SECONDA PARTE – “Dove passano le merci non passano gli eserciti”; una frase suggestiva e di fondo vera dell’economista Frederic Bastiat. Se si pongono in antitesi capacità militari e capacità industriali è normale che maggiore diventi il benessere e la civilizzazione della società e maggiore sarà l’indirizzo industriale di quel paese. Un’economia commerciale portata al suo estremo collassa per implosione, un’economia militare portata al suo estremo collassa per esplosione. Tuttavia, come ogni frase il cui fondo è veritiero, la realtà è anche un’altra: non esiste, e non è mai esistita, una potenza esclusivamente economico-industriale che non fosse sorretta da funzionante sistema militare.
L’Italia necessita di una forte politica estera di lungo respiro
Non si parla di militarismo, bensì del primo fondamento di qualsiasi Stato democratico e di diritto: il monopolio della forza. Senza ordine e senza legge non esiste commercio, non esistono contratti, non esistono rotte commerciali e non esiste tutela degli investimenti e della proprietà. Tutte le mansioni che dentro i confini vengono svolte dalle forze dell’ordine, negli esteri vengono svolte col potere di deterrenza militare. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa verso altri popoli, questo non vuol dire che l’Italia debba privarsi del diritto di tutelare il proprio ruolo commerciale e industriale. Ma come difenderlo quando, usciti dai nostri confini, non vige più la legge e la magistratura non ha più alcun potere? Si entra nel mondo degli esteri e della geopolitica, un mondo non sempre morale e spesso cinico, che purtroppo però ci riguarda tutti.
Quando si parla di “ambito economico” e “ambito militare” si equipara il primo alla pace e il secondo alla guerra. Ma è una semplificazione tanto sbagliata quanto deleteria. La verità è che entrambi servono sia alla pace che alla guerra. L’ambito militare serve sia per tutelare un ordine pacifico sia per sovvertirlo e può essere adoperato direttamente o come deterrenza. Le stesse identiche funzioni le esercita l’economia: essa può opprimere un popolo di sanzioni, creare malcontento tale da porre le condizioni per una guerra o una carestia, sponsorizzare o deporre regimi dittatoriali così come può alzare gli standard di vita di una società o mantenere un esercito o lasciarlo collassare. Economia e difesa sono due mezzi, non due fini. Questo è un cardine importante da ricordare.
Non ci può essere pace senza un controllo coercitivo delle risorse e della tratte commerciali; non ci può essere pace senza che ci siano leggi e diritti e organi coercitivi atti a garantirne l’effettività. Non può d’altro canto esservi guerra senza una forte economia industriale, non ci può essere guerra senza risorse e riforniture materiali. L’economia serve alla pace così come alla guerra e la difesa serve alla guerra così come alla pace. Inoltre, oltre ad essere entrambe necessarie sia per la pace quanto per la guerra, in egual misura, le due agiscono esclusivamente in simbiosi. La difesa serve a tutelare interessi economici e gli interessi economici servono a garantire l’efficienza della difesa. Non esiste alcuna collettività indipendente moderna che abbia un forte esercito senza avere una forte economia e non esiste alcuna forte economia senza che un forte esercito la tuteli.
Non può esservi economia florida senza che qualcuno la tuteli. Non vi possono essere diritti senza che questi siano difesi. L’endemica difficoltà italiana nel disporre di una politica energetica, e di conseguenza economica, di lungo respiro ha una matrice culturale profonda la cui più ampia manifestazione è radicata nel rifiuto di qualsiasi manovra proiettiva sul Mediterraneo, naturale sbocco per l’Italia. Ne consegue che un eccellente apparato industriale settentrionale sia costantemente mutilato in quanto il sistema-Italia non riesce a garantirne la giusta tutela internazionale. Perché il principale asset strategico italiano viene oggi utilizzato per trascorrere le vacanze e non per implementare la propria politica estera. Pur volendo mantenere il discorso squisitamente economico, il rifiuto verso la proiezione di forza all’esterno inficia qualsiasi forma di industrializzazione in uscita (tutela delle rotte commerciali) e ostacola l’industrializzazione in entrata (forniture energetiche a basso costo per garantire l’esercizio delle manifatture).
Il rifiuto del pensiero strategico-assertivo in Italia condivide lo stesso assioma alla base dell’assenza di una politica energetica di lungo respiro che, a sua volta, si riflette sullo stato dell’economia: senza risorse, un’economia industriale come la nostra, non va da nessuna parte. Il tutto è racchiuso in una più ampia cecità estera frutto di un rifiuto nel prendere consapevolezza dell’insularità strategica dell’Italia.
La forza militare e la forza economica svolgono funzioni proiettive verso l’esterno e sono funzioni alle quali nessuna collettività può sottrarsi, tranne in casi in cui quella collettività decida di arrendersi allo scorrere del tempo e lasciare che qualcun altro se ne occupi. Non vogliamo occuparci di demografia? Se ne occuperà Erdogan per noi. Non vogliamo occuparci di difesa? Se ne occuperanno gli USA o la Francia per noi. Non vogliamo occuparci di energia perché il rinnovabile non è sufficiente, il nucleare non ci piace, gli inceneritori inquinano e non riusciamo a stabilire legami commerciali coi paesi produttori perché siamo irrilevanti?
Il binomio economia-difesa corre lungo gli stessi tracciati del binomio nord-sud: la difesa, nella sua accezione proiettiva, è anti-economica per definizione perché non risponde alle stesse logiche del mercato regolato. Delegare la nostra difesa ad altri, significa delegare il nostro futuro ad altri e, da che mondo è mondo, il benessere dell’Italia non è la priorità di nessun soggetto internazionale se non dell’Italia stessa. Innalzare la spesa militare ad un minimo del 2% ci permette non solo di stimolare l’eccellente industria italiana, rinomata in tutto il mondo per le sue eccellenze innovative anche in campo militare (vedere Leonardo) garantendo la nostra solidità internazionale rispettando gli impegni presi con gli Alleati, ma soprattutto di riacquisire una nostra posizione nello scacchiere Mediterraneo sempre più affollato di potenze con aspirazioni sub-ottimali.
Senza entrare in una sterile polemica contro Parigi, i fatti in Libia del 2011 vanno a ricollegarsi proprio nel binomio difesa-economia: dove la difesa è assente è assente anche la nostra nazione e i nostri interessi nazionali vengono messi in secondo piano a vantaggio di chi invece con legittima astuzia, sa giocare le proprie carte.L’economia del benessere e l’industria necessitano di risorse e tali risorse sono assenti nel nostro Paese: la tutela dei commerci liberi e delle forniture non sono per l’Italia un lusso o un optional, sono una esigenza esistenziale condicio sine qua non viene meno anche la nostra possibilità di sopravvivere nel lungo termine.
La negligenza italiana nel non avere un politica industriale di lungo respiro, di non avere una politica energetica di lungo respiro e di non avere una voce autorevole in Europa, scaturisce da un unico peccato originario: non avere una politica estera forte e assertiva che riesca, in armonia con i propri partners e alleati e in ottemperanza con i nostri obblighi internazionali, a far valere la propria posizione sullo scacchiere mediterraneo. Una totale assenza di potere di deterrenza nel Mediterraneo poteva anche andare bene quando il Mare Nostrum era un lago di pertinenza americana. Ma da quando i nostri Alleati hanno iniziato a focalizzare le proprie attenzioni militari altrove, il Mediterraneo è tornato ad essere una posta in gioco dove l’Italia, che risiede al centro, è paradossalmente l’unica a non essersi accorta che i tempi sono cambiati e che non può permettersi di pensarsi solo ed esclusivamente tellurica-padana.
L’Italia è nord ed è sud, e il sud è l’asset strategico più importante che l’Italia possa avere. Il nord Italia non può sopravvivere solo di industria senza risorse e il sud, che funge da porta per i commerci mondiali, non può sopravvivere da solo senza la manifattura del nord. La faglia nord-sud resterà un problema fin quando non ci si renderà conto che si tratta di una ricchezza duale da sfruttare, non da sopprimere, ma da saper gestire. Se l’Italia vuole sopravvivere deve prendere coscienza della propria “insularità geopolitica”: non siamo una penisola geopoliticamente perché, esattamente come gli USA, non abbiamo confini terresti da difendere: la nostra proiezione è 100% marittima e senza di questa decade anche tutto il nostro potenziale industriale che risiede quasi esclusivamente al nord.
L’Italia ha l’occasione di poter espletare il proprio interesse nazionale rendendosi pro-attivamente imprescindibile, questa volta in piena sintonia con l’ordine internazionale, con la NATO e con la propria appartenenza all’Unione Europea. Già nel 2021 il parlamento italiano ha approvato una prima misura di territorializzazione del Mediterraneo sottoforma di ZEE.
L’Italia deve capire che questo momento storico le permette di perseguire il proprio interesse nazionale con mutuo beneficio dei propri alleati, senza quindi mettersi in contrapposizione con essi e senza doversi limitare per colpa di essi. Se ciò avverrà, visti i presupposti, dipenderà solo dalla capacità della pedagogia nazionale di solidificare una visione strategica e assertiva del collocamento geostrategico italiano che rischierebbe, altrimenti, di collassare nel proprio dogma dell’inattivismo economicistico.
Con la chiusura dei rapporti con la Russia, per tutta l’Europa si chiude un enorme confine orientale che fungeva da porta verso l’Oriente: verso sia un gigantesco mercato, quello cinese, e verso un enorme bacino di risorse, quello russo. E’ ora che l’Italia capisca il suo ruolo nel mondo e lo sappia far capire anche a Bruxelles e Washington, prima che lo capisca qualcun altro. Un’opportunità d’oro per Roma che non dovrà essere sprecata. In periodi di vuoto di potere, voler essere amici di tutti significa essere nemici di tutti; voler vivere solo di economia potrà portare solo a un indebolimento tale del nostro peso politico da non avere più risorse neanche per sostenere la nostra economia. Anche qua, il binomio “strategia-difesa” più “risorse-economia” resta un cardine imprescindibile e insolubile.
Questo pone nuovamente l’Italia, al centro di uno snodo commerciale vitale non per se stessa e neanche per l’Unione Europea, bensì per metà del commercio globale: la Sicilia risiede esattamente nel centro fra tutti i traffici marittimi che collegano l’Atlantico (Americhe e nord Europa) con l’Oceano Indiano e poi il Pacifico, dove risiede quasi il 50% di tutta la popolazione mondiale. Il Mediterraneo non sarà più un lago americano. Sarà l’Italia in grado di cogliere questo momento storico o continuerà a pensarsi un Mitteleuropeo mancato?