L’Europa non sarà mai Europa se continuiamo a descriverla per difetto. Certo, oggi l’Europa non è più quella che sfociò nel sangue della seconda guerra mondiale. Però la memoria delle infinite tragedie novecentesche, seppur importante, non basta, non può bastare. Così come non basta la critica all’Europa per nascondere la voglia di smantellare quel poco di buono che è stato fatto, la voglia di erigere nuovi muri, di chiudere frontiere, di correre alle divisioni.
E invece piu si divide e meno si risolvono i tanti mali dell’Europa. Perché il progetto europeo resta ancora una patria possibile, una comunità vitale, una strada da percorrere. L’unica. Se il sogno europeo è ancora vivo, il mito europeo lo è ancora di più. E allora è il caso, soprattutto da destra, di ricominciare il racconto da capo, recuperando la carica di uno dei momenti topici che hanno partorito l’Europa di oggi, un’Europa che nasce dal crollo del blocco comunista in nome della riconquistata libertà da ogni totalitarismo. Scegliendo l’opzione antieuropea l’estrema destra tradisce in nome di un egoismo miope e straccione una storia e una cultura che è partita dal mito imperiale, ha percorso le vie della fede insieme ai pellegrini e ai cavalieri medievali, ha applaudito la Giovine Europa di Giuseppe Mazzini, seguendo con speranza l’idea di Winston Churchill degli Stati Uniti d’Europa o quella di Charles de Gaulle di un’Europa delle patrie, ha gridato “Europa nazione” nelle piazze di tutto il continente, si è data fuoco insieme a Jan Palach durante la Primavera di Praga e ha festeggiato la caduta del muro di Berlino. E tradisce anche quel Giorgio Almirante che amava ripetere: “La destra o è Europa o non è”.
È vero, non lo possiamo nascondere: dopo la caduta del muro di Berlino, le élite europee non hanno saputo rispondere fino in fondo alla chiamata dei tempi. Nel momento in cui le terre non erano più sporche di sangue, la politica avrebbe dovuto prendere il sopravvento, scommettendo su un destino inciso nei secoli, lungo le strade di un continente che poteva ancora scrivere la sua storia. A questo servirebbe una buona destra davvero europeista: a colmare l’ultimo tratto di strada che c’è da compiere, ad avere il coraggio di pensare a una sovranità europea, a un impero europeo, a una politica europea.
Serve un atto politico di fondazionez. E chi meglio di una buona destra, con la sua capacità di mitopoiesi, può avere il coraggio di compiere un gesto così rivoluzionario da dare forma futura e un corpo vivo a un mito millenario? Si può essere tra quelli che pensano che si dovesse fare di più o tra quelli che ritengono che meglio di così non si potesse fare, ma una cosa è certa: è arrivato il momento di ripartire, di gettare le fondamenta di una nuova mitologia europea e proprio in un periodo di crisi.
L’Europa esiste finché esiste una storia europea. Però, nel momento in cui si è trattato di riconquistare il diritto a scrivere la propria storia, l’Europa comunitaria ha avuto paura, si è nascosta nel già noto, adagiandosi nella consuetudine dell’essere soltanto una comunità economica. Ma l’Europa non può essere soltanto. Dinanzi al fatto, difficilmente contestabile, che l’Unione Europea così com’è non funziona, il discorso oggi di gran lunga prevalente è quello di rientrare nei confini domestici e smantellare quel poco o tanto di architettura sovranazionale che si è provato a costruire dal 1989 in avanti. Prima gli italiani, prima gli ungheresi, prima i polacchi… In un gioco in cui tutti vorrebbero essere vincitori. Un gioco impossibile. L’Europa ha bisogno di tenersi insieme con un patto sociale di cit- tadinanza vero e profondo. Ha necessità di andare di superare la fragilità e la precarietà di fondamenta costituite da sole politiche economiche. Serve più politica. Deve pog- giare su una base che sia in grado di aggregare e consolidare, di sorreggere e sognare: è dell’idea di unità nella diversità che bisogna riappropriarsi. È questo il terreno su cui costruire l’Europa di domani, un’Europa imperiale fondata su una nuova forma mitica e simbolica. Solo così possiamo evitare di ridurre il sogno europeo a come lo presenta la vulgata populista di “Europa dei banchieri”.
No, l’Europa deve essere degli eroi, di chi crede ancora che da qui si possano espor- tare – con l’esempio – gli ideali di libertà e tolleranza, a testa alta, senza accettare lezioni da nessuno. Un’Europa fiera della sua storia, certa della sua identità, può così diventare, finalmente, una comunità. Ma è compito della politica ristabilire questa rotta, ed è compito, soprattutto, di una buona destra accettare questa sfida epica, visto che la sinistra troppo spesso si è adattata a posizioni acriticamente ottimistiche nei confronti di un’Europa ancora incompiuta.