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Cosa c’è dietro Santa Sofia

Cosa c’è dietro Santa Sofia

Luglio 16, 2020 by guest in News

È ufficiale, la Hagia Sophia (Santa Sofia) diventa moschea. Un ritorno che non passa inosservato a chi cerca di capire i mutamenti dello scenario internazionale iniziati con l’elezione di Erdogan. Un passaggio che simboleggia la volontà di riportare la Turchia al suo passato teocratico, in un mondo che oggi di tutto aveva bisogno tranne che di un nuovo Impero Ottomano. Facciamo un po’ di chiarezza. Hagia Sophia nasce, nel 537 e fino al 1453, come cattedrale Greco-cattolica e poi ortodossa e infine, a eccezione di un breve periodo tra il 1204 e il 1261 quando fu cattedrale cattolica di rito romano sotto l’impero latino di Costantinopoli, sede del patriarcato di Costantinopoli.

Divenne poi moschea ottomana nel 1453 e tale rimase, per meno di 500 anni, fino al 1931 quando fu sconsacrata e infine, nel 1935, trasformata in museo e simbolo del dialogo multiculturale e religioso da Kemal Atatürk, massone, fondatore e primo presidente della moderna Republica Turca. Più cristiana che islamica, se proprio vogliamo, da allora, Hagia Sophia è diventata il simbolo di una Turchia moderna e proiettata verso il progresso, sebbene straziata al suo interno dalle mille contraddizioni di un paese che, letteralmente, è ponte tra due mondi, due civiltà, due epoche diverse.

Un paese, la Turchia, da sempre a cavallo tra l’Occidente di cui è alleata e l’Oriente di cui è amica. Membro della Nato, ma vicino alla Russia di Putin, con uno zampino sempre più ingombrante negli affari medio orientali e nelle relazioni con il gigante cinese. Ma a nessuno, a partire dal Vaticano, sembra importare realmente nulla. Il Pontefice romano si dice addolorato, tutto qui, e per ora la Santa Sede si limita a riportare i moniti del Patriarca ecumenico e del Patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie che definiscono l’atto «parte di un progetto imperiale. Il volto spirituale di una conquista [politica, nda] che per gli islamici è sempre molto concreta».

Leggi l’articolo completo su Italia Oggi

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Revoca concessione Autostrade o no? Lo scenario che “piace” al governo

Revoca concessione Autostrade o no? Lo scenario che “piace” al governo

Luglio 14, 2020 by guest in News

Il Consiglio dei Ministri è convocato per stasera, martedì 14 luglio 2020, con all’ordine del giorno la questione della concessione delle autostrade. La diatriba tra il governo e Aspi, Autostrade per l’Italia, azienda controllata dalla famiglia Benetton, si fa sempre più tesa. Al governo, o meglio, a buona parte della sua maggioranza, M5S in testa, non è andata giù la proposta economica di Aspi per risolvere il contenzioso aperto sulle manutenzioni, dopo la tragedia del Ponte Morandi.

Della revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, percorso irto di ostacoli legali e potenzialmente dannoso per lo Stato, si parla ormai da mesi. Chi, in questo momento, nella maggioranza non dice che la revoca è soltanto l’ultima ratio rispetto ad altre soluzioni, mente. O per essere più morbidi, omette di ricordare altri scenari, già ben noti nelle stanze di Palazzo Chigi e che sarebbero oltre che praticabili ben accetti da entrambe le parti in causa.

Uno di questi è lo scenario che vede lo Stato prendere il controllo della concessionaria Autostrade per l’Italia, tramite la Cassa Depositi e Prestiti. Una semi-nazionalizzazione in pratica, fatta con i soldi del fondo F2I collegato alla Cassa , soldi che sono in pratica il risparmio degli italiani. Di questo scenario ne hanno parlato molti quotidiani nazionali. Un’analisi particolarmente approfondita è stata realizzata da UrbanPost, cui vi rimandiamo per i dettagli. Nel suo approfondimento il quotidiano online si fa una domanda ben precisa. Davvero è conveniente per lo Stato questa operazione? Perché lo Stato, salendo nel capitale di Aspi, dovrebbe in pratica ricomprarsi ciò che è già suo? Non sarebbe più conveniente rinegoziare la convenzione esistente a vantaggio della parte pubblica, puntando sulle inadempienze della concessionaria?

Qui l’articolo completo –> Cassa Depositi e Prestiti si prende il 50% di Autostrade: perché lo Stato deve comprare ciò che è già suo?

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Il silenzio sulla rimozione di Cristoforo Colombo dalla storia americana è lo specchio dell’attuale politica estera italiana: inesistente

Il silenzio sulla rimozione di Cristoforo Colombo dalla storia americana è lo specchio dell’attuale politica estera italiana: inesistente

Luglio 14, 2020 by guest in News

La complessa identità culturale italo-americana è un mistero anche per gli stessi italiani che vivono, magari da anni, oltreoceano. Per la maggioranza di quelli residenti in Italia, essa viene addirittura vista con disprezzo, come un’inaccettabile corruzione della propria cultura. Non deve dunque sorprendere il silenzio di questi mesi delle istituzioni politiche del nostro paese, ad eccezione forse di qualche iniziativa individuale, di fronte al processo, che ormai e’ in corso da anni, di rimozione di Cristoforo Colombo dalla storia americana. 

Nemmeno a Salvini, oggi alfiere del nazionalismo e dal cristianesimo militante, interessa prendere le difese dell’esploratore genovese e ad esempio chiedere alle autorità americane che le nostre comunità siano coinvolte nella decisione. E forse non servirebbe nemmeno a nulla, diciamolo senza ipocrisia, in un dibattito che vede i democratici americani sempre di più appiattiti sulle posizioni dei manifestanti che si battono per rimuovere anche il più piccolo accenno a Colombo, e non solo lui, dalla storia patria. La ragione, più che ideologica, sta nella speranza di accaparrarsi qualche voto in più’ nelle ormai prossime elezioni. 

Tornando all’Italia, l’inazione relativamente al dossier Colombo non può essere vista che come l’ennesima riprova di quanto la Farnesina, come siamo ormai abituati a vedere anche in contesti ben più importanti di una statua o una parata, abbia fallito nella sua missione di perseguire gli interessi dell’Italia e degli italiani. Magari la ragione è da ricercarsi nella tradizionale ostilità dei 5 stelle verso le comunità italiane all’estero. Gli espatriati italiani non sono mai stati integrati pienamente nella vita del movimento politico ne valorizzati. Al contrario, sono stati spesso accusati di tradimento elettorale. In passato, infatti, il movimento politico è arrivato anche a proporre di togliere il voto a chi, italiano per nascita o naturalizzazione, risiede e lavora all’estero e paga ancora le tasse all’Italia contribuendo al prestigio internazionale del paese. 

Ma la storia della Repubblica ci ha insegnato che non è solo una questione di chi siede, temporaneamente, tra i banchi della maggioranza. Degli Affari Esteri, e dovremmo anche includere la Difesa nella discussione, agli italiani – e dunque ai politici – non è mai importato realmente un fico secco. Le ragioni sono storiche. In un paese nato nel segno dell’unificazione forzata di realtà statuali indipendenti, il cui ricordo e’ ancora vivo nella popolazione, passando da una guerra disastrosa ad un guerra civile lacerante e infine all’esperienza della sovranità limitata e della Guerra Fredda, l’attenzione si e’ rivolta quasi unicamente agli affari interni e non si è mai estensa, più di tanto, alle relazioni internazionali. 

Nell’Italia repubblicana è da sempre prevalsa la scelta di mettere gli affari interni al centro dei processi decisionali, a discapito di quello che, per la gran parte delle potenze mondiali, è il ruolo fondamentale delle politiche internazionali. Se nella Prima Repubblica, grazie a ministri capaci o comunque scaltri, l’Italia aveva comunque un ruolo di media potenza, magari alternando la subalternità agli Stati Uniti con una postura eccessivamente filo-araba, questo processo di isolamento si è acuito a partire dalla cosiddetta Seconda Repubblica fino ai giorni nostri. 

E’ vero anche che alla Farnesina si sono insediate negli anni figure di pregio e incontestabile capacita’. E qualcuno in passato aveva anche provato a migliorare la situazione, ma dalla fine degli anni ’90, quando l’Italia ha perso il suo ruolo di ago della bilancia in Europa e nel Mediterraneo, non è più  esistita una strategia coerente che non sia unicamente dettata dagli umori dei partiti di maggioranza o dal protagonismo di alcuni Presidenti del Consiglio. La dice lunga il fatto stesso che nel primo Governo Conte fosse Matteo Salvini, il Ministro dell’Interno, a dettare la linea politica impostata, è il caso di ripeterlo, sull’odio per lo straniero, sul rifiuto a priori di una soluzione negoziale e l’inazione a fini elettorali, in agende importanti quali l’immigrazione, la Libia, l’Egitto, la Russia, la Cina e l’Unione Europea, ecc. senza che gli oggi defenestrati, forse per eccesso di competenze, Moavero e Trenta (Difesa) potessero fare molto per fermarne i deliri pseudo-sovranisti. 

La linea politica, si fa per dire, era quella chiudersi su se stessi e, quando servisse, lamentarsi che gli altri paesi sono brutti e cattivi cosi’ da guadagnare anche qualche voto in più. Ma la ciliegina sulla torta l’ha messa la nomina di Di Maio al dicastero degli Esteri: un esponente politico con tanta buona volontà e paradossalmente anche molto attivo, ma senza nessuna preparazione formale né esperienza pratica nelle relazioni internazionali, che ha voluto il ministero per non si sa bene quali ragioni, e per di più si e’ attorniato di personaggi a dir poco bizzarri come l’onnipresente Rocco Casalino e Manlio di Stefano, l’ingegnere informatico che nega l’esistenza di un problema legato al terrorismo islamista. 

Ad eccezione di pochi sottosegretari competenti, sembra che alla Farnesina si sia deciso che i profili professionali nelle relazioni internazionali, politica estera e diplomatica non siano più un requisito essenziale. Come a dire che con Di Maio, la persona forse meno adatta a ricoprire il ruolo di ministro degli esteri nell’intera storia del nostro paese ma che comunque è più la continuazione di una lunga tradizione di inconsistenza che il vero colpevole dell’attuale situazione, l’Italia si è finalmente arresa all’evidenza di non contare nulla. Perché prendersi in giro? Da anni non prendiamo più parte ai dibattiti importanti! 

Non contiamo più nulla in Libia, e in genere nel mediterraneo, siamo inesistenti in Africa subsahariana, dove magari ci limitiamo a servire gli interessi francesi e americani, siamo visti quasi con fastidio in medio-oriente dall’Egitto a Israele e all’Iran. Non esistiamo nemmeno in Asia orientale ma, più che altro, siamo diventati completamente irrilevanti in Europa, dove più che lamentarci di quanto gli altri paesi siano egoisti non sappiamo fare. Di Italia non si parla quasi mai nella stampa internazionale, se non per commentare sui suoi fallimenti, come nel caso COVID-19, o parlare di pasta e macchine di lusso (il tanto osannato “Made in Italy” che sembra essere diventato l’unica strada di salvezza economica del paese), e non siamo mai invitati nelle riunioni, tavoli o troike che contano. 

E francamente e’ giusto cosi’! Nonostante le nostre potenzialità e le capacità militari, abbiamo dimostrato un livello imbarazzante di inazione nella maggior parte dei dossier che contano, alle volte dovuta alla sostanziale incompetenza della politica, e un mancanza di coraggio dettata dall’assenza di una visione complessiva dei problemi globali e dell’interesse nazionale ed europeo. In aggiunta, la nostra rete consolare è sottofinanziata, le rappresentanze delle comunità di italiani all’estero non sono supportate adeguatamente, lo strumento militare continuamente compromesso da slanci di “poraccismo” e non abbiamo nessuno strumento diplomatico realmente incisivo. 

Una situazione complessiva che ci sta condannando irreparabilmente all’oblio dell’irrilevanza e alla quale l’attuale Ministro non sembra riesca, o voglia, porre rimedio. Di Maio avrà sicuramente altre doti in grado di farlo eccellere in diversi incarichi di governo, o di “cancellare la povertà”, ma agli Esteri per ora non merita francamente nemmeno la sufficienza, con buona pace dei fan osannanti, della piattaforma Rousseau e della democrazia online. Ma cerchiamo di essere onesti fino in fondo! La colpa non e’ di Di Maio, ma dei molti italiani che considerando accettabile che sia lui a ricoprire l’incarico alla Farnesina. 

L’Italia oggi conta poco o nulla per colpa degli italiani che si disinteressano del ruolo internazionale del loro paese. E continuerà a non contare nulla fino a che gli italiani non si renderanno conto di quanto, in un mondo sempre più globale e interconnesso, la politica estera sia fondamentale per il benessere del paese, e che il Ministero degli Esteri, e per ovvie ragioni quello della Difesa, devono essere oggi posti al centro dell’attività di governo ed essere affidati a personalità incisive e di indubbia competenza.  Il paese deve iniziare a guardare al di fuori dei suoi confini e perseguire interessi di lungo periodo che travalicano i limitati interessi della maggioranza del momento. Concludendo, per tornare a Cristoforo Colombo, è paradossale che sia proprio lui, come ai tempi della spedizione che porto’ alla nascita dell’America, il simbolo di un’Italia priva di consapevolezza dei propri interessi e per questo grande assente dalle questioni che stanno, ancora una volta, cambiando il mondo.

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PUNTO 1 – La Buona Destra è allergica alle fake news: la decisione politica si basa su onestà, competenza e trasparenza

PUNTO 1 – La Buona Destra è allergica alle fake news: la decisione politica si basa su onestà, competenza e trasparenza

Luglio 13, 2020 by guest in News

Punto 1- la Buona Destra deve dire sempre la verità, perseguire l’onestà e rinunciare alle promesse che non si possono mantenere.

In una scena politica nazionale caratterizzata da “pifferai magici”, imbonitori da fiera e da politici che hanno fatto della bugia e della diffusione di notizie false un’abile attività quotidiana, assistiti da strutture costituite all’uopo, arricchita da corollari di insulti agli avversari, strumentalizzazioni sulle improbabili conseguenze delle (poche) decisioni assunte e interpretazioni di comodo e utilitaristiche di qualsiasi atto assunto da istituzioni considerate nemiche e pertanto meritevoli di denigrazione, affermare che un partito deve dire la verità e spiegare come davvero stanno le cose ai cittadini, è un altro atto assolutamente rivoluzionario.

Molto di più del grido grillino di “onestà, onestà”, che appunto si è rivelato sterile e vuoto di contenuti. Perché non ci può essere onestà senza competenza, e non si può dire la verità se non si comprende la portata vera delle decisioni assunte ad ogni livello istituzionale.

Ecco la differenza sostanziale della Buona Destra, rifuggire la logica di inseguire le richieste sempre più pressanti di assistenzialismo diffuso da parte della società civile e spiegare che non ci può essere alcun futuro se la politica non ha una strategia di sviluppo e non riesce a fare produrre l’economia dello stato, proprio per poi potere legittimamente distribuire le giuste risorse di assistenza a chi ne ha veramente bisogno.

Dire la verità è la più forte delle decisioni politiche, ma per poterlo fare occorre possedere il senso dello stato e delle istituzioni ed una visione di reale portata dei problemi di un Paese e della strategia di come poterli risolvere. Rispetto all’attuale vuoto politico, emerge un altro fondamentale aspetto della diversità e conseguente chiara alternativa della Buona Destra. Anche per questo è complicato trovare alleati e per farlo il Manifesto è la cartina di tornasole per poterne sondare le eventuali compatibilità.

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Il politico che sa parlare solo agli istinti peggiori delle persone

Il politico che sa parlare solo agli istinti peggiori delle persone

Luglio 5, 2020 by guest in News

La ricerca del consenso a tutti i costi spinge taluni politici a cavalcare quelle emozioni che giustificano in chi li ascolta atteggiamenti di egoismo sociale: come se parlassero agli istinti peggiori della gente. Costoro mostrano una certa difficoltà ad imporre al popolo eventuali sacrifici e rinunce, anche quando fossero necessarie per risanare il paese. Hanno difficoltà a dire al loro elettorato che “occorre fare sacrifici” o “essere più responsabili”. Al contrario: si fanno beffe della credulità della gente offrendo, come se fossero a portata di mano, sogni impossibili di benessere e di felicità. Ma, soprattutto, sono abilissimi nello stimolare in chi li ascolta l’istinto dell’invidia, della rivendicazione ingiustificata, del parassitismo, della deresponsabilizzazione verso le istituzioni statali, ed altro ancora. 

Politici spregiudicati e senza scrupoli che sanno sollevare i bisogni rivendicativi degli uomini facendo leva sul sentimento di ingiustizia subita. Il concetto primordiale di giustizia, quello più viscerale e assolutista, piuttosto che riferirsi alla applicazione delle norme (necessariamente imperfetta) si rifà ad un ideale di giustizia assoluta che esiste, ahimè, più sul piano speculativo che su quello della realtà. Questo sentimento di giustizia, ideale ma anche irraggiungibile e quindi continuamente frustrato dalle vicende della vita, è alla base del bisogno di rivendicazione diffuso, di quello sdegnoso risentimento vissuto come sottofondo alle sfibranti difficoltà economiche, sociali, affettive, che ciascuno, inevitabilmente, sperimenta nella sua quotidianità e che oggi sembrano attraversare la nostra società.

Purtroppo questo genere di politico si è moltiplicato negli ultimi anni della nostra vita repubblicana. Ne conosciamo molti che hanno imparato a cavalcare i sentimenti negativi che convivono in ogni essere umano facendosi paladini di improbabili battaglie, pur trattandosi di battaglie perse in partenza o impossibili da essere condotte fino in fondo. Che importa! Pensa il buon politico spregiudicato: che importa dare dei risultati. All’elettorato non si deve dire la verità, lo si può ingannare, manipolare, estorcergli il consenso ad ogni costo. Ma questi signori sono personaggi poco rassicuranti. Se parlano al popolo sempre e solo dei diritti che può reclamaree non dei doveri che quei diritti devono accompagnare, rischiano davvero di facilitare una pericolosa deriva verso gli istinti umani meno nobili.

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La politica estera di una Buona Destra

La politica estera di una Buona Destra

Luglio 4, 2020 by guest in News

“La storia non è altro che una continua serie di interrogativi rivolti al passato in nome dei problemi e delle curiosità – nonché delle inquietudini e delle angosce – del presente che ci circonda e ci assedia. Più di ogni altro universo umano ne è prova il Mediterraneo, che ancora si racconta e si rivive senza posa. Per gusto, certo, ma anche per necessità. Essere stati è una condizione per essere.”

Fernand Braudel, Il Mediterraneo

La storia insegna, ma a guardare l’Italia di oggi pare proprio di no. Siamo nel 2020, reduci (o quasi) da una pandemia devastante come una guerra che ci consegnerà un mondo totalmente cambiato, anche negli equilibri di potenza. Può sembrare strano, oggi, parlare dell’importanza di avere una politica estera degna di tale nome, ma non lo è affatto. A difesa della Patria e degli interessi nazionali, nel contesto più ampio di un’Europa delle Nazioni e non dei populismi e dei nazionalismi egoisti. Un’Italia solidale in politica estera come nelle decisioni economiche e in tutte quelle che incidono sulla vita della comunità delle Nazioni europee e mediterranee, recitando il ruolo da protagonista che le spetta. E’ un sogno? No, deve essere un obiettivo concreto. L’Italia, l’Europa, il Mediterraneo. Come anelli di una catena inscindibile per garantire stabilità, sicurezza e possibilità di crescita a tutto il Continente.

Perché l’Italia deve avere una politica estera da “media potenza”

L’Italia deve assurgere al ruolo di media potenza nello scenario Mediterraneo. E’ un ruolo che ci spetta, come scritto nella storia da oltre 2000 anni, fin da quando i Romani, sconfitti i Cartaginesi nelle guerre puniche, garantirono un prospero periodo di “pax” a tutto l’area del Mare Nostrum. Un ruolo che l’Italia della Monarchia ha mai saputo ricoprire, nonostante le ambizioni imperialiste, una parte che l’Italia repubblicana ha mai voluto interpretare seriamente. Eppure il nostro ruolo di media potenza è lì da vedere, inespresso se non in piccoli episodi che tuttavia restano nella storia delle relazioni atlantiche, uno su tutti il caso Sigonella. Quello che è evidente, invece, in modo drammatico, è l’abdicazione totale a favore dell’alleato storico, gli Stati Uniti, e di altre medie potenze (loro sì ambiziose) come la Francia. La strage di Ustica con i suoi oscuri depistaggi e le sue mancate verità ne è la dimostrazione plastica. Americani e francesi hanno potuto giocare un “wargame” costato la vita di 81 nostri connazionali, combattendo nei cieli italiani una battaglia aerea non autorizzata. La violazione dello spazio aereo, niente di più umiliante per la difesa di una Nazione, anche la più debole politicamente, figuriamoci per una cui la geografia e la storia hanno consegnato un ruolo da protagonista.

Cosa fa una media potenza oggi? Rispetta le alleanze storiche ma non si muove soltanto entro i limiti che queste pongono. Spiegava il compianto Carlo Maria Santoro, uno dei massimi studiosi di geopolitica al mondo che ho avuto l’onore di avere come professore alla Statale di Milano, nell’ormai lontano 1993, che la politica estera di una nazione che ambisce ad essere una “potenza”, media o grande che sia, non può prescindere dal riconoscimento dei pilastri della geopolitica. Che per Santoro significa Realgeopolitik, contrapposizione tra Terra/Mare, Est/Ovest, Heartland/Rimland. 

L’Italia e la sua contrapposizione tra Terra e Mare, da una parte l’Europa continentale dall’altra il Mar Mediterraneo, da una parte gli stati dell’Unione Europea, tra cui alcune “medie potenze” militari (Francia) ed economiche (Germania) e gli stati del Maghreb. Con una simile prospettiva, che la politica estera italiana, senza considerare il nanismo politico quasi assoluto dei governi degli ultimi 30 anni, sia stata strabica è quasi scontato ricordarlo. Non è affatto scontato invece ricordare come la pseudo-destra sovranista, oggi incarnata dal duo Salvini-Meloni, non abbia alcuna idea concreta di politica estera e quindi non sia in grado di criticare nemmeno l’attuale, timida e a tratti contraddittoria, politica estera espressa dal governo Conte-bis.  

Mare nostrum: il Mediterraneo, la Marina, la politica estera e di difesa italiane

Il Mediterraneo, il Mare Nostrum. Teatro nell’ultimo decennio delle tragedie dell’immigrazione clandestina, un’emergenza mai affrontata dall’Europa con uno sforzo corale e che ha visto l’Italia costantemente in prima linea. E in prima linea c’è sempre stata la nostra Marina Militare, con le sue navi ed i suoi uomini. Spesso lasciata al suo “dovere” senza chiare indicazioni politiche se non addirittura con intromissioni inaccettabili da parte di poteri non competenti. Basti ricordare il caso Salvini-Gregoretti per mettere a nudo l’imbarazzante situazione in cui si sono trovati, spesso, i nostri uomini in divisa sul mare. Quando mai una nave militare di una nazione è finita in “ostaggio” in un suo porto?

Eppure la Marina con le sue navi è lì. Qualche settimana fa ha destato stupore ad alcuni una foto satellitare del Golfo della Cirenaica, ultimo tratto d’acqua mediterranea prima delle coste libiche. Nello scatto, condiviso su Twitter da vari osservatori di cose militari tra cui Germano Dottori, si individuavano le sagome di quattro navi da guerra, a presidio del limite delle acque territoriali della Libia, dilaniata da un irrisolto conflitto civile. Gli esperti hanno individuato una fregata turca, una francese del tipo FREMM ed almeno due italiane, anch’esse FREMM, l’ultimo grido in fatto di tecnologia navale militare. Non si trattava di nessuna missione Nato programmata. Segnale che la Marina è lì, per far sapere che quel tratto di mare è “nostrum” e che gli interessi militari italiani nel Mediterraneo non sono mutati.

Negli ultimi 10 anni la politica della difesa, anche i termini di spesa per gli investimenti, ha patito pesanti riduzioni. Ma la Marina Militare ha gestito sapientemente il possibile, forte anche di amicizie politiche trasversali (ma ben poche dentro alla cosiddetta destra sovranista). Abbiamo una forza navale che può svolgere il ruolo di una piccola “blue water navy”, in grado di portare la sua presenza in tutto il Mediterraneo ed anche, oltre in missioni oceaniche, garantendo il supporto aereo e logistico in operazioni di peacekeeping e di sicurezza. 

Uno strumento prezioso che ha bisogno di direttive politiche chiare, per concretizzare una buona politica di sicurezza. Azioni di deterrenza, di intervento dissuasivo e di presenza costante nelle aree calde del nostro bacino vitale costituiscono il cuore della politica estera di una media potenza, che riesca ad interpretare con serietà la Realgeopolitik. Ma per farlo ci vogliono forze nuove, soprattutto forze che riconoscono la politica di difesa come un valore fondante per una nazione moderna, una Patria che rassicura, che guadagna il suo prestigio internazionale con azioni concrete, conscia del proprio ruolo, rispettosa delle tradizionali alleanze, ma non in posizione subalterna. In tutto questo riconosco le linee di una politica estera e di difesa espressione della “Buona Destra”.

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La bella bambina di papà

La bella bambina di papà

Luglio 4, 2020 by guest in News

La scarsa presenza di donne nelle posizioni apicali di ogni professione, ancora oggi è un fenomeno di vaste proporzioni e universalmente diffuso, particolarmente nelle culture mediterranee. Quando, poi, i ruoli apicali consentono di gestire una quota maggioritaria di potere sulle persone, sul denaro e sulle decisioni strategiche che riguardano la società nel suo complesso, la presenza femminile subisce una ulteriore drastica contrazione. Questo fatto, oltre a privare le donne delle opportunità che ogni moderna società rende oggi fruibile, mette in crisi il principio giuridico di uguaglianza tra gli esseri umani.

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La suddivisione del lavoro tra uomini e donne è stata caratterizzata, per millenni, da sfere di pertinenza non compatibili tra loro e dalla netta separazione di competenze. Ciò assicurava alla comunità di riferimento ogni tipo di attività a garanzia della sua sopravvivenza. La suddivisione del lavoro in base al genere, quindi, non nasce come esito di una differenza gerarchica tra i sessi. Tuttavia le funzioni sociali maschili hanno sempre comportato un più facile accesso e controllo delle risorse, favorendo negli uomini l’acquisizione di un potere decisionale più ampio ed esteso. In tal modo l’attribuzione di ruoli “dominanti” ha, di fatto, trasformato gli uomini, già avvantaggiati da maggiore vigoria fisica, in “dominatori”. La cultura patriarcale, presumendo la supremazia delle competenze maschili sui valori del mondo femminile, ha, a sua volta, trasfuso nella differente distribuzione dei ruoli in base al sesso un arbitrario significato gerarchico, rafforzando il concetto di disuguaglianza di genere. 

L’inferiorità della donna, inaccettabile e incomprensibile ai nostri giorni, è stata per millenni una verità indiscussa. Dedizione alla famiglia, abnegazione e sottomissione all’uomo sono stati per secoli gli unici valori che potessero qualificare le virtù femminili, nient’altro. La cultura patriarcale ha sempre attribuito alla donna “ideale” virtù che derivano proprio dalla sua dimensione materiale e domestica: fertilità, laboriosità, mitezza, fedeltà, dolcezza, abnegazione, sottomissione. Secondo questa visione è nella vita domestica, e limitatamente allo spazio privato, che la donna esprime i suoi valori più autentici, ed è solo grazie al possesso di queste peculiari virtù domestiche che può rivendicare una dignità pari all’uomo. La cultura patriarcale ha insegnato alle donne ad essere quello che gli uomini volevano che fossero ed ha trasformato questa loro egoistica esigenza in dogma. J.S. Mill affermava già nel 1868 “Gli uomini insegnano alle donne che la debolezza, l’abnegazione, l’abdicazione di tutte le loro volontà nelle mani dell’uomo è l’essenza stessa ed il segreto della seduzione femminile”

Per millenni le cose sono andate avanti così: il diritto al successo e ad affermarsi, il privilegio di rivendicare le proprie esigenze ed esprimere i propri desideri, la possibilità di perseguire le aspirazioni professionali e le competenze sociali, non sembravano inclinazioni altrettanto consuete per le donne quanto lo sono per gli uomini. L’uomo può essere intrusivo, aggressivo, autoritario, le donne devono essere introverse, miti e passive fino al punto da accettare di dover subire situazioni spiacevoli anche assumendone la colpa pur non essendo le responsabili. 

Per quanto oggi molte donne riconoscano il valore di una propria vita autonoma rispetto alle aspettative di una cultura patriarcale, non più pervasiva come lo è stata per millenni, tuttavia permangono nel profondo dell’animo femminile tracce indelebili di quegli antichi precetti. Non è raro che molte tra loro, sentendosi incapaci, perché non abbastanza avvezze, a percorrere l’accidentata strada verso l’autodeterminazione, trovino rifugio consolatorio in nuove forme di sudditanza ed obbedienza nostalgiche, dando nuovo spazio alle mai sopite tentazioni paternalistiche della nostra società.  Sono spesso le donne, ahimè, che, ancora oggi, si adattano a modelli di vita scelti per loro da altri, a mantengono saldi, più o meno consapevolmente, alcuni tra i più potenti meccanismi discriminatori.

Tuttavia, in ragione della sempre più qualificata presenza femminile in ogni ambito lavorativo si è sempre più persuasi che i saperi e le competenze che le donne apportano nelle differenti sfere professionali, opportunamente integrate a quelle maschili, oggi rappresentano un contributo irrinunciabile per un più armonico sviluppo della società, comportano un deciso impulso alla economia e sono di sicuro vantaggio per una migliore qualità di vita.

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Ecco il nostro impegno con l’Italia: il Manifesto per la Buona Destra

Ecco il nostro impegno con l’Italia: il Manifesto per la Buona Destra

Luglio 3, 2020 by guest in News

Una politica realmente democratica non può prescindere da creatività e fantasia. 


Una buona destra che voglia porsi come forza politica ispirandosi ai principi di difesa del bene comune:


1 deve dire sempre la verità, perseguire l’onestà e rinunciare alle promesse che non si possono mantenere;

2 deve rinunciare al clientelismo, primo nemico del bene comune, e adottare regole che garantiscano la trasparenza in ogni fase della gestione politica ed amministrativa, la quale non solo deve essere, ma deve anche apparire cristallina;

3 deve contrastare il “Partito Unico della Spesa” che da destra a sinistra insegue demagogicamente gli elettori, raccogliendone strumentalmente tutte le richieste e finanziandole con lo sconsiderato aumento a dismisura del debito pubblico, principale causa del declino economico e sociale del nostro Paese;

4 deve con coraggio contrastare la logica di una società rassegnata all’appiattimento decadente e senza speranza e farsi, al contrario, promotrice di un modello sociale di naturale ritorno alla meritocrazia ad ogni livello, a partire dalla scuola e dall’università;

5 deve avere tra gli obiettivi principali meno burocrazia, meno leggi, più assunzione di responsabilità, perché una buona destra non può che riscoprire la capacità decisionale come valore fondante della propria azione politica;

6 deve difendere e servire sempre i diritti e mai i privilegi e rifuggire la demagogia, il populismo e il sovranismo ingannevoli e strumentali;

7 deve adottare decisioni, modalità e strumenti di governo che consentano di evidenziare il disegno complessivo e di misurarne costantemente i risultati, senza temere l’impopolarità se ritenuti funzionali al bene comune;

8 deve promuovere e favorire l’adozione di ogni strumento possibile per garantire il massimo coinvolgimento della società civile e produttiva, dotando i cittadini delle necessarie chiavi di lettura per comprendere se l’assunzione delle decisioni, a qualsivoglia livello politico e amministrativo, possa essere giustificata dalla tutela del bene comune, in modo da rendere la democrazia realmente partecipata;

9 non può prescindere dal controllo popolare sulle attività della politica e della pubblica amministrazione, intese nel senso più ampio ed onnicomprensivo, nelle forme e nelle modalità che dovranno essere definite per garantire un sistema democratico fondato sulla verità, sull’efficienza e sull’efficacia;

10 deve riorganizzare il sistema produttivo nazionale per attrezzarlo a raccogliere e vincere la sfida per la competitività, promuovendo tra l’altro la liberalizzazione da tutti i vincoli protezionistici, i privilegi insopportabili, le rendite di posizione che ingessano il sistema ed il cui prezzo è pagato dalle categorie economiche e sociali più deboli, a partire dai giovani a cui viene rubato il futuro, nonché per attuare politiche di effettivo riequilibrio territoriale tra Nord e Sud Italia;

11 deve puntare a politiche economiche di riduzione delle spese correnti, specie di quelle introdotte per manipolare il consenso a fini di effimeri risultati elettorali, e avviare un’azione di investimenti pubblici infrastrutturali e di riqualificazione degli spazi urbani delle nostre città, nonché azioni per la salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, come nella migliore tradizione dell’Italia, per dare vita ad un nuovo Rinascimento del Bel Paese della bellezza e della cultura che fermi il declino e ci restituisca il posto nel mondo che ci compete;

12 deve procedere ad una riforma fiscale e tributaria finalizzata alla riduzione della pressione fiscale sulle imprese e sui cittadini quale misura fondamentale per assicurare la crescita degli investimenti, dell’occupazione e dei consumi;

13 deve ideare e realizzare una politica per la crescita del lavoro in Italia, per l’occupazione dei giovani e per bloccare l’espatrio dei cervelli e facilitare il ritorno in Patria di chi è partito;

14 deve essere laica e garantire i diritti delle persone senza distinzione di età, sesso, identità sessuali, provenienza etnica, ceto sociale e convinzioni politiche, deve tutelare la libertà di culto di tutte le religioni senza mai strumentalizzare i simboli religiosi e onorare i valori umani e storici delle radici dei popoli europei;

15 deve garantire la vita umana nel rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali e quindi soccorrere sempre e comunque i migranti con lo status di profughi e quelli economici in pericolo di vita, rifiutando di ricorrere a forme disumane di chiusura o respingimento e procedendo a tutte le funzioni di assistenza fisica, morale e sanitaria necessarie;

16 deve chiarire che il sacro dovere di salvare vite umane in mare non coincide con il dovere dell’accoglienza sempre e comunque. In tal senso la politica ha il dovere di fissare regole e criteri per la gestione dei flussi dei migranti economici, in funzione della oggettiva sostenibilità economica e sociale degli stessi e nella massima armonia con i Paesi dell’Unione Europea;

17 deve farsi carico delle riforme procedurali in tutti gli ambiti processuali: civile, penale e amministrativo, mirando a eliminare quegli istituti che non servono al diritto di difesa e puntando a un miglioramento della qualità del servizio di giustizia, senza riduzione delle garanzie. La giustizia negata ha molte cause che fino ad oggi volutamente non sono state affrontate e risolte e va ripristinata l’effettività del sistema giurisdizionale nel senso non solo di addivenire alla giusta sentenza in tempi rapidi e certi, ma anche che i condannati in sede penale scontino la pena e le vittime ottengano il risarcimento del danno subito;

18 deve adottare un sistema elettorale che garantisca la governabilità del Paese e consenta la piena e diretta rappresentatività territoriale agli elettori e non ai vertici dei partiti;

19 non può che essere europeista e per questo deve assumere la responsabilità di dichiarare l’Unione Europea incapace di garantire la sovranità dei popoli europei perché, contrariamente alle tesi sovraniste, non è una entità federale, ma una semplice associazione di stati spesso divisi e concorrenti, in particolare in tema di politiche internazionali. In un mondo tripolare avviato ad essere governato dai tre imperi di USA, Russia e Cina, l’unica istituzione in grado di rappresentare e garantire la sovranità dei popoli europei al tavolo dei grandi sarebbe, se costituita, la Federazione degli Stati Uniti d’Europa;

20 deve avviare per questo un’azione politica, non solo in Italia, sulla necessità dell’impegno per la trasformazione dell’UE in USE, che è l’unica soluzione che consentirebbe l’effettiva parità tra tutti i cittadini europei grazie all’acquisizione della piena cittadinanza europea e del diritto-dovere di eleggere il governo e il parlamento europeo, dando vita alla realizzazione dell’unità militare, fiscale e bancaria, la cui mancanza impedisce oggi qualsiasi ruolo internazionale autonomo e significativo all’Europa, ed un ingiusto vantaggio alle tre super potenze, promuovendo il Patriottismo Europeo, unico vero e sano sentimento che può garantire la sovranità dei popoli d’Europa.

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Una sfida culturale degna di un grande Paese

Una sfida culturale degna di un grande Paese

Giugno 23, 2020 by guest in News

L’Italia, in virtù di quanto è stata capace di rappresentare nella storia mondiale fin dalla notte dei tempi, ha certamente le carte in regola per essere definita un grande Paese: culla della civiltà, della cultura, dell’arte, della diplomazia, della politica, del cristianesimo e del potere più in generale, che ha sempre avuto nella città di Roma il suo cuore pulsante.

Guardando a quanto offre oggi il panorama nazionale, pare che tale retaggio sia però andato irrimediabilmente smarrito, visto che ignoranza, incultura, impreparazione e maleducazione abbondano tra i principali protagonisti di quella che dovrebbe essere la classe dirigente di una realtà non marginale nello scenario globale. Un ex Deputato di lunghissima esperienza, a cui recentemente chiedevo un saggio parere sul Presidente del Consiglio, mi ha risposto “Sai, Conte sta lì, va bene a quasi tutti, si presenta bene, è Professore e di questi tempi sono doti non proprio comuni”. Ecco, il livellamento verso il basso nella selezione della classe politica italiana ha reso possibile il fatto che siano sufficienti una cattedra e un abito non stazzonato per eccellere rispetto alla massa e restare ben saldo a Palazzo Chigi, attraversando indenne il ribaltone nella maggioranza di governo della scorsa estate.

D’altronde, in un Parlamento come quello in carica nel quale il reddito complessivo dei suoi componenti non supera l’1% del PIL nazionale e in cui dalla Legislatura Costituente c’è in assoluto la più bassa percentuale di titoli di studio superiori, non ci si deve certo stupire di fronte a constatazioni del genere.

Oggi tra Camera e Senato è presente una trasversale e ampia maggioranza di autentici miracolati che fuori da quelle Aule non occupavano certo ruoli di rilievo nella società: questo è un problema enorme che si riflette in maniera devastante sulla guida del Paese, affidata a persone che salvo rare eccezioni non hanno mai avuto alcuna precedente esperienza professionale o istituzionale di alto livello, delle quali emerge ogni giorno di più la totale improvvisazione con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Tale amara considerazione può facilmente estendersi anche a buona parte di chi ricopre incarichi di primo piano nelle forze di opposizione, a conferma del fatto che la questione sia purtroppo estesa all’intero arco costituzionale.


A prescindere dagli schieramenti di appartenenza – che si dimostrano del tutto ibridi e mutevoli, privi di una salda base ideologica quali sono attualmente i principali partiti italiani – è lecito domandarsi perché si sia arrivati a questo punto e, soprattutto, come sia possibile una reale inversione di tendenza rispetto a una pericolosa china che ha condotto l’Italia in fondo a un baratro. Come diceva il Presidente Cossiga, non bisogna peraltro illudersi che arrivando al punto più basso si debba necessariamente risalire per inerzia, visto che “una volta toccato il fondo, si può sempre prendere la vanga e cominciare a scavare”.

Oggi è indispensabile, per pensare di uscire dalle sabbie mobili in cui sguazzano populisti, demagoghi, pauperisti e miracolati di varia estrazione, un deciso scatto di orgoglio da parte delle nostre migliori risorse: i veri intellettuali, gli uomini che hanno dimostrato nei fatti di saper essere degli autentici patrioti in ruoli di enorme responsabilità internazionale, i grandi imprenditori illuminati che tengono alto il nome dell’Italia con le proprie capacità. Una profonda rivoluzione, non solo in senso liberale ma anche e soprattutto culturale, per combattere con armi alte e nobili una deriva che sta minando la credibilità nazionale oltre che la nostra stessa economia, ancor di più in una fase tanto critica quanto lo è quella della incerta ripresa a seguito del Covid 19.

Questo è il principale traguardo che si pone a chi vuole avere la reale ambizione di rovesciare le sorti avverse in cui versa il Paese. Non è una sfida etichettabile come di Destra o di Sinistra, anche perché (almeno nominalmente) altrettanto trasversali sono le forze che hanno gettato l’Italia nell’abisso culturale, sociale e politico in cui si trova. Solo con una proposta totalmente innovativa e all’insegna della selezione qualitativa in termini di capacità, di cultura e di preparazione, riportando l’asticella verso l’alto, sarà possibile relegare molti tra gli attuali protagonisti della scena istituzionale al più congeniale ruolo di comparse, dando così a una consistente parte di elettorato un buon motivo per interessarsi nuovamente alla politica, di fronte alla prospettiva che le migliori energie nazionali siano impegnate direttamente a rimettere in piedi il nostro grande Paese.

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Il bivio della terza Repubblica, in cerca di una nuova stagione di libertà

Il bivio della terza Repubblica, in cerca di una nuova stagione di libertà

Giugno 18, 2020 by guest in News

L’estate è ormai alle porte e con il suo arrivo il Paese pare aver superato la fase più critica dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid 19. Restano invece ancora aperte le questioni relative ai devastanti effetti di questi ultimi mesi sulla nostra già claudicante economia, di fronte alle quali la classe dirigente italiana ed europea non può permettersi alcuna distrazione né tantomeno di rinviare provvedimenti efficaci e immediati per evitare un collasso del sistema produttivo.

Il Presidente del Consiglio ha certamente dimostrato in tutti questi mesi una dote indiscutibile, quella di sapersi ritagliare un esclusivo spazio di enorme visibilità mediatica come ben pochi suoi predecessori erano riusciti a fare. A partire dalla defenestrazione dell’ingombrante figura di Salvini, Conte ha rafforzato il proprio profilo politico giorno per giorno, accelerando questa strategia dallo scoppio della pandemia e giocando sopratutto due carte: il pretesto dell’emergenza che ne giustificava e ne giustifica tuttora la continua sovraesposizione senza alcun contradditorio nei suoi frequenti  discorsi a reti unificate, oltre alla certezza di guidare una coalizione di governo in cui nessuno, a cominciare dal PD, ha attualmente in tasca una figura alternativa da contrapporgli e quindi viene lasciato campo libero a colui che con ogni probabilità sarà il Leader del Centrosinistra anche per i prossimi anni.

La convocazione degli Stati Generali a Villa Pamphili va esattamente in questa direzione e continua il percorso del consolidamento istituzionale e politico di Conte. Liquidare tale iniziativa ad una semplice passerella è riduttivo perché significherebbe sottovalutare quanto sta avvenendo da tempo nei corridoi romani: se giornalisti come Scalfari e Giannini arrivano oggi a tracciare irriguardosi parallelismi tra l’attuale Premier e due figure come Cavour e Moro, è evidente che tutto quel mondo sta costruendo le fondamenta per un’alleanza organica tra la Sinistra e quanto resta del M5S. È bene a tal proposito ribadire e sottolineare che il M5S è il luogo di provenienza sia di Conte sia dei principali gruppi parlamentari che lo sostengono, anche se con la stessa abilità di cui sopra “l’avvocato del popolo” cerca di smarcarsi da tale imbarazzante etichetta, che mal si abbina alla sua nuova veste di degno erede di Monti. L’imbarazzo aumenta anche alla luce delle ultime indiscrezioni sui cospicui finanziamenti alla macchina organizzativa Grillina da parte di un esemplare statista quale il venezuelano Maduro.

Il bivio non riguarda dunque le prospettive future di chi condivide lo schema rappresentato dall’attuale compagine governativa e incarnato dalla Leadership di Conte, ma semmai il resto del panorama politico italiano. Sì, perché è evidente che una considerevole fetta di elettorato non si riconosce in tale quadro e resta in attesa di un’alternativa credibile all’asse che oggi ha in mano le chiavi di Palazzo Chigi. Salvini ha dimostrato nei fatti di non poter rappresentare una vera guida né per una coalizione né tantomeno per un esecutivo: la rapida e inesorabile discesa nella curva degli indicatori del consenso – suo pane quotidiano da diversi anni – certifica come quella breve stagione stia già volgendo al termine. Il ritorno della Lega a percentuali più modeste è un fatto positivo per il Centrodestra oltre che per la stessa classe dirigente del Carroccio, ben conscia di non poter gestire un grande partito di massa su scala nazionale.

Di cosa avrebbe quindi bisogno oggi quella parte di Paese che dalla politica si aspetta non urla o passerelle ma soluzioni concrete ai numerosi problemi di lavoratori, aziende e cittadini? C’è ancora spazio per un’opzione di Destra moderata che possa ridare speranza alla maggioranza degli italiani?

Cito un esempio significativo, con riferimento a una realtà che conosco bene per motivi familiari e affettivi: Genova. Esattamente tre anni fa, contro tutti i pronostici e in totale controtendenza rispetto alla storia di una città da sempre profondamente di Sinistra, un brillante manager conosciuto e stimato a livello internazionale scardinò un sistema consolidato e, alla guida di una coalizione di Centrodestra, guadagnò prima il ballottaggio e poi le chiavi di palazzo Doria-Tursi. Oggi Marco Bucci è il Sindaco con il più alto indice di popolarità in Italia, anche grazie all’incredibile efficienza con cui è riuscito in tempi record a far rimettere in piedi il ricostruito ponte Morandi. Ben pochi sotto la Lanterna si chiedono ormai se sia stato sponsorizzato da Tizio o se avesse dietro Caio quando fu scelto come candidato, perché Bucci sta dimostrando nei fatti di essere un ottimo amministratore in un terreno non facile da percorrere e in condizioni critiche, capace di ridare a Genova l’antico respiro, quello di una metropoli di levatura internazionale.

Nel 1993, per fare un salto indietro nel tempo, i meno giovani ricorderanno come Achille Occhetto, alla guida di una “gloriosa macchina da guerra” che aveva preso forma con la svolta della Bolognina, era pronto a sedersi sulla poltrona di Presidente del Consiglio, grazie all’ecatombe di Mani Pulite abbattutasi sul pentapartito. Berlusconi, intuendo il pericolo che il Paese stava correndo, in pochi mesi sciolse le riserve e demolì le ambizioni di governo dei post-comunisti, fondando Forza Italia e diventando immediatamente Premier. Sulla storia di quegli anni e sui numerosi errori politici commessi dal Cavaliere a suo stesso danno ci sarebbe molto da discutere, ma è indubbio che la discesa in campo di cui fu protagonista ebbe un effetto rivoluzionario sulla politica italiana, cambiando il corso della storia nella seconda Repubblica.

La situazione attuale è per certi aspetti diversa, ma forse ancor più critica: un esecutivo di Sinistra in cui la demagogia, il populismo e il pauperismo dei 5Stelle sono ben radicati è già presente e malgoverna le sorti dell’Italia. L’orizzonte temporale è ancora abbastanza ampio ma, da qua alla nomina del prossimo Presidente della Repubblica, sarà indispensabile individuare una luce che possa illuminare il percorso opposto rispetto a quello di Conte, Di Maio, Bonafede, Zingaretti e compagnia. Al contrario mettere insieme tutti quei personaggi credibili, da Bucci a Calenda passando per Brugnaro, Musumeci e Zaia, che hanno dato trasversale dimostrazione di serietà e capacità concrete in tante fasi difficili per il nostro Paese è possibile e auspicabile: come nel 1994, una nuova Leadership illuminata, con salde radici ideali all’insegna del liberalismo e del liberismo in materia economica, potrà davvero rimettere in piedi l’Italia e mandare a gambe levate la “gloriosa macchina da guerra” di Conte.

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