Davide, Golia e i mancati fenomeni della politica italiana (manifesto agli sbandati)

di Annalisa Bortone

Chi è il fenomeno? Il fenomeno è’ colui che appare, dal greco fenomèno, apparire.

Un’intera generazione è colpevole di essere stata un mancato fenomeno, per aver scelto di non apparire, di eclissarsi dal panorama politico. Colpevole di aver lasciato volontariamente ad altri la gestione della vita pubblica, delle decisioni, della guida della Cosa Pubblica

Una generazione che conosco bene, perché è la mia. Quella che è cresciuta ascoltando le tribune politiche e gli Oggi in Parlamento popolati dai vari Craxi, Andreotti, Cossiga, Berlinguer, Jotti, Pannella. Personaggi discutibili forse dal punto di vista morale, ma indiscutibili dal punto di vista della caratura culturale e politica.

Una generazione, la mia, che pensava che la politica fosse una cosa seria, da affrontare con preparazione e fatica, seguendo un percorso indicato non dalla Dea Fortuna, ma dalle scuole di partito, guardando agli esempi di Almirante, Rauti, Romualdi, Sponziello, e poi di Fini, Tatarella, Poli Bortone. Una generazione abituata a fare i conti con la partenza dal basso, la presenza nei Fronti della Gioventu’ e nei Fuan, senza cariche e incarichi, ma con la Voglia di Fare e senza la paura di studiare, ammettendo di non sapere, con la consapevolezza della non conoscenza che non mortifica, ma fa tendere al meglio verso l’alto, condannando l’appiattimento verso il basso.

Allora, perché quella generazione cosi’ promettente si è eclissata dalla politica, diventando un mancato fenomeno? Perché, con la sua colpevole assenza, ha lasciato spazio a coloro i quali il senso di inadeguatezza non hanno mai saputo in cosa consistesse, sentendosi sempre pronti e all’altezza, chiusi nel recinto delle proprie piccole conoscenze, dell’autoreferenza, dell’apparenza senza essenza?
Chi ha più colpa: chi ha lasciato che i peggiori facessero, o i peggiori che – in assenza dei migliori – hanno fatto?

Se ci trovassimo nell’aula di un tribunale, si potrebbe parlare di concorso di colpa, in cui la vittima ha fatto la sua parte affinchè il peggio accadesse. Rimane da capire il perché.

Una motivazione si potrebbe individuare proprio in quel senso di inadeguatezza, quel complesso di Davide rispetto a Golia, che derivava dal fatto di essere cresciuti a confronto con una generazione di politici dorata e dotata, arroccata nei castelli parlamentari ma in grado di scendere in piazza ed infuocare le masse. Politici con tanti limiti, ma preparati, colti, conoscitori delle buone maniere e del savoir faire – caratteristiche che hanno consentito loro anche di stare in Europa con la schiena dritta, a tavola con i grandi, senza il timore di essere derisi per aver frequentato “le scuole basse” o per non sapere dove va collocato il tovagliolo quando ci si siede a tavola.

Tutte cose perfettamente inutili, se uno decide di rimanere in casa propria e di non dover avere a che fare con il mondo. Ma che assumono invece una rilevanza, quando diventano strumento per dialogare alla pari e prendere decisioni rilevanti per se’ e per gli altri nella vita pubblica, essendo apprezzati e non derisi.

Ma il cafone, si sa, di questi problemi non ne conosce. Dovrebbe sapere di non saper stare a tavola, o di non sapere argomentare, o disquisire, per poter essere a disagio. Non sapendolo, è invece a suo agio, e – anzi – più che sentirsi alla pari, si sente anche superiore, moderno, e si prende gioco di regole e modi di fare che ritiene antichi, superati, inutili. Non avendo problemi, e non conoscendo i (propri) limiti, si fa avanti, osa, tenta, prova.

Gratta, e vince. Cosa? Una posizione, nella vita pubblica locale e nazionale. E’ la vittoria del mediocre, del self made man inteso nel peggiore dei modi, ovvero dell’uomo che si è formato “all’università della vita” (come se qualcun altro si potesse formare all’università della morte), o alla scuola della strada (come se chi frequenta la scuola normale potesse poi fare a meno della strada).

L’uomo che per crescere ha guardato solo a sè stesso, oltre che alle maestre Barbara d’Urso e Maria De Filippi, studiando all’accademia del grande Fratello.  L’Uomo Mediocre, che ha vinto.

E che fine ha fatto quella generazione di secchioni, che – pavida e richiusa su sè stessa – non ha saputo farsi avanti, lasciando campo libero al peggio del peggio? Non sentendosi al livello, tra una elucubrazione mentale e l’altra, si è fatta da parte, dedicandosi alla quotidianità, alla famiglia, al lavoro. Nella ferrea convinzione che persone migliori avrebbero vinto e avrebbero ricoperto cariche pubbliche. Ignorando la lezione di Darwin, che – precursore del qualunquismo vincente – aveva già chiarito che non sono i migliori a vincere e sopravvivere, ma solo quelli che si sanno adattare camaleonticamente al cambiamento. Quelli che navigano a vista, sopravvivendo a braccio, senza programmazione, senza un obiettivo, senza un ideale, spesso senza nemmeno un’idea.

Oggi è chiaro che l’imprevedibile è accaduto, e il DISUMANESIMO ha vinto. Qualunquismo, dilettantismo, approssimazione e avvenenza fisica hanno avuto la meglio su competenza, capacità analitica, approfondimento, conoscenza. Altro che raccomandazione da Prima Repubblica. Un ritorno al medioevo alto, in cui i fanatici si chiamano followers e la santa Inquisizione opera solo sui contenuti non graditi a Facebook.

Poveri di fatto e di pensiero combattono in arene pubbliche per accaparrarsi un trono digitale, senza saper mettere in fila due parole di italiano. E il trono in palio non è solo quello dei programmi spazzatura, ma anche quello delle maggiori cariche istituzionali, amministrative, politiche in genere. Il trono occupato da chi, non avendo trovato collocazione nella società civile, non avendo né arte, né parte né istruzione né qualità, ha provato a scommettere sulla politica. E con un’inversione rispetto a quanto accade in qualunque settore economico e produttivo della società, ha vinto.

In una società sana, non può accadere che chi non ha mai lavorato un solo giorno della propria vita possa diventare rappresentativo di una collettività, proponendosi di guidarla, a qualsivoglia livello. In una società sana, se ho bisogno di un medico per me o i miei parenti, cerco il migliore. Se ho bisogno di un maestro per mio figlio, cerco il migliore. Se cerco un’impresa che mi costruisca casa, cerco la migliore. E se devo scegliere chi deve amministrare la mia vita non ne posso scegliere chi ha frequentato la scuola della vita e l’università della strada, confondendo la verginità culturale, l’assenza totale di preparazione e l’improvvisazione tout court con il lasciacondotto per la credibilità.

I ladri, gli approfittatori, sono da condannare. E quelli della Prima Repubblica li abbiamo condannati. Tutti, all’unisono. Ora, i tempi sono maturi per condannare anche tutti questi ignoranti, arroganti e parassiti che stanno distruggendo il futuro dei nostri figli, presentadosi loro come modello da seguire.

Noi incitiamo i ragazzi a studiare per diventare migliori, e poi i modelli che gli offriamo sono questi. Modelli che dimostrano che basta la terza media per diventare ministro, o una partecipazione al grande Fratello per diventare assistente del Presidente del Consiglio.

La colpa è anche (o forse soprattutto) nostra.
Ora, è il momento di manifestarsi, riportando gli sbandati sui banchi della strada e diventando artefici del nostro destino e di quello della generazione che a noi è affidata.

Quisque faber fortunae suae.