Il patto repubblicano non basta. Alla ricerca di un “sogno” vincente

Trasformare il patto “repubblicano” in un soggetto politico unitario non è certamente semplice, e la morte del Terzo Polo è lì a dimostrarcelo. Tralascio l’aggettivo “nuovo” perché, per esser tale, non basta mettere insieme delle sigle; occorre un’idea di società che ne stia alla base. Occorre dunque mettere insieme tanti tasselli che però devono incastrarsi perfettamente.

Il Terzo Polo è morto, ma non basta affermarlo per creare uno spartiacque con Italia Viva e Renzi; bisogna avere chiaro il perché. Il perché ad oggi è rinchiuso dentro uno schema in cui prevale la logica personalistica, escludendo l’aspetto fondamentale: la sterile sommatoria di due classi dirigenti precostituite.

La lezione che viene da quel fallimento è questa, e se il “Patto Repubblicano” pensa di essere la sommatoria di sigle, nobili quanto vogliamo, il risultato sarà lo stesso. Non può bastare il metodo “Draghi”. Il senso di responsabilità può valere per una specifica situazione rispetto alla quale occorre superare lo stato quo (vedi pandemia), ma l’alternativa al populismo sovranista illiberale dilagante, al partito unico in cui destra, sinistra, centro non sono altro che correnti o sottocorrenti, non può nascere da un senso di responsabilità: mettersi insieme per opporsi.

L’alternativa non può che consistere in un’idea di società fondata su un insieme di valori e questi, avendo ben presente lo scontro di civiltà in atto e che non potrà esaurirsi nel giro di qualche lustro, ma sarà una costante temporale, non possono che rifarsi al Liberalismo. La libertà è la condizione unica e insostituibile per dare senso alla parola progresso. La lezione di Antonio Martino: “Il liberale è conservatore, reazionario, rivoluzionario, radicale e infine progressista”. Tante cose insieme che fanno un tutt’uno; tentare di spacchettarle è ipocrisia politica.

La fase costituente dunque è un processo prima di tutto di azzeramento dell’esistente, dove ognuno si rimette in gioco e non esistono più paracaduti di nessun genere. L’interlocutore è l’elettorato astensionista, rispetto a cui l’essere repubblicano, popolare, riformista, cattolico, ecc., non determina nessun interesse, non le ritiene categorie vincolanti al fine di costruire un soggetto politico realmente nuovo.

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La nuova classe dirigente la formiamo attingendo dalla società, valorizzando le esperienze di studio, lavoro, di vita, oppure attingendo dal politicamente esistente, riemergeranno i personalismi, l’autoreferenzialità, la provenienza storica in cui, esaurito inevitabilmente il senso di responsabilità, tornerà a galla “l’io ero”. Le storie vanno lasciate alla storia.

La nuova epoca indotta dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione sta sedimentando sotto i nostri piedi; per essere compresa e vissuta consapevolmente, richiede nuovi paradigmi e nuovi linguaggi. Prendiamone coscienza. Il “Patto Repubblicano” è su questa lunghezza d’onda? Siamo consapevoli che trattandosi di una nuova epoca ha bisogno di un rinnovato patto fondativo, rispetto al quale l’attuale costituzione è ormai superata in tutte le sue parti, e quella che un tempo era la costituzione più bella del mondo, pur trattandosi di un falso storico, è solo un ferro vecchio arrugginito?

La società fondata sul lavoro, estrapolata dal contesto storico, non vuol dire niente se non un’ovvietà mostruosa. La società frutto della nuova epoca deve essere fondata sul merito, sulle opportunità, sul ripudio di ogni minima forma di egualitarismo, sul rispetto e valorizzazione delle differenze quale unica condizione per dare senso alla parola opportunità.

Merito, competenza, concorrenza sono le parole chiave della vera giustizia sociale. Continuare a vivere in un novecento immaginario vuol dire essere destinati all’estinzione. Il “Patto Repubblicano” deve uscire dalla storia del novecento; non basta dichiarare di essere equidistanti da questa destra e sinistra, così come non basta il pragmatismo sulle cose; occorre trasmettere un “sogno” per essere vincenti.