“Il problema non è lo stadio: queste cose succedono anche fuori e le persone non hanno il coraggio di denunciare”. Amin, invece, lo ha fatto. “Ho deciso di denunciare non solo per me ma per tutti”.
Le immagini di quanto accaduto allo stadio Olimpico nella partita Lazio-Verona e la brutalità degli epiteti utilizzati non lasciano spazio a interpretazioni per la violenza e la ferocia con la quale alcuni tifosi della Lazio, si sono scagliati contro uno steward, che aveva la sola colpa di avere i lineamenti di un ragazzo di origini straniere. “A negro de merda, ti facciamo tornare con il gommone con il quale sei arrivato…” e avanti così con gli insulti.
Che poi, Amin Jebali 22 anni, non è nemmeno nero, e in Italia non e arrivato con il gommone. A Roma ci è nato da mamma marocchina e papà tunisino, E legato soprattutto alla mamma che dal suo racconto ha faticato molto per tirare su la famiglia. “Ho sempre lavorato fin da piccolo, alternando scuola e lavoro. Oggi seguo due anziani che accompagno. Una è come se fosse mia nonna, Le faccio compagnia, la porto a fare passeggiate e commissioni, poi faccio anche il dog-sitter e l’autista. Ovunque c’è lavoro, ci sono, perché nessuno ci regala niente”. Amin è figlio di una coppia di immigrati come tanti nel nostro paese, che continuano a fare sacrifici, con storie umane diverse e lineamenti che tracciano una ricca diversità, che purtroppo in alcuni casi è di-
ventata un simbolo da colpire. Alla parola “immigrazione”, con il suo sviluppo di figli
di immigrati e nuovi italiani, la voce rude dei razzisti si semplifica disumanizzando una pluralità. Perché per loro, tutti gli stranieri diventano “negri di merda da far tornare a casa loro con il gommone”.
Se ci pensate, non è altro che la traduzione del linguaggio becero di una certa politica di questi anni per raccontare l’immigrazione, con sbarchi, gommoni, volti di uomini, soprattutto africani e più possibilmente neri da mettere sotto i riflettori. Gli stranieri colpevoli di ogni crimine e nefandezza. E’ atroce la sintesi, ma è così. Sai cos’è? E che purtroppo tutto questo non è normale ma è la realtà”, spiega Amin, che ripercorre quanto avvenuto allo stadio, ma non dimentica che altri fatti del genere gli sono accaduti in passato, quanto era bambino.
“Al razzismo e alla discriminazione ci stiamo abituando, e ammetto che mi dispiace ma non vedo che qualcuno faccia qualcosa per cambiare le cose. Solo qualche mese fa, stavo per attraversare la strada e la signora anziana vicino a me, appena mi ha guardato in viso si è portata la borsetta dall’altra parte stringendola forte. Questi episodi sono ogni volta pugni nello stomaco, e quello della curva nord della Lazio l’altra sera era molto potente. Il ragazzo che ha iniziato ad insultare è già stato denunciato, mentre Amin tornerà a lavorare allo stadio. “Non ho paura”.