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Giustizia, finalmente un passo in avanti: la riforma Cartabia è legge

Con 173 SI, 37 NO e 16 astenuti, vede finalmente la luce la tanto attesa riforma Cartabia che stamattina è stata approvata in Senato, nonostante le intemperanze della Lega e del suo Segretario. Riforma importante perché per la prima volta dopo tanto tempo si mette mano alla giustizia in senso organico e non con meri interventi a spot, sovente animati da intenti “ad personam” o “contra personam”. Soddisfatto il ministro Marta Cartabia che riconosce il grande risultato raggiunto con l’apporto di tutte le forze di maggioranza, dopo una lunga fase di trattativa in Commissione Giustizia (soprattutto della Camera).

Cosa cambierà con la riforma? Intanto il numero di componenti del Consiglio Superiore della Magistratura che passa da 27 a 30 unità (3 di diritto e 27 eletti), con 10 membri laici e l’introduzione delle quote rosa tra i candidati. Dal punto di vista del sistema elettorale si applicherà un sistema binominale per singolo collegio temperato da un recupero proporzionale. Viene abolita la lista elettorale e l’obbligo di firma per la candidatura cosicché ciascun candidato potrà presentarsi individualmente sula base del proprio curriculum professionale. Nelle intenzioni c’è il superamento del sistema correntizio che ha funestato l’organo di autogoverno e che è emerso con lo scandalo Palamara, ma su questo punto c’è da rilevare il rischio che il farraginoso meccanismo elettorale possa vanificare tali buone intenzioni, come anche segnalato da autorevoli magistrati, uno su tutti, il Dott. Sebastiano Ardita. Vengono, poi, abrogate le “nomine a pacchetto”, e consentito il voto agli avvocati per gli incarichi direttivi. Intervento importante anche sotto il profilo della formazione del magistrato con interventi costanti sotto l’egida della Scuola Superiore della Magistratura, sia prima dell’accesso alla funzione che dopo.

Maggiore trasparenza dovrebbe verificarsi anche nelle procedure di selezione con pubblicazione internet di tutti i dati necessari e l’obbligo di audizione di almeno 3 candidati per il singolo posto direttivo o semidirettivo. Invero il sistema della plurima audizione vigeva anche adesso, sebbene senza regole precise, ma veniva bypassata da scelte fatte altrove. Nei Consigli giudiziari potranno votare anche gli avvocati ma solo dopo una delibarazione apposita del Consiglio dell’Ordine territoriale, anche qui venendo incontro, seppur in modo più temperato al quesito referendario bocciato domenica scorsa. Finalmente, invece, stop alle porte girevoli fra magistratura e politica. Chi viene eletto in politica, come parlamentare, sindaco, consigliere comunale ecc. (e lo potrà fare soltanto in territori dove non ha esercitato la propria funzione giurisdizionale) non tornerà in magistratura; si impone inoltre il divieto di esercitare contemporaneamente la funzione di giudice o pubblico ministero e di ricoprire incarichi elettivi o governativi anche di secondo piano. In questi casi, pertanto, il magistrato che decida di ricoprire detti incarichi dovrà porsi in aspettativa dalla funzione e, al termine del mandato elettivo, non potrà più svolgere una funzione giurisdizionale.

In caso di candidatura in politica ma di mancata elezione, sarà possibile il ritorno alla giurisdizione, ma per i successivi tre anni il magistrato non eletto dovrà esercitare le funzioni in una diversa Regione (sia rispetto a dove si sono candidati, sia a quella dove lavoravano), nè potrà rivestire incarichi direttivi. Quattro, invece, sono gli anni di “aspettativa” in caso di magistrati divenuti capi di gabinetto. Questo dovrebbe riuscire a aumentare la percezione di terzietà del giudice anche in caso di mancata elezione sebbene già la candidatura indichi una preferenza politica. È un primo passo, indubbiamente. Altro elemento che nelle scorse settimane aveva scatenato il dibattito politico e non solo, provocando le vibranti proteste dell’ANM: il fascicolo performance. Dopo la riforma, la valutazione, sarà annuale e non quadriennale, e avrà ad oggetto l’analisi dei vari provvedimenti del giudice, non più a campione come adesso e secondo parametri che dovranno essere meglio codificati dai decreti attuativi. Attenzione particolare verrà riservata ai segnali di cosiddetta “grave anomalia”. Padre di questo spezzone di riforma il deputato Enrico Costa di Azione che oggi esulta per quella che è stata una battaglia che lo ha visto protagonista assoluto.

Come previsto nell’impianto originario, non vi sarà separazioni di carriere, ma separazione di funzioni fra magistrato giudicante e requirente. Il passaggio dall’una all’altra funzione, sarà consentito solo una volta (invece delle attuali 4) e la scelta dovrà avvenire rigorosamente entro 10 anni dall’assegnazione della prima sede. Non ci sarà invece alcun limite, invece, per il passaggio dal settore penale al settore civile e viceversa, nonché per il passaggio alla Procura generale presso la Cassazione. Benchè estremamente modulato rispetto a ciò che servirebbe in questo paese, anche la separazione delle funzioni ha fatto gridare allo scandalo l’ANM che invocata una presunta violazione del principio costituzionale dell’unità della giurisdizione. Queste in estrema sintesi le novità introdotte dalla Riforma. In attesa dei decreti attuativi che daranno impulso concreto a tali novità (la partita, quindi non è finita qui), possiamo dire che sicuramente l’intervento del legislatore è stato organico, importante e segna il passo rispetto alla stasi degli ultimi decenni. Se poi saprà essere rivoluzionario in termini di efficienza ed equità, lo scopriremo con l’applicazione concreta dei relativi istituti.