I cittadini di Olkiluoto, 5 mila abitanti di un’isola vicina ad Eurajoki, nella Finlandia occidentale, hanno accolto con gioia la designazione della loro isola come deposito permanente di scorie nucleari: “Porterà soldi, lavoro”. Una decisione calata dall’alto, presa dal governo sulla base della conformazione fisica del territorio. Il deposito di scorie porterà alle casse del piccolo comune finlandese qualcosa come 20 milioni di euro all’anno, poco meno della metà delle entrate totali del comune. Soldi che verranno spesi per migliorare la condizione di vita dei circa 5mila cittadini. Una storia assai diversa da quella italiana, dove un deposito di scorie nucleari è necessario da decenni e dove il processo decisionale è stato (ed è ancora) quanto mai complesso.
Oggi, dopo la prima scrematura, sono rimaste 41 le aree potenzialmente idonee individuate, anche queste dopo un percorso durato anni, dalla Sogin, società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, nel rispetto di indicazioni europee molto dettagliate. Tutti i territori sono insorti, tutte le regioni coinvolte si sono opposte, senza differenza di colore o geografia. Tutti, naturalmente, dichiarando non ragioni egoistiche, di Nimby o contrasto politico, ma geologiche, morfologiche, agricole, turistiche, etc. In sintesi, in Italia si preferisce lasciare i depositi radioattivi, in larga parte provenienti da rifiuti ospedalieri, a cielo aperto anziché in un deposito sicuro, sostenibile, indispensabile per il rispetto dell’ambiente, e che con 1,5 miliardi di investimento pubblico darebbe lavoro a 2 mila persone.
Nella provincia di Viterbo, quella con più siti appetibili (il 41% del totale), la notizia ha causato una vera e propria levata di scudi nei territori in cui potrebbe essere realizzato il deposito di rifiuti radioattivi, facendo sollevare da parte di certa politica il solito “polverone nucleare”. L’argomento è di estrema delicatezza ed è sempre in grado di risvegliare riflessi pavloviani in alcuni politici ultras dell’ambientalismo o nei complottisti in servizio permanente. L’energia nucleare non è sicuramente immune da rischi, ma sarebbe utile ricordare da parte della politica seria la presenza di centrali straniere lungo tutti i confini nazionali e la presenza di settantacinquemila metri cubi di rifiuti a bassa e media intensità presenti sul suolo italiano.
La realizzazione del deposito nazionale di rifiuti radioattivi è senza dubbio necessaria perché permetterà di sistemare in via definitiva questi rifiuti, al centro di una procedura di infrazione europea nei confronti del nostro paese e attualmente stoccati in una ventina di siti provvisori non idonei ai fini dello smaltimento definitivo. Nel 2011, infatti, l’Unione europea ha stabilito che ogni stato membro deve dotarsi di un programma di gestione in sicurezza delle scorie, dalla loro generazione fino allo smaltimento finale. L’Italia è uno dei pochi stati a non averlo fatto, spendendo circa 60 milioni di euro all’anno per portarli in Francia e Inghilterra, e questo stoccaggio è solo temporaneo. I rifiuti, infatti, momentaneamente depositati oltralpe, dovranno rientrare in Italia entro il 2025.
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In un periodo di crisi con l’aumento delle bollette elettriche, dobbiamo ricordare ai cittadini che dal 2001 abbiamo pagato 4 miliardi di euro nella bolletta elettrica per questi depositi temporanei. Tutto ciò anche a causa della cosiddetta sindrome Nimby (non nel mio giardino), strumentalizzata da certa politica del no a tutto, che a volte si traduce nella reiezione preconcetta anche delle proposte di per sé accettabili e che è aggravata dalla mancanza di una informazione corretta alla quale, sul fronte opposto, corrisponde una scarsa conoscenza delle possibilità che, in termini di sicurezza e rispetto dell’ambiente, offrono le moderne tecnologie.
Oggi, è possibile smaltire qualunque tipo di rifiuto, anche il più pericoloso, in condizioni di assoluta sicurezza ed è altrettanto possibile recuperare aree e territori impiegati per il deposito dei materiali, ovvero utilizzare le suddette aree, ad esempio, per produrre energia verde. La politica, quella seria come quella ed im questo solo che Carlo Calenda con Azione ha una posizione chiara, deve farsi carico di una corretta informazione, perché altrimenti comunicazioni non precedute da una completa e corretta divulgazione dei dati scientifici e da una vera e propria campagna di informazione rischiano di essere fonte di pregiudizi. Una politica seria deve poi farsi carico di illustrare correttamente i criteri in base ai quali viene individuata una certa area e infine non può tralasciare il tema delle compensazioni, vale a dire dei ristori alle comunità sui territori delle quali si insedia il deposito.
Su una cosa, però, dobbiamo essere chiari: i rifiuti non scompaiono se si elude la questione; anzi, i rifiuti sono l’ultimo anello di un’economia circolare che si conclude, appunto, con lo smaltimento che può diventare addirittura una fonte di guadagno e un’occasione per recuperare aree e produrre energie. Siamo, come sempre, in ritardo nella gestione di un problema e la materia, invece, è estremamente complessa e non possiamo trascurare il fatto che stiamo parlando di scorie nucleari: sebbene si tratti di materiale a bassa radioattività e di quantitativi non allarmanti, la parola induce naturalmente apprensione. Occorre tuttavia superare i pregiudizi e aprire un dialogo con le istituzioni, le comunità e con le associazioni ambientaliste ed è necessario spiegare che i rischi possono essere superati, che la salute delle persone non è messa in discussione, che non si consumerà territorio e che da eventuali operazioni potranno derivare vantaggi, anche in termini economici. Questa è la politica per un’Italia sul serio.