Diritti umani e migrazioni, quello che non viene fatto (e detto)

di Kishore Bombaci

D’estate come di inverno ormai siamo abituati, dalla martellante propaganda dei media e dalle speculazioni politiche dell’estrema destra sovranista, ad avere a che fare con  lo spinoso tema dell’immigrazione. Spesso le cronache, sempre molto precise e pedanti nel sottolineare la nazionalità degli interessati, ci consegnano episodi di criminalità che talvolta hanno come protagonista – spesso, e con minor richiamo mediatico, vittima– il migrante o la migrante. Quando il migrante è il colpevole, si scatena il solito sciacallaggio  fatto di slogan senza senso quali “porti chiusi”, “blocco navale” o, peggio ancora, “padroni a casa nostra” e altri che sfociano nel più becero razzismo. Come se il tema immigrazione, fosse confinabile nella sfera della tutela penale, come se il diritto fosse una clava da abbattere sempre contro il “diverso”.

L’altro lato della medaglia, quello di cui nessun parla mai, è che i migranti sono titolari non solo di doveri rispetto alla comunità che li accoglie, ma anche di diritti inalienabili stabiliti, fra le altre cose, dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e che dipendono esclusivamente dal fatto di far parte della comunità umana.

Ebbene, visto che la società occidentale vive di tanti diritti (per fortuna) e di pochi doveri (una tragedia), crediamo sia necessario e doveroso portare l’attenzione sui diritti fondamentali dei migranti Non ci riferiamo tanto agli  ordinamenti nazionali che pure hanno una funzione imprescindibile,  ma a posizioni giuridiche che trascendono i singoli stati e le singole entità e si vanno a collocare in quella sfera di diritto c.d. naturale che lega inscindibilmente la titolarità di posizione giuridiche soggettive al fatto di essere uomini e donne (c.d. diritti intrinseci).

La disabitudine a pensare a queste persone come soggetti di diritto deriva anche da una certa mistificazione linguistica per la quale il migrante equivale sempre e comunque a clandestino, con una sorta di inversione dell’onere della prova concettuale per cui è quest’ultimo a dover dimostrare di avere la legittimità a occupare lo spazio che occupa e a vivere la vita che gli è propria. Peccato che nella propria saggezza il legislatore sovranazionale aveva pensato la cosa in termini assolutamente opposti. E gli Stati e le relative classi dirigenti debbono prenderne atto e farsi parte attiva della promozione continua del rispetto di questi diritti inalienabili a maggior ragione in questo momento storico in cui spettri che credevano morti e sepolti tornano a far sentire la loro voce in modo allarmante. Da canto suo, l’ONU ha esplicitato con chiarezza che i diritti umani spettano a chiunque indipendentemente dalla condizione giuridica (se cittadino o non) e che devono trovare tutela negli ordinamenti giuridici nazionali. Peraltro,  gran parte di questi diritti fondamentali costituiscono anche norme di diritto consuetudinario, vincolante per tutti gli stati indipendentemente dalla ratifica di apposite convenzioni internazionali da parte degli stati. Dal punto di vista giuridico la prima conseguenza è che, dunque, non è possibile subordinarne il rispetto a qualsiasi elemento di fatto o giuridico di natura contingente.  Indubbiamente, il primo fra questi diritti che merita di essere ricordato è quello a lasciare qualsiasi paese compreso il proprio e di farvi ritorno. Potremmo dire che trattasi del diritto di essere migrante. Si tratta dell’art. 13 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e costituisce, come evidente, il paradigma fondamentale che descrive giuridicamente lo stesso status di migrante. Se si parte da tale assunto, l’essere umano non è mai clandestino dal punto di vista dei diritti umani perché nel momento stesso in cui per motivi che l’ordinamento non può né deve sindacare, migra, egli esercita un diritto fondamentale.  Ciò significa che non vi debbono essere regole? Assolutamente no, malgrado le prese di posizione di politici locali e nazionali vogliano capziosamente lasciar intendere che riconoscere diritti equivalga a eliminare le regole. Il riconoscimento di un diritto fondamentale non equivale a un “liberi tutti” né tantomeno a un diritto di accesso indiscriminato nel territorio, proprio perché il principio stabilito dall’art. 13 e rilanciato dall’art. 12 del Patto sui diritti civili e politici demanda alla legge il compito di disciplinare modi e termini di esercizio di tale diritto, vincolandolo anche a condizioni e doveri stabiliti dalla legislazione del paese accogliente. Ed ecco che quindi, entra in campo –  o almeno dovrebbe – la politica, come centro di bilanciamento degli interessi nel rispetto della dignità della persona. Questo è esattamente ciò che non viene fatto. Un tema quello delle migrazioni in cui la concezione della politica come tifoseria trova il proprio campo d’elezione. Quindi da un lato si assiste all’ “accogliamoli tutti” (come se ciò possibile) in nome di una presunta superiorità morale della sinistra, dall’altro alla strategia – fallace e propagandistica – dei porti chiusi o dei blocchi navali, dell’estrema destra xenofoba. Ben si comprende come tutte e due queste strategie siano inapplicabili, illegittime e assai pericolose in termini di tenuta sociale. Il rispetto dei diritti umani impone regole precise quali ad esempio l’obbligo di salvare la vita e la dignità della persona in qualsiasi situazione senza che ciò si trasformi in un diritto all’automatica accoglienza e, al contempo, l’obbligo del rispetto dei doveri della comunità verso chi ha diritto di arrivare e restare nel territorio nazionale.

Ma quali sono questi diritti umani, oltre a quello di potersi insediare o di poter lasciare un territorio? Secondo il Global Migration Group si possono individuare:

–  Il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona, di essere liberi da arresti o detenzioni arbitrarie, e il diritto di cercare e godere asilo dalle persecuzioni;

–  Il diritto di essere liberi da discriminazioni basate sulla razza, sesso, lingua, religione, l’origine sociale o nazionale, o altra condizione;

–  Il diritto di essere protetti da abusi e sfruttamento, di essere liberi dalla schiavitù, e dalla servitù involontaria, e di essere liberi dalla tortura e da trattamenti e pene crudeli, inumane e degradanti;

–  Il diritto a un equo processo e ai rimedi legali;

– Il diritto alla tutela dei diritti economici, sociali e culturali, includendo il diritto alla salute, a un adeguato tenore di vita, alla sicurezza sociale, all’alloggio, all’educazione, e a condizioni di lavoro giuste e favorevoli;

– Gli altri diritti umani garantiti dagli strumenti internazionali dei diritti umani a cui lo Stato Parte ha aderito e dal diritto internazionale consuetudinario.

Quindi, senza voler entrare nello specifico si tratta di una sfera giuridica assai ampia, la cui declinazione pratica necessita ulteriori fonti “specificanti” al fine di renderne effettiva la promozione e la tutela. Ciò risulta particolarmente evidente nel campo della lotta alle discriminazioni e del diritto internazionale del lavoro. Ivi,  alcune fonti predispongono strumenti specifici attraverso i quali i diritti fondamentali cessano di essere principi e diventano tutela effettiva di persona rifugiata o migrante.  Con una serie di convenzioni dal 1965 al 1978, l’ordinamento sovranazionale bandisce la discriminazione razziale (1965), di genere (1979) e sul luogo di lavoro (Conv. OIL 1958). Con riferimento alla normativa europea si ricordino la Direttiva 43/2000 e la n. 78/2000 in tema di divieto di disparità di trattamento.

Inoltre,  specifiche normative tutelano i minori, soggetti particolarmente (Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989 e convenzione OIL sulle forme di lavoro minorile.

Indubbiamente, uno degli strumenti più rilevanti è la Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.

Tuttavia, anche in questo caso, per rendere operative queste Convenzioni, occorrono atti specifici di ratifica e recepimento. Questo sposta il “centro di gravità” dell’azione legislativa all’interno degli stati membri che debbono procedere a una disciplina organica che dia concreto sviluppo e applicazione ai principi di diritto naturale da cui discendono i diritti fondamentali. Il tempo della propaganda deve finire per lasciare spazio alla serietà perché il tema migratorio è un tema consustanziale della modernità e come tale non verrà risolto né in termini brevi né con soluzioni di natura semplicistica.