Altro che poteri forti, Draghi castiga la “Casta”: torna il tetto agli stipendi dei manager

C’è una cosa che spinge ben sotto la soglia la pazienza di Mario Draghi: non ha tolleranza per gli sciocchi; va su tutte le furie quando si commettono stupidaggini. Capirete, dunque, la sua rabbia dopo aver appreso la notizia dell’insidioso emendamento che eliminava il tetto agli stipendi dei manager pubblici. Non appena l’ha scoperto, il presidente del consiglio ha cercato di rimediare, tagliando quella ‘manina’, che sul serio rischiava di ‘sporcare’ un finale di legislatura impeccabile sul piano dei conti. Perché chi scrive che al premier non stanno a cuore famiglie e imprese dice il falso: ancora una volta Draghi ha dimostrato semmai il contrario, sventando il blitz per dare più soldi ai dirigenti pubblici. Nei fatti, come titolava un noto giornale, ha messo in castigo la Casta.

L’ex numero uno della Bce di poche parole e molti fatti, come spiega chiaramente Barbara Fiammeri su «Il Sole 24 Ore», con la sua caparbietà costringe dunque il Senato a tornare a riunirsi martedì prossimo, a cinque giorni dalle elezioni, per cancellare dal decreto Aiuti bis, la norma con cui ieri era stata introdotta una deroga al tetto di 240mila euro annui per gli stipendi dei manager della Pa. Mentre i partiti che l’avevano votata si son affrettati a prendere le distanze, dando ogni responsabilità al Mef, per averla inserita tra i riformulati, il Governo ha subito proposto un emendamento per ‘riparare’ a quella scelta giudicata inopportuna anche dallo stesso Capo dello Stato Sergio Mattarella, con cui tra l’altro il premier, si era sentito al telefono. Inaccettabile, specie oggi, con le famiglie e imprese in affanno per la crisi energetica che fosse stato tolto di mezzo il tetto massimo di 240mila euro per i manager della Pubblica amministrazione. Anche perché quella norma, introdotta di recente, aveva ottenuto un largo apprezzamento tra i cittadini. Proprio perché sottendeva un ideale dal gusto romantico (noi Italiani vorremmo far credere l’opposto ma siamo dannatamente romantici): il principio secondo cui anche un grande imprenditore corteggiato sul mercato con stipendi da capogiro, dinnanzi ad un incarico di Stato, lasci da parte la logica del denaro per seguire ragioni ben più nobili, come il mettersi al servizio della collettività.

Lo stesso Draghi, da civil servant quale intimamente è, ha scelto di rinunciare al compenso di qualsiasi natura connessa alla sua carica. Una decisione, quella di ricoprire il ruolo di premier a titolo gratuito, formalmente resa pubblica (si noti bene!!!) soltanto a metà dello scorso anno e passata in sordina. In perfetto stile Draghi. Il presidente del consiglio non ha mai cercato il like sui social o l’applauso facile. Così facendo l’ex governatore di Bankitalia ha detto no a circa 80mila euro lordi l’anno (6.700 euro al mese). Un compenso non di poco conto, che, è giusto dire, il suo predecessore aveva decurtato del 20%. Quello stesso Giuseppe Conte che subito si è affrettato ad intestarsi il merito di aver rimesso il tetto agli stipendi dei manager della Pa: «La nostra determinazione paga: il Governo è tornato sui suoi passi e ha appena annunciato di voler cancellare la norma che alza i megastipendi dei dirigenti di Stato. Meglio tardi che mai», ha scritto sui social l’avvocato del Popolo, che nelle ultime settimane ha preso ad attaccare l’ex numero uno della Bce su ogni cosa. «L’ho implorato di non lasciarsi suggestionare dalla corsa al riarmo e discutere le misure…», ha detto ad esempio Conte riferendosi al premier, facendo passare l’economista ancora una volta per quello che non è. Draghi apostolo dell’alta finanza, emblema dei poteri forti, lontano anni luce dai bisogni della gente; Draghi in flirt continuo con le banche; più sensibile alle sofferenze degli Ucraini che a quelle degli Italiani.

La dimostrazione di ciò che Mario Draghi è però la si trova nei fatti. E se la presentazione di un emendamento soppressivo della modifica del Dl aiuti che aveva fatto saltare il tetto finora fissato a 240mila agli stipendi dei vertici pubblici non basta, si può citare un altro episodio, meno noto. Nel 2013 quando la crisi economica era al culmine un ragazzo lo avvicinò nelle vie di Roma. All’allora dirigente della Bce il giovane raccontò che si barcamenava tra lavoretti temporanei e turni di notte: «Ma lei perché non stampa più soldi, così avremmo tutti di che campare?». Draghi si impegnò nel dare una risposta soddisfacente (ma come semplificare concetti come i rischi dell’inflazione o i trattati europei?). Un compito davvero difficile: quando vedi con i tuoi occhi la sofferenza sul volto di chi ti sta di fronte e si aspetta da te grandi cose è complicato restare bravi. Un incontro che, secondo i beninformati, turbò profondamente il presidente del consiglio, da sempre attento al destino dei giovani.