Con la transizione ecologica nell’automotive non faremo lo stesso errore del gas russo?

Per ridurre le emissioni di gas serra, il Parlamento Europeo ha approvato il Pacchetto Fit for 55 che prevede tra le varie misure, la riduzione del 55% delle emissioni di CO2 da parte di auto e furgoni entro il 2030 e l’azzeramento delle emissioni nel trasporto stradale entro il 2035, attraverso il divieto di messa in commercio di auto a benzina e diesel nell’Unione Europea.

Le misure adottate dal Parlamento Europeo hanno lo scopo di contenere il rischio di un innalzamento delle temperature oltre un grado e mezzo entro il 2030 (Obiettivo dell’Accordo di Parigi sul clima). Le finalità ambientali sono evidenti e l’ambizione è in linea con l’azione europea in materia di cambiamenti climatici. Tuttavia, se fino a tre mesi fa, la partita poteva essere solo ambientale con i relativi impatti sull’industria automobilistica, oggi, vanno aggiunti gli aspetti geopolitici e strategici legati alla sicurezza dell’approvvigionamento delle materie prime che sononecessarie all’industria dell’auto elettrica.

Il tessuto industriale dell’auto in Europa è strategico. Basti pensare che secondo l’associazione dei costruttori europei ACEA, in Europa, lavorano nel settore auto 12.7 milioni di lavoratori che generano 398 miliardi di euro in entrate fiscali per i Paesi per un peso dell’8% del PIL Europeo. In termini di innovazione poi il settore automobilistico mobilizza risorse per ricerca e sviluppo pari a 58 MLD annui.

Se il settore saprà reggere e cogliere la sfida di un cambiamento sostanziale e

Se i paesi dell’Unione Europea sapranno supportare le migliaia di piccole e medie imprese che producono componentistica per motori endotermici e i lavoratori in questa transizione, allo stesso tempo, si spera che altri Paesi industrializzati extra EU facciano analoghe scelte perché il problema dei cambiamenti climatici non potrà certamente risolverlo solo l’Europa. Basti pensare che in Italia, il settore coinvolge circa 70.000 addetti. Soffermandoci sull’aspetto della transizione, abbiamo un problema di risorse necessarie alla filiera dell’auto elettrica che va risolto.

L’Europa, non ha le materie prime necessarie da utilizzare per consentire la sostituzione dei motori endotermici con le batterie. Le terre rare, preziose e necessarie per garantire la transizione ecologica, si trovano in: Cina (possiede un terzo delle riserve mondiali), Russia, Stati Uniti, Australia, Brasile, India, Malesia, Tailandia, Vietnam, Canada e Sudafrica.

Il leader assoluto è la Cina non solo per la vasta presenza nel suo territorio di terre rare. Ma anche perché la Cina ha fatto negli ultimi due decenni, accordi con diversi Paesi dell’Africa (Mozambico, Madagascar, Guinea, Repubblica Democratica del Congo e Malawi) dove in cambio della fornitura di infrastrutture, estrae minerali che poi vengono processati in loco. Quantitativi di terre rare che si aggiungono a quelli estratti nel proprio territorio e che portano il gigante asiatico ad avere il 90% del controllo del mercato.

A differenza degli altri metalli convenzionali come ad esempio, il zinco, il nichel, il rame e il piombo che sono quotati e negoziati nelle Borsa (London Metal Exchange), non esistono invece piattaforme di Borsa per le Terre rare e le transizioni sono fatte direttamente tra i produttori e gli acquirenti. Con questa strategia, la Cina ha di fatto un controllo globale degli approvvigionamenti ed ‘è diventata monopolista del mercato a livello globale.

Questo ci porta alla naturale conclusione che nello stesso momento in cui stiamo cercando di diminuire la dipendenza dal gas russo con altre forniture da altri Paesi, analogamente, dobbiamo fare molta attenzione ad affidarci ad un Paese monopolista per le forniture di terre rare che sono fondamentali per un settore strategico e cruciale come è l’automotive in Europa.

Se la decisione del Parlamento, sarà confermata dal Consiglio europeo che dovrebbe svolgersi a fine giugno, per sostenere e vincere la sfida ambientale e industriale, l’Europa, deve fare almeno tre cose per evitare di fare un salto nel vuoto, e per evitare di subire possibili shock geo politici delle forniture in futuro.

La prima, è fare accordi per l’acquisto di terre rare con i Paesi che intendono espandere la loro produzione e che non sono sotto l’area di influenza politica della Cina. Ad esempio gli Stati Uniti e l’Australia. Acquisti che dovrebbero essere fatti attraverso una centrale di acquisto unica, come ha fatto in questo periodo prima con i vaccini e poi con il gas con la EU Energy Platform RepowerEU Europe. In questo modo, si riuscirebbe ad avere più forza negoziale e maggiore garanzia sugli esiti e la continuità delle forniture.

La seconda è promuovere un partenariato pubblico privato europeo in cui far convergere le migliori eccellenze in campo scientifico e della ricerca con i campioni dell’industria per la ricerca e sviluppo di alternative tecnologiche nuove. Abbiamo visto che le case automobilistiche già investono molto. Gli strumenti ci sono già. L’Europa su queste iniziative funziona bene. L’importanza strategica di affrancarci dalle forniture di altri Paesi di terre rare e di mantenere la leadership nel campo tecnologico, vale lo sforzo finanziario per i prossimi anni.

La terza è rafforzare le politiche e le misure a livello europeo di economia circolare per il recupero delle terre rare contenute nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) a fine vita. In questo modo si potrebbe alimentare e gestire uno stock disponibile “autoctono”. Questo è possibile grazie a progetti pilota finanziati in ambito europeo, oggi abbiamo nuove tecniche sviluppate da ricercatori dell’UE che hanno reso più semplice il recupero delle terre rare, consentendo di innalzare i livelli di recupero dai prodotti al termine del ciclo di vita.

Se l’Europa riuscirà a essere più autosufficiente e ad evitare il rischio di shock geopolitici sulle forniture, allora vinceremo non solo la doppia sfida ambientale e industriale, ma consolideremo il ruolo di “big player” nel settore automotive a livello globale, confermando la nostra capacità di innovare. Altrimenti, mentre cerchiamo di diminuire la ns dipendenza energetica dalla Russiaper il breve-medio termine, rischiamo di andare incontro ad una nuova e più importante dipendenza dalla Cina sulle terre rare nel lungo termine. Dimostreremo così che non abbiamo imparato dai nostri errori.