Manca esattamente metà anno, ovvero centottanta giorni, per il tanto atteso appuntamento con le elezioni europee. Un countdown che, se da un lato potrebbe sembrare un’eternità, dall’altro già si avverte come imminente e cruciale per molte figure chiave della politica europea. È una corsa contro il tempo che vede i principali attori già sul palcoscenico, delineando strategie e schieramenti, svelando la tensione di una competizione che assume i contorni di una prova esistenziale.
Matteo Salvini, artefice di un avvio di campagna elettorale che ha mosso i primi passi a Firenze con il peggio dell’Europa sovranista, ha virato la sua attenzione verso il gioielliere pistolero, cercando di conquistare voti dall’elettorato di destra. Nel frattempo, Giorgia Meloni si lancia in progetti ambiziosi, come l’apertura di centri in Albania, spese spropositate incluse, cercando di piazzare un gran finale a Durazzo. Nel panorama politico italiano, persino le nomine vengono scandite dalla corsa alle elezioni, come dimostra il blocco di quella di Paola Concia per non perdere consensi a destra.
Giuseppe Conte alza i decibel, sognando il sorpasso a sinistra, mentre Elly Schlein ri-arruola la triade dei riservisti democristiani, composta da Prodi, Letta e Gentiloni. Nel frattempo, Matteo Renzi è già capolista, mettendo in mostra una determinazione che fa eco all’ansia generale di una classe dirigente che vive ogni passo come una prova cruciale, sovrastimandone gli effetti.
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Questo fervore eccessivo, questo anticipare dei tempi, riflette il limite di una classe politica che si muove guidata da ansie e dalla necessità di conferme immediate. La politica sembra essere governata non da un progetto a lungo termine, ma da una persistente insicurezza esistenziale che rende ogni evento un’urgenza del presente. Slogan e iniziative vengono consumati rapidamente in una società che metabolizza velocemente le “scosse emotive” di cui ha parlato il Censis, dalle crisi internazionali all’attualità nazionale.
In questo contesto, la corsa alle elezioni europee si svela come una sproporzione temporale e di significato. Mentre i politici italiani si affannano a prepararsi per l’appuntamento elettorale, il peso reale di questa scadenza sembra essere felicemente rimosso. Pochi parlano del ruolo (inesistente) dell’Europa in crisi come quella in Palestina o (minimo) in Ucraina. Nessuno riflette sul futuro del continente in caso di vittoria di Trump, dato in vantaggio negli ultimi sondaggi, come accennato nell’editoriale del Nyt.
L’Italia, per una volta, non è l’eccezione in un’Europa modello. La politica europea sembra segnata dalla preoccupazione “elettorale” per i riflessi interni delle crisi globali più che per il suo impatto nel contesto internazionale. Il suggerimento di Mario Draghi per la prossima commissione europea riflette questa fragilità politica, che si appresta a ricorrere a un “uomo della Provvidenza”, senza essere stato eletto, mentre si avvicina il giorno delle elezioni. La corsa è già iniziata, e la scadenza è un’ombra che si allunga, alimentando il fervore di una politica che si gioca tutto in un attimo, dimenticando il progetto a lungo termine e il ruolo che l’Europa potrebbe giocare nel panorama globale.