Prima cosa, il coraggio. Sì, il coraggio. Perché non era per niente scontato che tre premier europei prendessero in gran segreto un treno per arrivare nel cuore della crisi ucraina, in una Kiev sotto assedio. Il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ceco, Petr Fiala, e sloveno, Janez Jansa, hanno fatto la cosa giusta. E poco importa se, magari, la loro idea di Europa fino a ieri non era proprio la stessa di quella declinata nel salotti laici e moderni di Bruxelles.
Perché la guerra fa anche questo, rimescola gli schieramenti culturali e geopolitici, affievolisce differenze ideologiche, fa capire quel che conta davvero. «È qui – ha detto il premier polacco Morawiecki -, nella Kiev dilaniata dalla guerra, che si fa la storia. È qui che la libertà combatte contro il mondo della tirannia. È qui che il futuro di tutti noi è in bilico. L’Ue sostiene l’Ucraina che può contare sull’aiuto dei suoi amici: oggi abbiamo portato questo messaggio a Kiev».
E allora va detto con forza: poco importano, sinceramente, le quisquilie che ci dividevano fino a ieri. Di quelle differenze ne parleremo e riparleremo ancora di diritti civili, di indipendenza della magistratura… ci trastulleremo di questi temi importantissimi quando la pace sarà scoppiata. E quando l’Europa sarà più forte anche grazie a questi tre moschettieri, a questi tre leader partiti euroscettici e tornati più europei di tanti europeisti.
Perché è questo che fa la storia. A un certo punto spinge sull’acceleratore del cambiamento e ribalta certezze consolidate. E serve coraggio, molto coraggio, per accettare la sfida.