunciano i professori.
Protagonista del fatto, riportato oggi da Repubblica, è la professoressa Maria Rakhmaninova. Il 24 febbraio scorso, primo giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, entra in un’aula universitaria di San Pietroburgo e tiene una lezione sull’estetica di “Guernica”, il capolavoro di Picasso sulla strage provocata nel 1937 da un bombardamento franchista sulla città dei Paesi Baschi durante la guerra civile spagnola, sarebbe stata l’ultima. Ebbene, quando si è ripresentata il giorno dopo, il rettore le ha comunicato che uno degli studenti l’aveva denunciata per “propaganda politica”, minacciando di intraprendere un’azione legale nei suoi confronti se non avesse smesso.
La professoressa Rakhmaninova, racconta Repubblica, si era limitata ad evocare il rischio che bombe come quelle cadute su Guernica avrebbero colpito le città ucraine, come da allora è poi puntualmente avvenuto. “Alcuni studenti nelle prime file piangevano”, ha raccontato lei stessa in un articolo sul Moscow Times, “altri hanno voluto discutere della guerra”. Quanto al fatto che la “propaganda politica” fosse vietata nell’ateneo, un video veniva mostrato di continuo sullo schermo dell’ingresso, con una frase del rettore proprio sulla “operazione militare in Ucraina”, come Putin ha ordinato di chiamarla: “Prevedo che in dieci giorni ci sarà la completa sconfitta del regime fascista”. Sottinteso: di Kiev.
La previsione del rettore non si è avverata. Ma l’insegnante accusata di paragonare Guernica ai bombardamenti russi in Ucraina ha dato le dimissioni: “Non potevo continuare a lavorare in quelle condizioni”. Non ha idea di chi sia lo studente che l’ha denunciata, ma l’apparizione di un uomo in fondo all’aula, durante la lezione in questione, le fa credere che l’attacco nei suoi confronti fosse parte di un sistema di sorveglianza.
L’episodio, scrive il quotidiano in lingua inglese moscovita, fa parte di una tendenza manifestatasi negli ultimi tre mesi in molti settori della società russa, dalla scuola al mondo del lavoro, dai media alle ong: “Il ritorno della vecchia tradizione sovietica della denuncia”. Si può chiamare delazione, fare la spia, informare le autorità su un presunto tradimento della patria: un’attività che in effetti ebbe il suo apice nell’Urss degli anni Trenta, durante il periodo del cosiddetto Terrore staliniano, quando bastava un semplice sospetto, spesso infondato, riportato alla polizia politica del Cremlino, per venire arrestati, scomparire nel Gulag o venire giustiziati.
Il caso più famoso in tale ambito, diventato un simbolo sovietico, è quello di Pavel Morozov, un ragazzo che secondo la versione ufficiale di Mosca denunciò il proprio padre per avere venduto grano a contadini ricchi contrariamente alla politica di collettivizzazione delle campagne condotta con ferocia da Stalin. L’uomo venne arrestato, processato e condannato a dieci anni di carcere, poi trasformati nella pena di morte. ucciso dai suoi stessi familiari. Il figlio fu considerato un eroe del comunismo. Secondo alcuni storici la storia di Pavel, fonte di film, libri, poesie e a cui è stata dedicata perfino una statua, è un’invenzione della propaganda sovietica, per indicare come esempio da seguire un ragazzo che per amore dello Stato rinuncia agli affetti familiari e denuncia il proprio padre. Vera o fasulla, la vicenda servì a stimolare la denuncia, mettendo in moto non solo una caccia alle streghe contro i possibili “traditori della patria”, ma pure vendette personali e regolamenti di conti che nulla avevano a che fare con l’aderenza alla dottrina del Cremlino.
La vicenda della docente di San Pietroburgo, e altri casi simili secondo il Moscow Times, segnala che sulle ali della guerra in Ucraina la vecchia tradizione sta ora ritornando in auge: nella Russia di oggi bisogna stare attenti non solo a quello che si fa ma anche a quello che si dice, in qualunque contesto, sul lavoro, nel tempo libero, forse perfino nel privato. Un’altra coincidenza riporta al passato degli anni più bui dello stalinismo: Pavel, il bambino che fece la spia sul padre, era iscritto ai Pionieri, un’organizzazione giovanile di massa riservata a ragazzi di entrambi i sessi fra i 9 e i 14 anni di età, con la supervisione del Komsomol, la struttura giovanile del Pcus, una via di mezzo tra i boy-scout e i balilla. Ebbene, nel 2015 Vladimir Putin ha istituito il “Movimento degli scolari russi” al fine di “migliorare l’educazione delle giovani generazioni” utilizzando la formula del movimento pioneristico sovietico; e questa settimana la stampa russa ha riportato la notizia che il presidente intende ricostituire i Pionieri. E tutto questo è agghiacciante.