La riunione che ha formalizzato il cammino per l’allargamento dei BRICS ai nuovi aderenti, Arabia Saudita, Iran, Egitto, Emirati Arabi, Etiopia ed Argentina, sembra che crei le condizioni di un avanzato mercato globale che aumenti la contrapposizione al blocco occidentale. Sancisce in maniera ufficiale l’ingresso dell’Africa nel club dei BRICS, dopo il Sud Africa, e delinea le strategie di mercato del comprensorio. I BRICS, Cina e India in particolare, hanno bisogno di esportare le loro merci, soprattutto dopo le restrizioni occidentali, di tipo formale o informale, e potenzialmente alcuni paesi potrebbero in prospettiva essere chiusi come mercati di sbocco, al di là di politiche ambigue e contraddittorie da parte americana.
Cina ed India non possono aumentare, per scelte politiche e sociali, il consumo interno. Pertanto se vogliono chiudere i rubinetti delle materie prime, fondamentali, in particolare per l’Unione Europea, devono trovare validi sostituti per consumare le loro esportazioni. Ed Africa e Sudamerica sono dei candidati naturali. La vicenda dell’instabilità dell’area del fiume Niger potrebbe essere la chiave di volta militare per una susseguente operazione economica.
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In quell’area in pochi anni arriveranno a oltre 2 mld di persone, che possono costruire un mercato sostitutivo dell’Unione Europea, con molti meno abitanti ma con più consumi pro capite. Questa strategia, da piani quinquennali e centralistici, ha però un difetto. Ha bisogno di tempo, ma nel frattempo un baco, il flop di politiche di investimento sbagliate, sta minando la solidità finanziaria di molte Corporation di Stato cinesi, nell’edilizia e non solo. Le loro controllate nei mercati occidentali sono già andate in default, e stanno bruciando centinaia di miliardi di dollari. Di fatto in Cina stanno avendo la stessa crisi finanziaria dei mutui sub prime statunitensi, solo che gli Usa si sono già rialzati economicamente, la Cina della politica centralista è un pachiderma lento. Pechino vorrebbe costruire una nuova moneta, sostitutiva dello Yen, che leghi i Brics fra loro, e si ponga in alternativa al dollaro, con sede di emissione a Shangai, la città cinese più aperta dal punto di vista finanziario.
Ma la Cina, azionista di maggioranza dei BRICS, riuscirà ad arrivare in fondo alla sua rotta? I dati della sua economia non vanno bene. Il consumo interno è fermo al 38%, per scelta del Comitato Centrale, che ha paura che maggior consumo significhi troppa occidentalizzazione e minor controllo della popolazione, e la disoccupazione giovanile viaggia su cifre italiane oltre il 20%.
La Via della Seta rischia di diventare bacata, soprattutto se gli occidentali riuscissero a gestire in maniera intelligente, cosa che finora non sembra che abbiano fatto, il conflitto Russo-Ucraino ad est, il punto debole dei BRICS.