Mancanza di contenuti, propaganda e la morte del riformismo: ecco perché la gente non va più a votare

Se c’è un dato che emerge chiaramente da questa tornata amministrativa, oltre il già detto circa la vittoria di Fratelli d’Italia o la parziale sconfitta della Lega o ancora la scomparsa del Movimento Cinque Stelle, è che l’ondata di astensionismo, oltre a aver fatto deragliare il referendum, ha colpito anche le elezioni amministrative. Non è la prima volta, non sarà l’ultima, ma il trend impone delle domande, possibilmente di ampio respiro e non limitate al contingente.

Perché la gente si è stancata di andare a votare? Perché quando si tratta di decidere il futuro delle proprie specifiche comunità e i propri specifici territori (come in questo caso), le persone rinunciano e stanno a casa o vanno al mare? Finché a queste domande non verrà data una risposta sensata, ogni oscillazione di consenso di questo o quel partito in questa o quella occasione, sarà inesorabilmente parziale e destinata ad essere smentita dalla tornata elettorale successiva. Si dirà: è l’alternanza? Ma sarà una scorrettezza sul piano descrittivo e di epistemologia politica. Qui più che di alternanza emergono vere e proprie fluttuazioni dei vari singoli leader (da Grillo, a Di Maio a Renzi fino a Salvini) tanto repentine in crescita quanto altrettanto repentine in caduta, con contestuale aumento di consistenza del partito delle astensioni. In altre parole, non si tratta di una fisiologica alternanza tra due sistemi diversi ma al loro interno tendenzialmente omogenei. Sarebbe sbagliato cadere in questo errore e vedere oro laddove oro non c’è.

Si tratta semplicemente di due coalizioni molto diverse al loro interno, in cui la battaglia politica si gioca molto più sul piano del rapporto di forza tra alleati che non sulla costruzione di un progetto alternativo all’avversario. Ciò si riflette con ancor maggiore gravità quando il “premio” è il governo del territorio dove distinguere il piano nazionale da quello locale sarebbe essenziale. Se tutto ciò è vero, allora, due domande, per così dire sistemiche, sarebbe opportuno farle. Se il gioco politico si celebra al tavolo della propaganda, è evidente che le due coalizioni non possono che spararla sempre più grossa per acquisire un consenso sempre più fluido finalizzato ad essere leader della propria squadra. Conseguenza di ciò è la mancanza di contenuti, e la morte di quel sano riformismo che da solo potrebbe far progredire il Paese e che invece tanti han dimenticato.
Se a sinistra sembra che qualcosa si stia muovendo, e i tentativi di Carlo Calenda stanno lì a dimostrarlo, seppur con meno rilevanza di quanto sbandierato, a destra l’encefalogramma riformista è tragicamente piatto.

Ormai l’orizzonte di riferimento del centrodestra è diventata la premiership nel 2023. Il resto conta poco. E ciò si sta vedendo molto bene già a poche ore dallo spoglio elettorale: questa tornata elettorale era solo un girone eliminatorio in vista delle elezioni politiche del prossimo anno e la vincitrice già vorrebbe mettere a frutto la sua prevalenza interna. La richiesta agli alleati di “staccare la spina al Governo Draghi” (puntualmente rimbalzata da Salvini e Berlusconi),per quanto assurda dà proprio il senso di un orizzonte limitato e di basso cabotaggio in cui ancor più risalta l’assenza della componente moderata della coalizione che obiettivamente non tocca palla da tempo.

Nel centro sinistra invece, prosegue la tafazziana rincorsa del PD al Movimento 5 Stelle, in caduta libera che lo porta a schiacchiarsi sempre più su posizioni estreme (vedasi la Giustizia), ma che alla lunga non paga. E se regge botta è per demerito dell’avversario più che per merito proprio.
In questo scenario un po’ disarmante, l’unica differenza tra queste aree è in ciò che si muove al loro esterno. Mentre a sinistra forze riformiste paiono mettersi in moto seppur con risultati altalenanti, ma che segnalano che “c’è vita sul pianeta”, a destra questa cosa manca completamente, o, nella migliore delle ipotesi, è rimessa ai singoli parlamentari su singoli temi. Segno evidente che il male di questa polarizzazione estrema colpisce soprattutto a destra e che da destra dovrebbe arrivare uno scatto di reni per non consegnare alla controparte il monopolio su un campo riformista potenzialmente fecondo (oltre che fondamentale per il Paese) che magari riporterebbe la gente a votare.