Che la tematica ambientale sia una vera e propria emergenza è un dato di fatto; il pianeta soffre e non da ora per vari motivi che non è questa la sede per analizzare. Non serviva Greta Thumberg a farci scoprire che i rischi sono seri e concreti per l’umanità tutta anche se l’importanza mediatica che la giovane svedese ha ricevuto in questi ultimi anni è stata importante cassa di risonanza che ha di fatto obbligato le potenze mondiali a porre il clima in cima all’agenda politica del nuovo millennio.
E bene hanno fatto le istituzioni europee a porsi seriamente il problema dell’eccessivo tasso di emissioni inquinanti anche se – per dovere di serietà – non possiamo sottacere i rischi di un approccio ideologico ed estremista al “green che non considera le conseguenze di scelte radicali nei modi e nei tempi che potrebbero generare effetti controproducenti.
Quel che è accaduto ieri al Parlamento Europeo ne è la prova provata. Se è vero che i veicolo a motore, soprattutto quelli alimentati a diesel e benzina sono uno dei primi fattori (certo non l’unico) che causano l’inquinamento globale, è pur vero che in certe materie il bilanciamento degli interessi in gioco dovrebbe essere la regola base per affrontare il problema con serietà. E invece così non è stato.
Il nodo della contesa è stato proprio il pacchetto che prevedeva, oltre allo Stop alle auto inquinanti, anche la riforma ETS (Emission Trading Schemes), l’introduzione della Carbon Tax e l’istituzione del Social Clmate Fund ( un fondo di sostegno per i soggetti più vulnerabili a seguito della stretta sulle emissioni).
Di fronte alla proposta della Commissione che appunto andava nella direzione dello stop ai veicoli a diesel, gpl e benzina per giungere a alla riduzione del 55% delle emissioni entro il 2035, e del 100% entro il 2050, il PPE con una serie di emendamenti a firma Peter Liese, aveva tentato una via più moderata, proponendo di portare tale riduzione dal 100% al 90%. Sembra una modifica marginale e invece poteva fare la differenza anche in termini di assorbimento sociale delle nuove misure.
Ma il gruppo Socialisti & Democratici (assieme agli estremisti di destra e di sinistra), dopo aver chiesto qualche minuto di sospensione della seduta, ha deciso di respingere tutti gli emendamenti del PPE. Da lì, il putiferio politico e la crisi della maggioranza Ursula. I Popolari accusano la sinistra di aver bocciato la riforma per ragioni ideologiche e i socialisti ribattono di aver semplicemente difeso la proposta originaria da ogni rischio di snaturamento sostanziale.
Il dibattito politico si è acceso anche in Italia dove Antonio Tajani e Carlo Calenda si sono scagliati contro il centro sinistra rimproverato di essersi schiacciato su posizioni ideologiche sterili e incomprensibili che non portano a nulla (peraltro in compagnia di alleati non proprio di cui andar fieri).
Sulla stessa posizione i seppur con toni un po’ più sfumati, il Ministro Cingolani.
I punti del ragionamento di quest’ultimo sono essenzialmente due e paiono entrambi più che condivisibili. Da un lato, quanto avvenuto al Parlamento Europeo dimostra come la transizione ecologica sia materia molto complessa che va affrontata con spirito costruttivo e proattivo per conciliare l’emergenza climatica con le esigenze sociali. Perciò – invita il Ministro – occorre essere molto innovativi nelle soluzioni avendo di mira gli obiettivi sistemici e non solo contingenti da raggiungere.
Il secondo punto, più tecnico, del ragionamento sottolinea come l’estremismo green e la corsa all’auto elettrica “senza se e senza ma” siano completamente privi di senso. Al contrario, schierandosi a favore di una posizione più moderata Cingolani fa rilevare la necessità di studiare vie intermedie come ad esempio l’utilizzo dei carburanti sintetici che comportano una riduzione delle emissioni fino al 90 per cento e sono totalmente compatibili con le pompe di benzina che abbiamo sulle nostre strade e con i motori a combustione interna.
Si tratterebbe di una soluzione ottimale per gestire la delicata fase della transizione senza imporre ai cittadini acquisti di nuove auto (che potrebbero essere complicati anche in considerazione delle difficili condizioni economiche) e al tempo stesso consentendo al paese di dotarsi delle necessarie infrastrutture, di rendersi progressivamente autonomo anche in termini di produzione dei energia green, e quindi di non dover dipendere dalla Cina, unico paese produttore delle relative batterie.
Insomma – per Cingolani, così come per Calenda – sul green basta propaganda e più realismo e concretezza! D’altra parte – noi lo diciamo da tempo – l’Italia e l’Europa debbono correre verso una progressiva autonomia energetica, senza dipendere da altri (soprattutto Russia e Cina) e per far questo un approccio meramente ideologico non aiuta per niente, anzi ci ostacola e rischia di farci perdere opportunità importanti.