L’Italia non è un Paese per giovani. O almeno così la pensano i diretti interessati che continuano a trasferirsi all’estero per studiare o per lavorare. 3 su 10 secondo i dati più recenti, inseguendo migliori condizioni di vita laddove vengano favorite rispetto al nostro Paese.
La “fuga di cervelli” continua a provocare una emorragia di giovani formati, ambiziosi, con tanta voglia di mettersi in gioco dopo aver trascorso anni sui libri. Nel 2019, prima della pandemia, ben 50mila giovani italiani hanno lasciato l’Italia. In cerca di opportunità, di una maggiore stabilità economica, di realtà capaci di valorizzare i loro talenti , in cerca di una migliore qualità della vita.
Una grande fuga che interessa anche Veneto e Lombardia, non solo il Sud del nostro Paese. Le mete più gettonate, anche se qui non parliamo di un viaggio in crociera, sono prevalentemente la Francia, il Regno Unito, gli Usa e perché no, l’Argentina: a queste partenze non corrispondono quasi mai dei ritorni. La conseguenza è che i Paesi ospitanti crescono anche demograficamente (oltre che culturalmente), mentre l’Italia tende ad impoverirsi sempre di più, sotto tutti i punti di vista.
Il Rapporto Migrantes 2021 registra dal 2006 una crescita della popolazione AIRE (italiani residenti all’estero) pari all’82% fino ad oggi. Numeri preoccupanti per un Paese come il nostro, che non sembra riuscire a rinnovarsi culturalmente e professionalmente. Di proposte per migliorare il rapporto tra scuola, università e mondo del lavoro ce ne sono molte, ma qualsiasi sia il programma per invertire un trend nefasto è la base di partenza che conta.
Fino a quando l’Italia non riprenderà a crescere davvero, finché non faremo più Pil, non saremo in grado di generare più ricchezza, innovazione, investimenti, non si capisce come faremo a dare opportunità ai giovani che abbiamo formato e sarà inutile chiedersi perché abbandonano l’Italia.