sciopero magistrati

A Lecce l’Anm è contro lo sciopero dei magistrati

Mentre una parte sempre crescente della magistratura italiana si schiera più o meno apertamente contro lo sciopero indetto dall’ANM che si terrà il 16 Maggio, la maggioranza delle toghe continua imperterrita la propria battaglia contro la riforma Cartabia, giudicata addirittura punitiva nei confronti dei giudici. Dove stia questa valenza sanzionatoria nella riforma però è tutto da capire.

Eminenti giuristi e fra loro anche magistrati di un certo peso, la giudicano leggera, morbida e sostanzialmente un pannicello caldo assolutamente non in grado di incidere sulle dinamiche processuali né sullo stato della Giustizia tout court. Figuriamoci sui privilegi di casta di cui da sempre godono le toghe e a cui evidentemente non vogliono rinunciare nemmeno in minima parte. Da notare che, contro lo sciopero, si sono espressi, per fare tre nomi di calibro, Carlo Nordio, Nino Di Matteo e Armando Spataro. Insomma, gente che ha fatto la storia di questo paese (ai posteri giudicare se questa storia sia stata corretta o meno), magistrati impegnati da decenni in battaglie difficilissime contro mafia e corruzione. Si tratta di voci sicuramente qualificate e autorevoli che hanno condannato l’iniziativa dell’ANM che contribuirebbe ad alienare ancor di più la fiducia dei cittadini nella corporazione.

E invece niente. Il sindacato delle toghe persiste in una iniziativa che sta assumendo sempre più la fisionomia di una grottesca farsa e restituisce l’immagine di un potere dello Stato che si sente sotto assedio e che combatte contro gli altri poteri dello Stato. Uno sciopero tutto politico, quello che si terrà tra una settimana circa, che non riesce a mascherare, ormai nemmeno nei ranghi degli interessati, tutte le contraddizioni esistenti. Contraddizioni che vengono alla luce in modo plastico a Lecce, dove, primo caso sinora, la sezione distrettuale dell’ANM vota all’unanimità la propria contrarietà allo sciopero. Il Presidente di Corte d’Appello, nonché segretario provinciale dell’ANM leccese, Dott. Vincenzo Scardia, in una intervista concessa alla ‘Gazzetta del Sud’ spiega il perché. Si parte da una sostanziale contrarietà al testo Cartabia per tutti i motivi che i magistrati più battaglieri vanno sciorinando da mesi a ogni pie’ sospinto. Dalla valutazione statistica della professionalità del magistrato, al nuovo metodo elettorale per il CSM, fino ad arrivare a ciò che i magistrati più temono. La separazione delle carriere. Poco importa se nella Riforma questa separazione è poco meno di un abbozzo (con la limitazione della possibilità di passaggio di funzione a una sola volta nei primi 10 anni di carriera); tanto basta per far scattare l’allarme rosso e gridare al complotto contro chi vorrebbe un PM asservito alla politica.

Scardia sostiene che in tal modo si farebbe uscire l’ufficio del pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione, ma ciò non è vero e comunque non sarebbe necessariamente un male, se il sistema evolvesse al contempo verso una piena realizzazione del modello accusatorio cui era ispirato il codice del 1989. Scardia poi onestamente riconosce alcuni elementi di positiva novità nella riforma, quale l’introduzione di limiti ai passaggi di ruolo negli uffici ministeriali o nei dipartimenti legislativi, anomalia tutta italiana per cui un magistrato viene dislocato anche nei punti chiave dell’Amministrazione dove si scrivono o si dà attuazione alle leggi; o ancor di più, i limiti imposti a chi è stato eletto in un corpo elettivo e poi vorrebbe tornare a esercitare la funzione giuridisdizionale.

Elementi positivi, secondo Scardia, che pur non mutando il giudizio complessivo sulla Riforma, sono sufficienti, evidentemente, a opporsi allo sciopero indetto. Verrebbe da dire, troppo poco! Pur apprezzando il coraggio della sezione leccese dell’ANM, occorre molto di più da parte di chi vorrebbe in buona fede riabilitare l’immagine di una magistratura sempre più arroccata su se stessa e incapace di aprirsi e rendere conto – perché no? – ai cittadini in nome dei quali emettono sentenze. Un’esigenza, quella della trasparenza, di cui, dopo lo scandalo Palamara, tutti sentono il bisogno ma che proprio i togati, con la loro iniziativa, paradossalmente rischiano di ostacolare.