Sono passati quasi trent’anni da quella geniale, ironica invettiva di Gaber che mise davvero la parola fine alle ideologie del Novecento più della caduta del muro di Berlino. Quel mettere alla berlina destra e sinistra evocando minestrine e reggicalze, mortadelle e karaoke, docce e Marlboro, fu la più clamorosa delle pernacchie nei confronti delle resistenti e rocciose convinzioni, fatte di pregiudizi e luoghi comuni che animavano l’Italia dell’epoca.
Dell’epoca? Ma oggi siamo allo stesso punto con l’aggravante che chiunque delle due parti governa applica la stessa agenda di governo monopolizzata da incartapecoriti socialisti di sinistra e di destra travestiti da liberali al solo fine di recitare la loro parte e impedire ai veri liberali di emergere.
Occorrerebbe sparigliare le carte, rigirare come un calzino la vecchia politica, ridefinire il significato delle parole, tornare a parlare di libertà e non solo di diritti, ridurre il peso insopportabile dello Stato con tagli alle spese, alle tasse, alla burocrazia, alla produzione legislativa, al numero degli enti locali, di quelli inutili e dei ministeri, alla stessa architettura istituzionale del paese.
Mentre tutto questo non accade siamo invasi dalle armi di distrazione di massa: libri pieni di stronzate che catturano l’attenzione più di un giallo di Agatha Christie, mirabolanti soluzioni (salario minimo per legge) che non tengono conto delle reali condizioni ed esigenze del paese: produttività, crescita, lotta alla povertà, emersione dell’economia sommersa, ma di cui si deve obbligatoriamente discutere, strampalate vecchie strategie politiche che mettono al centro “campi larghi” (poco tempo fa erano almeno campi chiari) per opporsi al “nemico”, oppure soluzioni alternative sempre ammesso che lo siano come “il Centro” che da più l’idea di un circolo teatrale che di strategia politica e senza contare i battibecchi imposti dall’egocentrismo dei singoli.
Nonostante tutto questo non si riesce a liberarsi dalla scomposizione ormai arcaica di questa destra e di questa sinistra, c’è un bisogno latente di incasellarsi, di auto collocarsi da una parte o dall’altra, dentro zone largamente posticce (Almirante e Berlinguer) ma comunque di conforto.
Coraggio, inventiva, nuotare controcorrente non fanno parte del DNA della politica di oggi. Noi che con il nostro esistere dimostriamo che razzismo, xenofobia, discriminazione non ci incastrano nulla con la parola “Destra”, così come meritocrazia, concorrenza, ridistribuzione delle opportunità, centralità d’impresa come luogo in cui si crea ricchezza, è il nostro modo, da destra, di essere “globali” dentro l’Europa e l’Occidente, contro ogni forma di totalitarismo politico e religioso, siamo costretti, per sopravvivere, ad elemosinare uno spazio politico dentro un partito: Azione che ormai sta diventando un assemblaggio indistinto di culture politiche.
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La buona Destra dentro Azione non ha futuro, almeno è così che vive questa appartenenza forzata chi scrive. Onestamente invidio la sicurezza di alcuni di noi, oggi pronti a firmare una petizione a sostegno di un provvedimento iniquo e illiberale come il salario minimo per legge.
Dobbiamo obbligatoriamente diventare “pubblici” e non bastano le partecipazioni televisive. Dobbiamo darci un orizzonte e questo non può che essere le elezioni politiche del 2027. Immaginiamo la nostra festa come la prima tappa del percorso fondativo del partito buona Destra in cui, con coraggio, nuotando controcorrente, andiamo a saldare umanesimo e liberalismo.
Occorre generare una nuova corrente fondata su una narrazione che non deresponsabilizzi gli individui di fronte alle incertezze della nuova epoca, ma anzi li incoraggi a trovare le tante luci che l’epoca 4.0 nasconde nelle sue apparenti ombre. Una narrazione positiva e sorridente che metta al centro i valori della responsabilità individuale e del talento, una narrazione profondamente umanistica, fondata sull’idea che ciascun individuo possieda le risorse per promuovere la propria emancipazione. Una narrazione aperta che interpreti i processi di Integrazione tra genti diverse come fattore di sviluppo economico e arricchimento culturale. In questo nuovo tempo, a fronte di opportunità che si schiudono, ci sono garanzie che si esauriscono e mentre queste ci venivano regalate le opportunità dobbiamo conquistarcele.
Importante non è se riusciremo, importante è provarci, esercitare il diritto di provarci, in questo modo possiamo dire di aver “vissuto” la nostra identità coscienti che nel domani non c’è certezza. Il presente ci presenta solo il conto di una omologazione posticcia fondata sul nulla.