La decisione del Comune di Milano di affiancare la bandiera della pace a quella di Israele, proiettate sulla facciata di Palazzo Marino per esprimere il disgusto e la solidarietà della città alle vittime delle orribili stragi perpetrate da Hamas ha sollevato non poche polemiche. In particolare risuonano le accuse del presidente del Memoriale della Shoah, Roberto Jarach, verso il sindaco Beppe Sala.
Jarach ha affermato che avrebbe preferito vedere solo la bandiera di Israele sul palazzo comunale. Ha sostenuto che “deviare l’attenzione su concetti entrambi validi, perché anche la bandiera della pace lo è, indebolisce il messaggio.” La sua posizione è stata condivisa da numerosi membri della comunità ebraica.
La critica di Jarach ha portato a una replica da parte del sindaco Sala, che ha ritenuto opportuno ribattere per difendere, risultando tuttavia poco rispettoso e accusatorio. Sala ha dichiarato: “Jarach è uomo di destra che usa questa occasione per fare politica, ed è la cosa più sbagliata che c’è.”
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Tuttavia Jarach non è certo un politicante da quattro soldi, e infatti in passato non si è fatto problemi, quando ha dovuto, ad esprimere critiche anche nei confronti di posizioni all’interno della sua stessa area politica. Ad esempio, durante un’intervista a Jarach rilasciata in agosto, egli ha condannato le manifestazioni di “squadrismo ancora attivo” e ha denunciato “colpevoli rievocazioni con tanto di ritrovi.” Inoltre, ha espresso preoccupazione per “la capacità di ricatto del mondo nostalgico nei confronti della destra”, aggiungendo che “Fratelli d’Italia evita i conti con il passato”. Jarach è quindi riconosciuto come una figura seria e autorevole, impegnata in una critica obiettiva di posizioni politiche o sociali che lui non condivide.
Il punto è che quando si tratta di terroristi che mettono in discussione l’esistenza di Israele, è fondamentale rispondere con fermezza e solidarietà nei confronti dello Stato e del suo popolo. La scelta di Sala invece, insieme alla sua successiva reazione, ha trasformato la questione in una disputa politica anziché un atto di solidarietà.