Nel caso in cui venisse eletta all’Eliseo, Marine Le Pen ha detto che toglierebbe la bandiera dell’Ue perché, come ha spiegato in un’intervista, a quattro giorni dal primo turno delle votazioni, «non ha la vocazione ad essere governatrice di una regione europea, ma ad essere, se i francesi lo decideranno presidente della Repubblica francese». La leader del partito Rassemblement National non ha mai fatto mistero del suo livore nei confronti dell’Unione Europea, anche se negli ultimi tempi aveva innescato una sorta di retromarcia. Salvata in qualche modo da Zemmour, che le ha permesso, avendo posizioni più estreme di lei, di darle la facoltà di dar sfoggio di una immagine assai più moderata. Non pochi politologi ritengono, non a torto, che Marine Le Pen abbia fatto ricorso così ad un camouflage, che le ha fatto guadagnare qualche preferenza in più.
Ma la maschera prima o poi cade: tutti sappiamo che la sua elezione sarebbe un serio rischio per l’Ue e la Nato. Tra gli intenti della deputata sovranista quello di «rimettere l’Unione Europea al suo posto», per fermare quel processo di integrazione che è alla base del progetto dell’Ue. La Le Pen non riconosce il principio di supremazia del diritto Ue su quello nazionale: la Francia diventerebbe con lei alla guida, un paese euroscettico, al pari dell’Ungheria. In caso di sua vittoria all’Eliseo, Parigi, la seconda economia più importante dell’Ue, potrebbe cominciare a strizzare l’occhio al gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia). Non si sta esagerando.
E non è meno temibile per ciò che pensa della Nato: la leader sovranista vorrebbe trascinare la Francia fuori dalla schiera degli atlantisti proprio perché il Paese «non venga più coinvolto in conflitti che non sono i nostri». Dichiarazioni che alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina, con un quadro geopolitico in fieri, mettono in allarme Bruxelles, che ha ben stampate nella mente le immagini della visita della Le Pen a Mosca nel 2017. Un presidente filo-Putin non è quello di cui la Francia ha bisogno; tout court, di cui l’Europa e Nato hanno bisogno oggi.
All’indomani del primo turno delle elezioni presidenziali francesi Macron, che vanta un 27,6% (9.560.545 di voti), con alle spalle Marine Le Pen a soli quattro punti di distacco con il 23,4% (8.109.857 di preferenze), sa che dovrà mettere definitivamente all’angolo Rassemblement National, altrimenti consegnerà il suo Paese alla destra sovranista. Marine Le Pen all’atto pratico potrà sperare sui voti di Zemmour (Reconquête) fermo al 7,1% e dell’altro esponente di destra Nicolas Dupont-Aignan (Debout La France) che ha raccolto il 2,07%. Per sedere nelle stanze dei bottoni la 53enne sa però che serviranno parte dei voti incassati da Mélenchon, al terzo posto con il 22% (7.605.225 di voti). Bottino quest’ultimo che fa gola a Macron che ha dalla sua parte anche i Repubblicani (4,79%), i Verdi (4,58%), i Comunisti (2,31%) e i Socialisti (1,74%). Il padre di Marine, Jean Marie Le Pen è convinto della vittoria della figlia: anche perché, a detta sua, in caso contrario, «la Francia si dissolverebbe».
Quel che ci si augura dal profondo è che non ci siano sorprese, che la bandiera dell’Ue continui a stare gloriosa all’Eliseo, accanto a quella francese: il premier uscente è infatti favorito al ballottaggio. Macron ha tutte le carte per farcela e dobbiamo tifare per lui. I francesi saranno chiamati a scegliere il 24 aprile non tra sinistra e destra, ma tra integrazione e rottura dell’Europa; tra populismo anti istituzionale ed europeismo. Perdere un moderato come l’ex banchiere di Goldman Sachs vorrebbe dire proprio questo: gettare le basi per una grave crisi culturale dell’europeismo. La posta in gioco al ballottaggio è altissima. Ne va del nostro futuro.