Complottismo e antisemitismo, una grave saldatura di visioni

di Kishore Bombaci

Il termine “complotto” sta a indicare una cospirazione segreta organizzata da qualcuno ai danni di qualcun altro. L’idea, cioè, che la realtà non è mai come appare ma che esista un livello ulteriore, riservato a chi è a conoscenza di premesse segrete e inconfessabili. La teoria del complotto spiega i grandi eventi della storia non in modo lineare come tramandati, ma come frutto nascosto di intrighi segreti e chiavi di decifrazione ignote ai più, ovviamente ammaliati dal sistema di informazione c.d. mainstream. Si tratta di una teoria e una prassi assai risalente nel tempo che accomuna fatti storici anche i più diversi, ma che si articola sempre su schemi abbastanza comuni.

Il focus di tale teoria è quella per la quale sedicenti poteri forti si accordano per tramare a danno delle masse ignare dei pericoli che gravitano sulle loro teste inconsapevoli. Gli stessi rapporti tra segmenti della popolazione non sono espressione delle diseguaglianze che le moderne società inevitabilmente comportano e contro le quali bisogna combattere con le armi della politica e della decisione, ma sarebbero espressione di oscure trame ordite da “elites” – spesso sovranazionali – che vogliono cancellare le specificità dei popoli e delle nazioni, o, addirittura, delle singole comunità locali.
L’avvento dei social network e della Rete ha trasformato queste tesi da patrimonio di nicchie sostanzialmente innocue, a fenomeni dotati di una loro pericolosità intrinseca e sempre più in ascesa. Contro tali trame, infatti, secondo l’ottica dei complottisti, spesso affini alla destra radicale, occorre battersi tanto sul piano “culturale”, quanto su quello esplicitamente armato.

Dal primo punto di vista, si tratta di lavorare a una riforma del linguaggio, con il pretesto di combattere i buonismi e il politically correct, nonché di creare una realtà artificiale contrabbandandola per vera: una vera e propria inondazione di notizie false, antiscientifiche, prive di ogni qualsivoglia credibilità ma fatte passare per espressione del diritto di opinione, a maggior ragione se discordante rispetto al mainstream. Ciò proprio perché gli organi ufficiali di informazione sono comunque orientate dalle medesime elites. Quindi, la falsità assurge a vero e proprio atto rivoluzionario, in quanto verità contro il sistema, non più da riformare con la dialettica democratica, ma da abbattere, o con il presunto risveglio delle coscienze o con le armi.

Ovviamente uno dei campi in cui la teoria del complotto ha trovato maggiore appeal è stato quello della presunta minaccia all’identità comunitaria (nazionale o locale poco importa), ossia, soprattutto in Occidente, la mescolanza delle razze mediante il controllo serrato dei fenomeni migratori. Già da queste poche battute, ben si comprende come si è in presenza di un vecchio armamentario ideologico (quello della ibridazione e contaminazione delle razze) che già ai primi anni del 900 gettava le basi per quello che sarebbe stata la massima tragedia del genere umano: l’Olocausto. Vecchio armamentario, quindi, che oggi torna – o meglio che non era mai sparito – ma che si carica di significati rigenerati. Le razze inferiori non debbono penetrare nel Sacro Occidente bianco pena la contaminazione e la schiavizzazione del popolo autoctono. Ovviamente, i complottisti si ergono a difensori del popolo medesimo dinanzi alla minaccia interna (il nemico interno che è simile a noi ma agisce per il nemico) e alla minaccia esterna (invasione da parte dei migranti). La teoria è semplice nella sua brutalità e infondatezza. Le elites finanziarie hanno necessità di disarticolare dall’interno le comunità nazionali e locali e quindi favoriscono una vera e propria invasione senza armi dei migranti che andando a inserirsi nel tessuto sociale dei paesi di destinazione, gettano le premesse per una vera e propria “sostituzione etnica”. Il tutto con la benedizione anzi con la spinta fattiva delle elites che potranno così contare su soggetti più deboli rispetto alla comunità dei lavoratori autoctoni e quindi più inclini a perdere diritti e a farsi meglio dominare.

Come anticipato precedentemente, non c’è nulla di nuovo, se non nelle forme tecnologiche di espressione di temi ricorrenti già nel primo Novecento. E, infatti, l’antisemitismo, in questi teorici del complotto è comunque presente e costante. Esso assume la forma diretta (le elites finanziarie sarebbero ovviamente dominate dagli ebrei padroni del potere finanziario) sia quella indiretta (perché, come vedremo, fornisce lo schema base di ogni discriminazione razziale).

Il bersaglio dell’antisemitismo complottardo è incarnato dalla figura di George Soros, termine medio fra elite finanziaria e tentativo di sostituzione etnica. Soros, ebreo ungherese, sfuggito miracolosamente alle persecuzioni razziali e rifugiato prima in Gran Bretagna poi in USA, dopo essere divenuto finanziere di successo, ha fondato la Open Society, ente che ha come scopo quello di favorire i rapporti istituzionali e non in vista di un progressivo aumento dei diritti e del benessere nei paesi poveri. E proprio il suo paese di origine è uno dei pilastri delle controricostruzioni storiche di natura complottista. Al punto che l’epigono di tali teorie è Presidente della Nazione, Viktor Orban che ha costruito la sua fortuna politica sulla polemica antisorosiana e antimigratoria. Infatti dietro la volontà di sostituire il popolo magiaro con nuova manodopera a basso costo ci sarebbe proprio la mente satanica di Soros il quale cavalcherebbe la speculazione dei mercati finanziari per disgregare la sana vecchia società di un tempo, disarticolandola dal’interno e dall’esterno tramite il finanziamento smodato all’immigrazione. Sembra follia, ma la verità è che purtroppo sono tesi che incontrano notevole successo, al punto che dall’Ungheria si sono sparse ovunque, al di qua e al di là dell’Atlantico.

Invero, trattasi, della vecchia riedizione del piano Khalergi in vista del quale era necessario, per abbattere le tutele presenti nel Vecchio Continente e più in generale dell’occidente, inondarlo di manodopera a basso costo, come detto, ben più malleabile delle classi lavoratrici indigene, e meglio disposta a cedere pezzi di tutela in cambio di lavoro e comunque a farsi dominare meglio. Il capitalismo predatorio dunque utilizzerebbe la complice Open Society proprio per realizzare questo scopo. E, come dicevo precedentemente, l’origine ebraica del “nemico Soros” è tutt’altro che irrilevante nel panorama mentale paranoico dei teorici della cospirazione. Dietro tesi fantasiose ma seducenti per chi è rimasto spiazzato dal cambiamento epocale avvenuto con la globalizzazione, si cela ancora una volta il complotto giudeo- plutocratico-massonico di mussoliniana memoria. Piuttosto che spiegare la complessità della modernità, ci si rifugia in tesi semplicistiche con il relativo sempreverde capro espiatorio perfetto: l’ebreo. Non potendo esprimere pubblicamente concetti manifestamente antisemiti i cospirazionisti utilizzano perifrasi concettuali per manifestare questa loro intrinseca natura. Mediante sarcasmo, allusioni, mezze frasi, riemerge prepotentemente il dato antisemitico che costituisce la cifra del loro “pensiero”. Formalmente si dichiarano amici degli ebrei ma veicolano il messaggio che dietro il complotto finanziario altro non ci sarebbero che il “potere finanziario giudeo”. Formalmente, amici dello Stato di Israele, se la prendono con il c.d. sionismo senza darne una spiegazione circoscritta al punto che esso viene a coincidere con l’ebraismo “tout court”. Non si tratta di meri artifici linguistici, ma di passaggi concettuali che hanno gravi conseguenze e producono ancora una volta fenomeni di violenza e discriminazione che speravamo di esserci lasciati alle spalle con la fine del secondo conflitto mondiale. Si badi bene, il tutto senza alcuna verifica critica sulle informazioni. Una miscellanea di cose vere, cose credibili e cose palesemente false e smentite dalla storia. Ma ciò nella loro ottica non ha assolutamente alcuna rilevanza. Anche perché le smentite sono nient’altro che informazioni veicolate dalla massoneria giudeo-plutocratica e quindi destituita a priori di credibilità. Ovviamente se qualcuno prova a difendersi – ad es. lo stesso Soros – non fa altro che dimostrare la veridicità di tali ricostruzioni complottiste, conferendo loro una qualche legittimazione sul piano del dibattito pubblico. Se ci si pensa è un metodo diabolicamente vincente. Una strategia a tenaglia che diffonde falsità ma intrinsecamente ne impedisce la smentita diretta. Quindi, in mancanza di un vero e proprio dibattito, l’informazione falsa prende vita e si diffonde a macchia d’olio tramite il web autodotandosi di credibilità solo per effetto della mera divulgazione secondo l’assioma “se tanti la pensano così, qualcosa di vero ci deve essere”. L’ introduzione del dubbio come un virus pernicioso ed infettivo che ammorba il corpo sano del dibattito pubblico e che va a colpire anche coloro i quali sarebbero lontani da posizioni estremistiche o addirittura antisemite. Addirittura la deriva antisemita ha generato il fenomeno del c.d. “jewish space lasers” in cui gli ebrei vengono accusati di appiccare volontariamente incendi per alimentare il panico da cambiamento climatico (che saerebbe una bufala secondo i complottisti). Anche in questo caso lo schema comunicativo è il medesimo: Il martellamento ossessivo su una tesi assurda che semplifica i processi cognitivi dei destinatari ed è seducente per chi si trova in situazione spesso di preoccupazione ambientale, disagio sociale o di marginalizzazione e che trova una soluzione immediata e già pronta con tanto di colpevole: l’ebreo Soros. Le dinamiche populiste affondano proprio in queste dinamiche cognitive dei destinatari. E quindi è essenziale riuscire a smascherare i loro inganni prima che divengano ancor più pericolosi, tanto più in italia, visto l’alto tasso di analfabetismo funzionale.

Non v’è dubbio che ad aggravare la già complessa situazione sopra brevemente tratteggiata, ha contribuito la diffusione dal 2016 il movimento QANON.

QANON si diffonde alla vigilia delle elezioni presidenziali che portarono alla presidenza USA Donald J. Trump e supporta massivamente l’ormai ex Presidente contribuendo a diffondere il messaggio sovranista e populista. Non si può dire che la vittoria di Trump sia esclusivo merito di QANON ma non si può negare il contributo di questo movimento alla sua causa. La tesi – folle – dei complottisti americani è quella per la quale il mondo sarebbe dominato da una “cabal” (anche qui il termine non è causale) di personaggi, per lo più di area liberal, dediti al satanismo e alla pedofilia. Questi soggetti governerebbero il mondo dall’alto delle loro posizioni di potere in politica, nei media e a Hollywood. Contro tale depravata congrega, Donald Trump sarebbe l’eroe senza macchia e senza paura, ovviamente bianco suprematista, eletto dal popolo per riportare nel mondo la giustizia e il bene. Non sono forzature le mie, ma è la rappresentazione del mondo secondo i qanonisti. Il Male contro il Bene pronti per il giudizio finale e la battaglia campale. Nell’immaginario complottista ancora una volta giocano un ruolo fondamentale gli ebrei. Lo stesso termine cabal rimanda alla tradizione esoterica ebraica che non a caso sintetizza la malefica congrega dei dominatori del mondo. Gli ebrei sarebbero, altresì, assimilati a vampiri in quanto metaforicamente succhierebbero il sangue del mondo tramite la finanza e , non metaforicamente, si nutrirebbero del sangue dei bambini violentati. Si tratta, come è evidente, di tesi deliranti ma che trovano ampio successo in piani insospettabili della politica e della società americana e purtroppo anche in quella italiana. Il leitmotiv è sempre il medesimo. Gli ebrei che vogliono dominare il mondo attraverso l’uso spregiudicato della finanza e attraverso riti magico satanici che richiamano nemmeno troppo indirettamente la teoria del deicidio. Ebbene, l’impianto “culturale” qanonista è molto vicino a un movimento di qualche decennio fa, sempre complottista ma più palesemente antisemita noto col nome di ZOG (Zionist Occupation Government), secondo il quale i governi mondiali sarebbero “fantoccio degli ebrei” che tramerebbero per destituire governi nemici e sostituirli con governi filo sionisti. Ebbene sia ZOG che QANON contro tale deriva non esitano a teorizzare l’uso della forza e, purtroppo, anche a praticarla, come i fatti recenti di Capitol Hill stanno a dimostrare. La violenza individuale e collettiva non solo è ammessa ma diventa doverosa. Questo amplia a dismisura la pericolosità del movimento. Minacce e violenze sono piuttosto diffuse nei confronti di coloro i quali hanno il coraggio di mettersi contro.

In una polarizzazione bene/male, dove spesso il bene è rappresentato dal maschio bianco e il male da tutto il resto (sopratutto le razze presuntivamente inferiori), QANON trae la sua linfa vitale elevando la lotta contro le minacce esterne a dottrina, sebbene non uniforme. Quel che rileva, per loro, è la necessità di uscire dalle sovrastrutture della modernità – compresi gli assetti istituzionali e costituzionali – e tornare alla dimnesione primigenia della comunità etnicamente omologa in grado di provvedere da sé ai propri bisogni. L’uomo non ha bisogno di struttura morale ma deve ritornare alla propria istintualità ancestrale. Anche qui sembra di ritornare a vecchi adagi fascisteggianti che non possono non preoccupare sia per la carica di violenza che hanno insita.

Il mondo si divide tra chi ha ricevuto l’illuminazione qanonista e chi invece giace ancora nell’oscurità o chi ne è addirittura complice.

Se per lo ZOG la natura antisemita era chiara, per QANON è maggiormente sfumata e indiretta anche se la matrice originaria è analoga e affonda le radici nel famoso (e falso) testo dei Protocolli dei Savi di Sion. Testo smentito più e più volte in termini di veridicità , esso continua a costituire la matrice di tutti i complottismi. Gli ebrei hanno volontà di potenza alla quale è necessario opporre una altrettanto forte volontà di annientamento. Se si è seguito sin qui il discorso, non si potrà che concordare sulla comune origine dei complottisimi – al di là delle diverse manifestazioni – su questo punto. Ed è ciò che li rende pericolosamente antisemiti e come tali da combattere senza quartiere.

Da notare, come politicamente sia una battaglia che si combatte quasi tutta a destra, sebbene anche a sinistra gli echi della propaganda anti israeliana è molto fort e giunge fino a contestare la legittimità dell’esistenza dello Stato di Israele e riprendendo il concetto di cabal come lobby sovranazionale in funzione filoebraica. Ma nel campo di destra che il tema diventa ancor più cruciale. Sul punto, il terreno di scontro è fra una destra moderata e liberale e una destra estrema e suprematista chiaramente razzista e antiebraica. La dinamica bene/male si riverbera anche in politica, tramite gli slogan “american first” o “prima gli italiani” a segnare una cesura netta tra “noi” e “loro” , dove “loro” sono i diversi, gli emarginati i più poveri e, quindi trovano nel “migrante” l’immagine plastica. Oppure, sovraordinati gerarchicamente, ma più lontani da colpire, le elites, i poteri forti. Fantomatica entità colpevole di tutti i mali del mondo.

“poteri forti” espressione abilmente vaga idonea a colpire tutto ciò che non rientra mani e piedi nelle teorie complottiste qanoniane che dal tempo senza inizio cerca di dominare la massa.

Come dicevamo precedentemente, seppur sempre esistite, tali tesi sono state estratte dalla marginalità paranoide in cui vivevano grazie alla diffusione del web solo e unico fattore di veridicità. Il confronto e la dialettica viene annullata perché non serve. La tesi è vera in quanto ripetuta all’infinito, anche se in modo autoreferenziale.

Ben si comprende dunque, come importante sia lavorare su più piani contro questo rischio di deriva. Intanto attraverso un lavoro certosino sul linguaggio. Definire bene le cose per come sono, e in questo, ben venga la definizione di antisemitismo dell’IHRA, diretta ad ampliarne i contorni semantici nel rispetto – questa volta reale – del diritto di opinione e critica. Non solo, ma anche combattere una battaglia per comprendere che il politically correct – al di là dei suoi estremismi che sono sempre da rifuggire – non è un linguaggio buonista, ma il tentativo di ricacciare nell’inconscio l’inconfessabile ormai sdoganato. Inoltre occorre un lavoro d’intesa con le grandi multinazionali del web per eliminare contenuti deliranti e falsi in grado solo di provocare confusione e violenza e di riportare indietro l’orologio della storia.