Non ci resterà che una messa da requiem

Si è soliti affrontare la politica alla luce degli avvenimenti giornalieri o dei periodici sondaggi elettorali in vista delle elezioni. ma se si riuscisse ad alzare lo sguardo oltre la quotidianità e ci si sforzasse di interpretare la realtà politico-sociale alla luce degli studi sulla psicologia delle masse e dei processi storici, culturali, economici che ci hanno condotto alla società in cui viviamo, forse avvertiremmo un brivido lunga la schiena: scopriremmo che lo Zeitgeist (lo spirito del tempo) sta inesorabilmente cambiando rotta.

L’Europa, così come la conosciamo, figlia dell’illuminismo e della rivoluzione francese che abbatté la monarchia assoluta, sta invertendo un cammino che sembrava irreversibile. Tutto iniziò con la decapitazione di Luigi XVI, esecuzione cui il re fu condannato non per come avesse esercitato i suoi poteri, come accadde a Carlo I d’Inghilterra, ma in quanto re che incarnava il potere assoluto.

Non fu decapitato un re: fu decapitato il principio di autorità, fino a quel momento, mai messo concretamente in discussione perché attribuito al monarca dalla volontà divina. Dalla decapitazione del Principio di Autorità è nata la società moderna: il liberalismo, il socialismo, la laicità dello stato, il successo della borghesia, le lotte sindacali, la società del welfare: un capitalismo, in Europa, temperato da profonde venature sociali che ha retto fino alla fine degli anni settanta dello scorso millennio.

Ma dagli anni ottanta in poi, noi politici figli della modernità, conservatori democratici, liberali democratici, socialisti democratici, abbiamo cominciato a prendere coscienza della deriva che avevano preso la nostra società culminata, a partire dal nuovo millennio, in una serie di disastri completamente al di fuori del nostro controllo: il disastro ecologico, il disastro demografico, il disastro economico con la distruzione del mercato da parte di pochi monopoli globali ed onnipotenti, il disastro sociale, il disastro di una politica asservita alla finanza, il disastro etico conseguente la perdita di un senso individuale e collettivo.

Noi liberaldemocratici abbiamo cominciato a trovarci in una situazione molto scomoda: non potevamo e non possiamo più accettare le insopportabili conseguenze della modernità ma non potevamo e non possiamo, pena la rinuncia a noi stessi, alla nostra storia, alle nostre conquiste, mettere in discussione la premessa da cui discende tutto: l’abolizione del principio di autorità. La destra reazionaria non ha questo problema perché contesta, ab origine, le premessa della modernità.

Senza proclamarlo esplicitamente, la destra, che formalmente si spaccia per conservatrice, punta alla restaurazione e ha gioco facile, con l’appoggio interessato dei grandi potentati economici globali e dei socialnetwork, a scardinare i principi della liberaldemocrazia convincendo, con crescente successo, i cittadini, sempre più disarmati, smarriti e terrorizzati dalle tante crisi che è stata proprio la liberaldemocrazia a portarci sull’orlo del precipizio.

Nei panni del cittadino comune, dell’uomo della strada, come dargli torto? Come convincerlo che la democrazia liberale è un piccolo giardino, infestato da erbe velenose e circondato da una giungla selvaggia, che va ad ogni costo difeso e custodito, pena il rischio di un futuro oscuro dai contorni ancora inimmaginabili?

Leggi anche: La Cina e i BRICS: quando la seta ha il baco

Ma quali soluzioni credibili possiamo proporre agli impiegati esodati, agli operai il cui “padrone” è un fondo quotato alla borsa di Singapore, ai negozianti che chiudono perché con Amazon non si può competere, ad avvocati ormai ridotti ad impiegati in giganteschi studi legali internazionali? Le nostre proposte agli occhi degli elettori non sono più accettabili perché ci vedono coinvolti senza appello nel disastro, mentre la destra, che in questi decenni non è mai stata al potere, è più credibile perché “vergine” e, apparentemente, incontaminata dagli “intrallazzi con i palazzi dell’Europa e con la finanza internazionale”.

Il cittadino comune, indotto ad individuare nella modernità e nella globalizzazione le cause dei suoi guai, sempre più tende a rinchiudersi nel sogno di una società più tradizionale, meno competitiva, più vivibile, più statalista e quindi apparentemente “più umana”, in breve, a rinchiudersi nel proprio universo provinciale se non municipale.

Si comprendono così i continui richiami della “cattiva” destra alla tradizione, in tutte le accezioni: religiosa, morale, popolare, i richiami al “buon” senso antico, agli inestirpabili pre-giudizi, agli eterni pre-concetti.
Ben si comprende la difesa ad oltranza, di professioni corporative con privilegi fuori dal tempo e da ogni logica economica. Ancor meglio si comprende il tentativo, affievolendo il significato della rappresentanza politica, di interpretare in modo esclusivo e senza mediazioni i desiderata di un “popolo” che deve
identificarsi in modo fideistico nel capo che lo condurrà alla salvezza o più probabilmente alla rovina.

Alcuni commentatori si compiacciono della “saggezza” dimostrata in campo economico dal Presidente del Consiglio e pensano, che presto o tardi, le riuscirà di portare a termine la faticosa transizione del suo partito, trasformandolo in un partito compiutamente conservatore. Pure illusioni: Meloni non ha alcun interesse a farlo perché il suo appeal politico risiede proprio nel suo lato oscuro che la rende l’interprete ideale di quella politica di “restaurazione” cui aspirano i suoi elettori vecchi e nuovi.

Una opposizione così sgangherata e senza respiro come la nostra, composta da partiti, Azione compresa, tesi principalmente a marcare il proprio territorio, ha poche frecce al suo arco, non tanto contro l’attuale governo quanto contro lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, che in questo inizio millennio ha invertito la rotta e vede un numero crescente di elettori disposti a rinunciare a diritti civili, sociali, politici, in una parola, ad essere cittadini e ad accettare di tornare ad essere sudditi in cambio del miraggio di una sicurezza “esistenziale” che si rivelerà illusoria.

Se questo è lo spirito del tempo, il governo, a meno di suoi errori catastrofici, potrebbe cadere soltanto sotto i colpi del fuoco amico, magari sostituito dall’ennesimo governo pro tempore di tecnici che tenteranno di tenere in piedi, ancora per un po’, la baracca. E poi? Indette le immancabili elezioni anticipate, in assenza di un risveglio di tutte le opposizioni, il successo arriderà, possiamo esserne certi, ad un nuovo improponibile personaggio ancora più abile ad interpretare “i bisogni più veri del popolo sovrano”. E a noi non resterà che far recitare una Messa da Requiem.