Articolo 36 della Costituzione Italiana, è tempo di rispettarlo

Il salario minimo, oltre a racchiudere nella sua locuzione il principio di una retribuzione dignitosa, rappresenta attualmente una rivendicazione sindacale che distrae l’opinione pubblica da alcune carenze negli accordi tra le parti sociali.

Va da sé che se non ci fossero parametri salariali così bassi, specialmente in alcuni CCNL, oggi non si parlerebbe della necessità di mettere mano a una legge in tal senso.

Si è dovuto ricorrere alla magistratura del lavoro per esigere tale necessità; difatti, con la sentenza n. 2720 del 13 ottobre 2023, il Tribunale di Bari determina che la retribuzione prevista da un CCNL non rispetti la giusta proporzionalità e la sufficienza in ragione dell’art. 36 della Costituzione Italiana (Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa).

Tra l’altro, basandosi su sei sentenze della Cassazione Civile di pochi giorni precedenti (Cass. civ., Sez. lav., 2 ottobre 2023, n. 27711; Cass. civ., Sez. lav., 2 ottobre 2023, n. 27713; Cass. civ., Sez. lav., 2 ottobre 2023, n. 27769; Cass. civ., Sez. lav., 10 ottobre 2023, n. 28320; Cass. civ., Sez. lav., 10 ottobre 2023, n. 28321; Cass. civ., Sez. lav., 10 ottobre 2023, n. 28323), che nel loro insieme riportano il diritto di determinare il salario minimo giudizialmente là dove appunto non venga rispettato il principio racchiuso nel suddetto art. 36, sottolinea che la proporzionalità e la sufficienza della retribuzione sono elementi che sostanzialmente la contrattazione collettiva non può del tutto imporre; d’altronde, se vogliamo, sono contrattazioni private, suddivise per comparti, ma che non si poggiano su alcun ordinamento al riguardo, se non sui principi sanciti dalla legge 300 del 20 maggio 1970.

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Ciò detto, questi pronunciamenti aprono un grande punto interrogativo su “chi possa firmare cosa”, e in pratica si potrebbe supporre che i CCNL, in un futuro nemmeno troppo lontano, possano contenere accordi sindacali su tutto tranne che sui salari, per i quali probabilmente dovranno semplicemente recepire le eventuali tabelle stabilite per legge. Ma attenzione, perché tale meccanismo potrebbe allargarsi anche al mondo della sicurezza sul lavoro, che nel nostro Paese non è sufficientemente garantita. Ultimamente, la firma della “Carta di Urbino”, decalogo delle buone pratiche fatte proprie dall’Agenzia Europea OSHA, richiama tutti alla necessità di far rispettare i percorsi sulla sicurezza sul lavoro e il benessere del lavoratore, sancito dall’art. 32 della Costituzione Italiana.

Ora, emerge una fotografia imbarazzante riguardo ad alcune falle nei CCNL italiani, generate da una serie di insolvenze legislative da una parte e sociali dall’altra. È chiaro che non vi sia stata un’invasione di campo da parte della magistratura del lavoro, come pensa qualcuno, ma al contrario, non solo le è stata propria come competenza, assolvendo a un’inadempienza legislativa, ma ha inoltre stimolato il tema della contrattazione collettiva.

È tempo di confrontarsi seriamente sullo Stato Sociale, perché ha bisogno di certezze e garanzie che in questo momento politica e sindacato non stanno garantendo del tutto. Il livore ideologico non permette una serena valutazione di quelle che sono le priorità del mondo del lavoro, sul quale sarebbe opportuna una propensione bipartisan per potersi interrogare sul ruolo della contrattazione, sul ruolo del CNEL, sull’opportunità di una legge sulla rappresentatività sindacale, su un piano concreto che riconosca l’uscita dal lavoro in un’età non troppo avanzata, in quanto quarant’anni di contributi non li potrà avere più nessuno, e su una legislazione che riconosca dignità economica a lavoratori e pensionati.