Giorgia Meloni torna a parlare di Europa, ma come sempre lo fa in modo ridondante, polemico e piuttosto inesatto e impreciso. Infatti la leader di Fratelli d’Italia, rispondendo all’appello in sette punti di Enrico Letta per la costruzione di una Europa più forte sul piano politico e militare, torna a sciorinare tutta la sua retorica, di fatto, antieuropeista travestita da europeismo confederale di facciata.
Un po’ come l’alter-ego negativo di Spider Man con la sua dissociazione schizofrenica nel proprio lato oscuro. Sempre Spider Man è, ma stavolta come antieroe. Ecco, la visione della Meloni di cosa dovrebbe essere l’Europa è esattamente schizofrenica e antieroica. Colorando con un’abile tecnica di maquillage dialettico il proprio presunto europeismo, in realtà porta avanti una visione fortemente e marcatamente antieuropeista. E lo fa con una certa nonchalance, tanto che non riesce proprio a nascondere il pregiudizio di fondo che sta alla base del suo ragionamento. Non tanto nell’analisi di ciò che non va nell’attuale UE (tutto è migliorabile, indubbiamente), quanto nella sintesi e nelle soluzioni proposte.
Intanto Meloni si muove sui binari tanto consueti quanto generici dell’individuazione del nemico, identificato stavolta nel “globalismo” (sembra di sentire un Fusaro qualunque!), nella promozione dei diritti LGBT, nella presunta ideologia green e (poteva mai mancare?) nell’immigrazione incontrollata. Di fatto, le solite cose, trite e ritrite. Se si gratta la vernice retorica del suo discorso, sotto sotto si rinviene il medesimo Meloni-pensiero di sempre, fatto di slogan e propaganda ma del tutto inconcludente sul piano dei contenuti, quando non proprio marcatamente complottista. Ad es. Meloni parla di valori su cui dovrebbe fondarsi l’Europa da lei immaginata, ma non esplicita mai quali debbono essere, limitandosi al generico richiamo alla difesa dell’interesse nazionale. Ma la difesa dell’interesse nazionale “al di fuori” o, peggio, “contro” l’Europa è mero artifizio linguistico, buono per le masse ma privo di sostanza politica. Anzi, se dovessimo seguire la confusa idea della Leader di Fratelli d’Italia sul punto, ci troveremmo necessariamente con un’Italia debole all’interno di un’Europa ancor più debole, letteralmente schiacciata da USA da un lato e Cina dall’altro. Insomma, non si riesce a immaginare un esito meno patriottico di quello auspicato da Meloni.
A proposito di valori europei, sarebbe poi opportuno ricordare alla leader di Fratelli d’Italia che essi già esistono. Sono scritti nella storia e nella cultura millenaria del continente, dall’antica Grecia, all’Impero Romano, passando attraverso l’Illuminismo e il costituzionalismo moderno per poi giungere, sintetizzati, nel manifesto di Ventotene. Già! Proprio quei principi che vengono riferiti al liberalismo dello stato di diritto e che il suo alleato di ferro, l’ungherese Viktor Orban, nega e viola continuamente. Ecco, se la Meloni volesse essere coerente con le proprie, seppur confuse, premesse, dovrebbe prendere le distanze dall’alleato per ribadire, invece, la centralità di quegli alti ideali che hanno consentito nel tempo l’evoluzione del continente.
Invece che fa? Assume la difesa d’ufficio dell’amico Viktor, giustificandone l’operato contrario a quei valori e agitando lo spauracchio della modifica dei trattati, spacciando il superamento del diritto di veto in seno al Consiglio Europeo a favore di un meccanismo decisionale a maggioranza come tentativo (da parte di chi non è dato sapere) di colpire “gli avversari politici eletti a capo delle loro nazioni”. Scambiare un normale meccanismo di funzionamento della democrazia liberale per “dittatura della maggioranza” dà l’idea della confusione che alberga in Giorgia Meloni quando si parla di democrazia liberale, essendo Donna Giorgia forse più avvezza alle dinamiche plebiscitarie che non agli istituti democratici.
Pensare, poi, che ciò sia fatto non per facilitare processi decisionali ma per colpire qualcuno è semplicemente paranoia. Una paranoia politica quella della Meloni che in realtà si riflette chiaramente sulla sua visione di Europa confederale, ben espressa nell’ultimo paragrafo della sua lettera al Foglio che val la pena riportare testualmente. Scrive Meloni: “Noi crediamo invece che l’Europa debba sforzarsi di essere una democrazia di valori, che quei valori risiedano nelle nostre radici classiche e cristiane, che forti di quei valori dobbiamo proporre un progetto rispettoso delle identità nazionali e che, forti di quel progetto, dobbiamo porci come un attore globale per difendere gli interessi dei nostri cittadini. Che è esattamente quello a cui dovrebbe servire l’Unione europea”. Ecco, qui vi è il condensato della miopia della visione meloniana che condurrebbe a una Europa fatalmente debole. Vale la pena ricordare alla leader di Fratelli d’Italia che le radici classiche e cristiane cui fa riferimento conducono all’esatto opposto del suo progetto antieuropeo. Da esse, infatti, abbiamo ereditato i valori della libertà della tolleranza, della fratellanza, della pietas per il debole e l’indifeso (ad es. il migrante economico), della valorizzazione delle differenze basate sulla specificità della persona umana come patrimonio di arricchimento delle genti e del cosmopolitismo. Insomma, tutto il contrario dello stato-nazione chiuso e arroccato su cui Meloni vorrebbe fondare l’Europa confederale.
Anche la cosiddetta identità nazionale, evocata come un mantra dalla stessa leader di Fratelli d’Italia, al di fuori di una cornice europea si rivela antropologicamente anacronistica. sfociando nel nazionalismo barbaro che già nel ‘900 ha portato in eredità ben due guerre mondiali. Peraltro, tale idea (falsata), ovunque oggi risulti maggioritaria, non fa altro che aumentare le divisioni tribali e identitarie che impediscono il sorgere di una identità europea e una politica comune che – questa sì – potrebbe e dovrebbe porsi come attrice globale nel venturo mondo tripolare che pandemia prima e guerra poi annunciano senza più alcuna possibilità di fraintendimento.
La reale difesa dei cittadini italiani, al contrario di quel che pensa Meloni, passa necessariamente attraverso una progressiva integrazione politica dell’attuale UE che – auspicabilmente il prima possibile – si concretizzi nella fondazione degli Stati Uniti d’Europa. In mancanza di ciò, ogni ruolo internazionale autonomo e significativo della stessa Unione rimane precluso, restando in vita solo quegli esiti tecnocratici che da soli non possono vincere le sfide della modernità.
Come ben rappresentato da “L’Unità Europea”, giornale del Movimento Federalista Europeo (non per niente fondato da Altiero Spinelli nel 1943), gli Stati Uniti d’Europa sarebbero quindi il giusto compimento di quell’antico progetto ventoteniano che ha garantito al continente 70 anni di pace e di sviluppo. Oggi più che mai, i dieci punti indicati dal Movimento si rivelano attualissimi. Dalla sicurezza interna ed esterna a uno sviluppo sostenibile, al governo comune dei fenomeni migratori (al netto, quindi degli egoismi nazionali che verrebbero inevitabilmente alimentati dall’approccio confederale), l’Europa deve ritrovare quel patrimonio umanistico che l’ha resa grande e giocare quel ruolo che intrinsecamente le appartiene da sempre. Se il prezzo da pagare è la cessione di una quota di sovranità nazionale val la pena pagarlo per non rimanere schiacciati dalla storia.