L’Italia necessita di una forte politica estera di lungo respiro

PRIMA PARTE – Nessun edificio, così come nessun sistema politico, può essere costruito su un terreno di cui non si sa nulla.

E’ più importante la politica interna o la politica estera? Questa è una domanda in cui gli analisti hanno espresso il proprio parere per secoli e disponendosi su un continuum fra due poli posti agli antipodi: fra chi riteneva la politica estera determinante sulla politica interna e chi invece, inversamente, riteneva la politica interna determinante sulla politica estera. In realtà la ragione sta nel mezzo ma in tempi e modalità diverse.

La storia scorre e a seconda dei meccanismi di potere che si formano cambia ovviamente anche quale sia il rapporto preminente fra esteri ed interni. Nessuno ha però mai messo in dubbio che si possa vivere solo dell’uno o solo dell’altro, è chiaro che servano entrambi. Perché?

Perché entrambi, esteri ed interni, tutelano una delle massime funzioni di una collettività politica organizzata: la sovranità. La sovranità, lungi dall’essere inserita nella logica del sovranismo, è il grado di forza e legittimità che una democrazia riesce ad esprimere. Essa si divide in sovranità interna e sovranità esterna.

Nella prima troviamo quelle condizioni venute meno le quali non si può parlare neanche di “Stato” in senso compiuto, ovvero:
1) territorio
2) popolazione
3) monopolio della forza sui primi due

L’esercizio del monopolio della forza su territorio e popolazione è la condicio sine qua non di uno Stato moderno. Ma gli esteri? Esiste un mondo fuori da quei territori che non si può ignorare. Perché non si può ignorare? Per diverse ragioni, fra cui principalmente la dicotomia risorse/minacce.

Non esistono territori al mondo che possono vantare una quantità ed eterogeneità di risorse tali da potersi rendere autonomi e indipendenti da risorse presenti su altri territori fuori dai propri confini. Qualora questo avvenisse, tuttavia, resterebbe un problema: gli altri Stati al mondo potrebbero aver bisogno delle risorse contenuto nel nostro territorio e potrebbero approcciarsi a noi: in modo pacifico o militare.

Per questo, la visione introversa-sovranista che sostanzialmente ignora gli esteri, non fa gli interessi della sovranità statale, in quanto una piena sovranità, come già detto, riguarda sia la sovranità interna sia la sovranità esterna.

Che si abbiano quindi le risorse per vivere in autonomia o meno, in entrambi i casi la cura dei rapporti con l’estero sono di vitale importanza per la sopravvivenza di una collettività politica.

Allo stesso modo non si può avere una sovranità estera stabile e autorevole se la sovranità interna è debole, corruttibile o polarizzata. Questo è l’equilibrio del binomio interni-esteri da cui nessun politico potrà mai trascendere a prescindere dalle promesse elettorali.

Nel mondo contemporaneo il nostro stile di vita obbliga una costante allocazione di risorse che sono assenti sul nostro emisfero. Questo obbliga gli europei, e ancor di più gli italiani, ad avere ben presente il proprio collocamento geopolitico. La forza di un paese nel determinare la propria sopravvivenza intesa sia in senso stretto sia in termini di qualità della vita dei suoi cittadini dipende dal suo collocamento sullo scacchiere internazionale.

Le caratteristiche geopolitiche di uno Stato non possono cambiarsi con un colpo di spugna e bisogna semplicemente riconoscerle; questa è la massima funzione della strategia: estraniarsi dal presente per leggere dal passato quali sono le caratteristiche strutturali ereditarie e, solo in seguito, declinare queste condizioni strutturali in politiche pubbliche (tattica).
Detto ciò l’Italia non può con una mera azione di volontà politica cambiare il collocamento geografico dell’Italia, nessun politico può aumentare dall’oggi al domani il livello di criminalità organizzata e nessun politico potrà da un giorno all’altro eliminare i flussi emigratori e immigratori. Questi sono solo alcuni dei fattori strutturali che resteranno nel lungo termine tali e quali di cui bisogna solo prendere consapevolezza. Un buon politico deve riconoscere la via strutturale del proprio paese (fase strategica) e prendendone atto operare al fine di raggiungerla nel migliore dei modi (fase tattica).

L’Italia non sembra avere al momento fatto né la fase strategica né la fase tattica. Infatti il problema principale dell’Italia risiede proprio in una confusione identitaria: chi siamo? Dove siamo collocati? L’Italia è in gergo geopolitico un’isola: non ha nemici ai confini terrestri i quali sono in ogni caso difesi da barriere naturali e l’unica porta verso la proiezione esterna è il mare. Questo è il fattore strutturale primario da cui non ci si può estraniare in alcun modo. Ahimè, l’Italia sembra avere una certa difficoltà con la realtà del suo collocamento, essa infatti si comporta come un’isola senza mare o come una potenza terrestre senza terra. L’Italia si crede, o si auspica, di essere l’unica cosa che assolutamente non è: una potenza di terra.

Sognare un’Italia Mitteleuropea non solo denota una illusione ma è pericolosa! Essendo impossibile poter essere diverse cose allo stesso tempo, cogliere male il proprio collocamento strutturale comporta una rinuncia verso un collocamento corretto: non si può essere in egual modo una potenza di terra e di mare. Ciò impedisce all’Italia di espletare effettivamente le sue funzioni che non sono frutto delle scelte dei suoi abitanti bensì in primis dal suo collocamento geografico.

Se dal lato manifatturiero il Nord è da traino, l’asset principale che rende l’Italia un paese imprescindibile sullo scacchiere internazionale è il Sud. Il Sud è il principale asset strategico dell’Italia, isole di Sardegna e Sicilia in primis.

Volendo azzardare una analogia semplicistica si può sostenere come in Italia la sovranità intesa come esterna e interna non sia spalmata ugualmente allo stesso modo: la sovranità interna è maggiore al nord, ma la sovranità esterna sta senz’altro al sud. E’ il Nord ad essere il baricentro interno del paese ma è il sud ad essere la porta con l’esterno ed è il sud che non possiamo assolutamente permetterci di perdere come asset strategico.

Questa è in parte una semplificazione ma è essenziale per comprendere la dualità del sistema Italia. Questa dualità è un problema solo nella misura in cui ci si ostina a volerla ignorare e diventa invece una risorsa quando si inizia quell’opera sopracitata di riconoscimento della strategia come prima fase e solo dopo sulla base dell’essenza strategica si può declinare una tattica. Ma nessuna tattica avrà senso o funzionerà in modo compiuto se questa non partirà dalla presa di consapevolezza della nostra imprescindibile realtà strategica. Le illusioni, se non conformi alla realtà, sono solamente pericolose se inserite nella gestione politica, poiché remano in senso opposto. (SEGUE)

Alessandro Verdoliva è presidente Civitas Europa; consulente e analista di economia internazionale; cofondatore Accademia della lingua siciliana; rappresentante di Alaska Bikers