L’Italia è un Paese meraviglioso, ma da tempo si è trasformato in quel Paese in cui il livello del dibattito pubblico ed il confronto politico hanno raggiunto livelli infimi, tra schiere di sostenitori polarizzati sulle proprie posizioni.
Una deriva culturale iniziata anni fa che sui social esplode in tutto il suo fragore approfittandosi di uno spazio che, come previsto da Umberto Eco, funge da cassa di risonanza per legioni di imbecilli che un tempo avrebbero diffuso le proprie chiacchiere bislacche al bar e che oggi riescono a diffonderle a macchia d’olio, approfittando del potere della rete. Una rete che fa da cassa di risonanza a pseudo-opinioni che vengono assunte come verità, soprattutto quando si innalzano “contro”: contro le posizioni ufficiali, contro la realtà oggettiva, contro a prescindere.
Nascono idee bizzarre, si diffonde la dietrologia, si perde la capacità di discernimento tra realtà e teoria, sparisce la possibilità di confronto tra posizioni realistiche seppur differenti. Il tutto supportato da una delle patologie più diffuse e preoccupanti della nostra epoca: l’analfabetismo funzionale, che nasce dai bias cognitivi, ossia dalle distorsioni che le persone attuano nelle valutazioni di fatti e avvenimenti, spingendole a ricreare una propria visione soggettiva che non corrisponde fedelmente alla realtà.
Da qui all’interpretazione personale e personalizzata delle parole altrui il passo è breve e porta, ineluttabilmente, all’impossibilità di instaurare un confronto costruttivo con gli altri. Un’incapacità che ormai è evidente in qualsiasi contesto: dalle posizioni relative alla pandemia alla guerra in Ucraina, negli ultimi anni o si è percepiti come pro o si è contro a prescindere. Basti pensare a chi si permette di muovere critiche verso l’ANPI, che in queste settimane si è scordata il proprio ruolo di testimonianza storica a supporto della Resistenza. Ma, se si criticano queste posizioni, si viene percepiti come fascisti, quando invece ci si aspetterebbe dalla stessa base ANPI una presa di posizione contro le dichiarazioni ufficiali dei propri vertici nazionali. Lo testimoniano le reazioni verso chi sottolinea come alcuni intellettuali, sedicenti o percepiti, alla Orsini o alla Capuozzo, attuano, ognuno a proprio modo, una distorsione della realtà ed un supporto alla propaganda di parte. Ma se si sostiene ciò, si viene additati come sostenitori della censura e gli stessi, quotidianamente in tv, supportano tale teoria gridando alla censura. Mentre sono in tv.
Lo si evince nel momento in cui se si crede alle versioni ufficiali, ai dati oggettivi, alle Istituzioni, si viene etichettati come servi del potere, come stupidi che credono a notizie manovrate, da chi non si rende conto di seguire versioni non verificate, notizie spesso inventate, false, per manovrare loro per primi.
Insomma, nella nostra epoca, in cui i social sono sconfinati nella realtà quotidiana, tra l’incapacità di discernimento tra realtà e fantasiose teorie e la voglia di apparire, di assurgere ad un ruolo di intellettuale della propria “bolla”, tramite posizioni sempre in contrasto con l’ufficialità e con l’oggettivo, il dibattito non è più tale e si è trasformato in una lotta ultras indirizzata a vincere il premio per la curva più coreografica e rumorosa.